"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 7 luglio 2011

Analisi strategica di una scelta: Competere non rinnovare!

di
Luciano Martinoli

Della crisi di Nokia ne hanno parlato ormai un po’ tutti, ma recentemente Bloomberg Businessweek ha cercato di farne un resoconto al di là delle analisi specialistiche, sia tecniche che economiche.
Ovviamente da un articolo di giornale non è possibile conoscere il dettaglio e le sfumature della situazione, indubbiamente complessa. Ma le scelte dichiarate ed eseguite dal suo nuovo AD, Stephen Elop ex manager di Microsoft, lanciano un messaggio chiaro e forte: Nokia ha rinunciato a creare qualcosa di nuovo e ha scelto di competere!
Andiamo con ordine.


L’azienda è andata in crisi dalla bufera creata dall’ingresso di Apple e di Google col suo sistema Android. Nella fascia bassa, dove continua a fare i numeri soprattutto nei mercati emergenti, non è in grado di compensare i profitti persi essendo, per definizione, a bassa marginalità ( e non si sa nemmeno per quanto continuerà ad andare bene in termini di fatturato. Cinesi e Indiani non stanno a guardare).

Google ed Apple hanno apportato al mercato due rivoluzioni diverse ma ugualmente stravolgenti.
La prima non producendo apparati, e già questo la dice lunga sulla “qualità” dello sconvolgimento, ma mettendo a disposizione, gratuitamente, un sistema operativo per terminali. Un modo per alimentare la sua fame di contenuti anche su piattaforme mobili e riproporre il suo modello di business, al momento sorprendentemente senza concorrenti, anche in quel settore.

La seconda ha introdotto non un ennesimo e potentissimo telefonino ma un vero e proprio “oggetto del desiderio”. Una finestra portatile sulla rete e sul mondo, una valigetta di contenuti multimediali (foto, documenti, video, ecc.), un accessorio funzionale ed elegante che fa dimenticare anche le scarse prestazioni  come telefono ( e in Nokia snobbarono il suo ingresso sul mercato perché, tra gli altri giudizi negativi espressi, “non si poteva usare con una mano sola”!).

Elop una volta entrato in azienda doveva provocare uno shock, un cambiamento profondo, e in qualche modo l’ha fatto ma… nel segno della continuità! (per alcune considerazioni sugli impatti organizzativi leggere qui)
Invece di lanciarsi su una delle tante innovazioni tecnologiche che pure l’azienda ha prodotto e usarlo per creare un “paradigm shift”, un nuovo oggetto di culto, una nuova moda, insomma qualcosa di incomparabile con i suoi concorrenti attuali (ovvero creare dal nulla un nuovo mercato), ha scelto di… competere.

Convinto di doversi muovere all'interno del paradigma "smartphone", con la necessità di avere qualcosa di meglio del suo decotto sistema Symbian, prima è andato da Google a chiedere in via privilegiata la sua tecnologia, poi, al diniego di questa, trovando un accordo con i suoi amici di Microsoft. Risultato: Nokia produrrà oggetti, forse più belli, forse più potenti, forse più economici, ma come gli altri.

Di fronte a questa emblematica storia, non nuova purtroppo, sorgono spontanee due domande.
Innanzitutto c’è da chiedersi se un’azienda possa sopravvivere al suo creatore, l’imprenditore, senza che nessuno prenda il suo posto non come capo gerarchico, ma come creatore di sogni e propulsore di attività per le loro realizzazioni. E in sua assenza quale è il ciclo di vita, il tempo che manca alla naturale e fisiologica morte per “competizione” in assenza di tali rinnovamenti.

La seconda riguarda il ruolo del manager/amministratore a capo di un’azienda. Può un uomo che ha fatto della “amministrazione del presente” (la borsa, gli investitori, le trimestrali, i conti, ecc.) la sua ragion d’essere, un uomo che ha come unica prospettiva e cultura quella di mantenersi (in primis) e mantenere l’azienda riferendosi solo a se stessa, che vede come unica via di sopravvivenza la competizione, ovvero fare meglio quello che gli altri già fanno, ignorando le enormi opportunità che il contesto economico, tecnologico e sociale offrono nell’avvio del ventunesimo secolo d.C. ?

Proprio oggi, in questo momento storico particolare in cui un’ Era sta finendo e abbiamo bisogno di creare un "nuovo mondo" (come sottolinea anche il Prof. Alberoni sul Corsera e ricordiamo noi da qualche anno) non abbiamo più bisogno di amminstratori che cercano disperatamente di fare meglio e a buon prezzo ciò che interessa sempre meno e si è disposti a pagare via via in misura inferiore. C’è bisogno, a capo delle aziende esistenti e di quelle prossime venture, di veri imprenditori, di creatori di mondi, di persone capaci di sognare e realizzare i loro sogni.
E’ una questione, questa sì, di reale responsabilità sociale, nel caso specifico, per il complesso sistema di stakeholder che sostiene la Nokia.
Ed è una considerazione da fare anche per tutti coloro che hanno la responsabilità di governo delle aziende.

2 commenti:

  1. Nel guardare il caso Nokia, (interessante spunto sulla limitatezza dell'approccio managereriale rispetto a quello dell'imprenditore visionario e concreto al contempo), sono poi finito sul commento all'articolo dell'economist di Henry Mintzberg -

    (Perchè il leader non sarebbe più tale?)

    Mi sembra che questo articolo brilli per la concretezza dell’analisi e della critica dell’(attuale) organizzazione riscontrabile in molte realtà aziendali.

    Un analisi “spietata” della situazione (altrettanto spietata) in cui versano molte Imprese e Società Commerciali o di Servizi.

    Ovviamente qui si parla di Pubblic Companies. Cioè aziende quotate in borsa, a proprietà diffusa, o in mano ai Private Equities.

    In questi casi non sono molto separabili i confini dell’azienda con le richieste e gli obbiettivi del mercato (finanziario).

    Nelle aziende familiari il problemi sono altri.

    Dire che il problema sia solo all’interno dell’organizzazione aziendale e cioè solo imputabile al comportamento dei suoi “Leaders” significa un po' dimenticare che nel mondo esterno, quelli che qui sono chiamati “economists” o Score-keepers non sono certo neutrali nella definizione dei risultati attesi dell’azienda e dunque, in definitiva, al modello di remunerazione dei CEO.

    Dunque per risolvere il problema e uscire dalla crisi, occorrerebbe, forse, mettere in evidenza anche le influenze (spesso troppo miopi e poco interessate al lungo termine) del mondo finanziario.

    Ma questo, forse, l’Economist non gradisce dirlo.



    Leonardo Donà

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  2. Ottimo grazie, vi seguo con interesse: complimenti!

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