"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 8 dicembre 2011

Il cacciavite, il cacciavite …

di
Francesco Zanotti

Dagli industriali veneti arriva l’allarme “per gli adempimenti di fine anno abbiamo bisogno di liquidità”. Se le banche non forniscono la liquidità necessaria le imprese saltano. Ed allora agiamo sulle banche: più capitali, meno vincoli all’uso dei capitali, quindi più prestiti alle imprese.
Domande di puro buon senso: ma quanto e fino a quando? La risposta presumibile è: fino a quando non finisce la crisi. Il quanto dipende dal quando: più si allunga la crisi, più il quanto cresce.
Guardiamo serenamente questa situazione: è sostenibile a lungo? Ovviamente, no! Tutti sanno (anche se non hanno il coraggio di dirlo) che la possibilità di garantire liquidità alle imprese finirà prima della fine della crisi.
Ed allora? Allora recuperiamo la competitività delle imprese attraverso le riforme … Ecco così il messaggio è completato: le imprese sopravvivranno solo se le banche immetteranno liquidità e lo Stato garantirà alle imprese sempre maggiori sussidi. E le imprese da parte loro? Cercheranno innovazione, cercheranno di diventare più forti mettendosi insieme. Ma ci riusciranno solo con il sostegno delle banche e dello Stato.

Ecco io credo che questa prospettiva non sia né sostenibile, né efficace.
Credo che l’affermarsi di questa prospettiva sia il segno che si è perso il senso dei fondamentali. Proviamo a recuperarlo e scopriremo il mistero del cacciavite di cui si dice e si ripete nel titolo.

Innanzitutto, le imprese hanno bisogno di liquidità perché non la producono. E perché non la producono? Perché la loro posizione competitiva si è indebolita. Quindi, occorre recuperare competitività. Ma per farlo non serve l’aiuto dello Stato e delle banche che permettono la sopravvivenza mentre si costruisce questa maledetta competitività? No! Perché la battaglia per la competitività non può essere vinta. E l’aiuto rischia di doversi protrarre all’infinito e di dover crescere infinitamente.
Infatti, domandiamoci perché nasce e cresce la competizione. Perché le imprese continuano a fare le stesse cose. E perché continuamente nuove imprese si aggiungono nel produrre le stesse cose. Le innovazioni sono di “superficie”. Se accade questo, la competizione finisce inesorabilmente per scivolare in una competizione di prezzo che nessuno può vincere. Ci si può provare a sopravvivere a livello di singola impresa, ma a spese del dramma sociale generato da tutte le altre che a sopravvivere non ci riescono.
Ma i mercati si ampliano e ci sarà spazio per tutti … Non è vero! Non è possibile immaginare una ulteriore espansione di questo sistema industriale. Per ragioni fisiche: le cose che produce e le modalità con cui vengono prodotte usano troppe risorse non rinnovabili.
Ma anche per ragioni “esistenziali”: stanno emergendo nuove modalità di intendere la vita che richiederanno manufatti e servizi completamente diversi.

Allora occorre partire dal darsi un obiettivo: le imprese devono aumentare di molto la loro capacità di produrre cassa nel breve termine. Ma la situazione complessiva … la situazione complessiva l’abbiamo creata noi e la possiamo cambiare. Abbiamo scelto noi di competere, possiamo decidere di smettere di farlo.

Guardiamo al mercato come al luogo in cui emergono immense e sempre nuove potenzialità. Le nuove modalità di intendere la vita sono tra queste.
Pensiamo alle imprese come all’attore che deve far precipitare le opportunità di futuro in un nuovo modello di società.
Allora cominceremo a ragionare in modo diverso. Innanzitutto cercheremmo di capire esattamente quanto la posizione competitiva di una impresa è deteriorata, quale sarà la sua evoluzione e cosa comporta questa evoluzione in termini di capacità di produrre cassa. Alle due domande del come e del quanto servirà l’aiuto delle banche si può rispondere, insomma, a livello di singola impresa guardano alla sua posizione competitiva. Ovviamente servono nuove conoscenze per farlo.
Poi ci metteremmo in ascolto: ma cosa di nuovo bolle nel pentolone della società? E questo guardare ci metterà in atteggiamento progettuale. Potremmo iniziare a immaginare come trasformare le cose che produciamo e come le produciamo. Potremmo immaginare come avviare nuove imprese che non si perdano in banalità tecnologiche che sopravvivono fino a quanto qualche incubatore le mantiene. Dovremmo riuscire a prevedere se le imprese trasformate o quelle nuove godranno di un posizionamento strategico capace di far produrre loro cassa.
Anche per ascoltare, progettare e valutare, servono nuove conoscenze …

Il cacciavite, finalmente. Se non si riesce a svitare una vite con le mani nude, in genere si prende in mano un cacciavite. Oggi le sfide imprenditoriali non sono produrre e vendere meglio le cose di sempre. Oggi è necessario valutare, ascoltare, riprogettare, valutare. Non si possono fare queste cose a mani nude, come hanno fatto gli imprenditori del passato. Oggi è necessario dotarsi di quel particolare, semplice ed efficace cacciavite che è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie di strategia d’impresa. Ed è necessario dotarsi di un cacciavite migliore di quello dei nostri concorrenti. Fuor di metafora: delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa più avanzate.

Usando queste nuove conoscenze e metodologie riusciremo a ricostruire i fondamentali: l’impresa produce cassa, la collettività decide come distribuire questa ricchezza prodotta. Più banalmente: è l’impresa che produce risorse per costruire lo Stato. Non è lo Stato che deve mantenere l’impresa.


Nessun commento:

Posta un commento