"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 23 giugno 2011

Dall’Osservatorio Acimit considerazioni sull’innovazione (e sulla dimensione)



Lo scorso 20 Giugno vi è stato l’osservatorio annuale dell’ACIMIT, l’associazione degli industriali costruttori di macchine tessili.
Nel suo intervento introduttivo il presidente, Sandro Salmoiraghi, ha sottolineato come un importante traguardo da raggiungere per superare la crisi sia quello di crescere dimensionalmente per potersi internazionalizzarsi. Piccolo, dunque, non è più bello.
Il vicepresidente di Confindustria, Bonomi, ha dato poi la ricetta per  realizzare questa “medicina”: fare rete, associarsi tra aziende per uno scopo comune come compromesso per raggiungere “massa” critica senza che l’imprenditore corra il rischio di perdere il controllo dell’azienda.
Nella tavola rotonda successiva due interventi sono stati di rilievo. 
Il primo, del presidente di Pielleitalia, sottolineava il ruolo della piccola azienda italiana nell’ecosistema economico mondiale: fornire una flessibilità e delle risposte di nicchia ai grandi clienti che un grande non riesce, o non ha interesse, a soddisfare. Inoltre la grande azienda da sola pur avendo le risorse non ha tempi, modi e flessibilità per rispondere a queste sue esigenze specifiche.
Dunque “piccolo” non solo è bello ma “serve”.

Il presidente e fondatore di Geox, Polegato, ha invece attaccato il problema al cuore. Non è questione di dimensione ma di capacità di offerta “esclusiva”.
L’innovazione dunque non per “fare meglio” dei concorrenti, che ci metteranno poco ad adeguarsi, ma per fare in modo “radicalmente diverso”.

E’soprendente però, aggiunge Polegato, che l’Italia, paese di inventori da sempre (anche adesso visto l’importante quota di export) non riesca ad istituzionalizzare e”industrializzare” questa sua capacità.
La “macchina” dell’innovazione, sottolinea Polegato, è l’uomo e solo lui, non le tecnologie, possono crearne: nel prodotto, nel processo, nel modo di affermarsi sul mercato, ecc.

Dunque la palla è ancora una volta all’imprenditore, quello vero, colui che non vede i concorrenti, ma il mercato che ancora non c’è, colui che non bada solo ai conti ma al sogno che vuole realizzare, colui che non pensa che le persone siano da gestire ma un popolo da mobilitare per aiutarlo a realizzare quel sogno.
Forse in questi anni di troppa enfasi sul management, parola che ha sempre capito poco e tollerato meno, di ubriacature di Master, curriculum eccellenti e tronfi  referti di dotta accademia (che nel campo economico ne ha azzeccate ben poche, come ricordò anche la regina Elisabetta d’Inghilterra dopo lo scoppio della prima crisi qualche anno fa) l’imprenditore si è sentito isolato, avrà pensato “forse sono fuori moda”.
E invece no.
Oggi più che mai c’è bisogno di quella passione e determinazione che ha fatto grande e apprezzata l’Italia in campo economico, e non solo, in tutto il mondo. Forse ha solo bisogno di dotarsi di qualche strumento in più, ma il tutto sospinto dalla voglia, insostituibile, di “creare nuovi mondi”.

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

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