"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

sabato 18 febbraio 2012

Ristrutturare o inventare nuovi futuri?


di
Cesare Sacerdoti

Il Sole 24 Ore del 17 febbraio 2012 sottolinea che “nel 2012 si annunciano ampie ristrutturazioni” (pag 45), sottintendendo  che ciò comporterà un effetto negativo sul mercato del lavoro e un aumento della disoccupazione.
Perché nel linguaggio corrente “ristrutturazione di un’azienda” significa automaticamente tagli occupazionali, di solito accompagnata anche da una ristrutturazione del debito.
Ma è davvero così?
Se partissimo dalla considerazione che le risorse umane sono uno degli asset principali di un’azienda (concetto condiviso da tutti, a parole), allora tagliare posti di lavoro significa ridurre gli asset aziendali. Ma, si obietterà, se non si tagliano i costi del personale non si recupera competitività.
E qui riteniamo stia il problema principale: la competitività, uno dei mostri sacri dell’economia attuale.
Premesso che la competizione (dal latino cum petere raggiungere insieme ) può essere sana, perché crea stimoli per migliorarsi, per trovare nuove soluzioni, per raggiungere mete altrimenti irraggiungibili, cogliendo spunti dall’operato di altri per sviluppare nuove idee, per trovare nuove forze, è la competitività intesa come strumento di difesa o di conquista di una propria  posizione in un mercato affollato di concorrenti, che riteniamo nefasta. La competitività così intesa è, infatti, il sintomo di una perdita di valore dell’idea imprenditoriale; di un posizionamento strategico dell’azienda (o, meglio, delle  sue unità di business) caratterizzato, nel breve-medio termine, da riduzione dei margini e soprattutto della capacità di generare cassa.
Ristrutturare l’impresa vuole dire individuare  un nuovo posizionamento strategico che permetta all’azienda (o alla sua business unit) di costruire un mercato ad alta attrattività in cui poter giocare un ruolo primario.

Significa, quindi, sviluppare un nuovo progetto imprenditoriale, che parta da una vision quanto più ampia delle potenzialità del mercato, e dalla definizione di una mission che specifichi il ruolo economico, sociale, politico, istituzionale e culturale che si vuole esercitare.

E per le risorse umane? Occorre accrescere il loro patrimonio di conoscenze ”libere”. Non finalizzate. Il patrimonio di “pensieri potenziali”. Essi non riguarderanno solo la tecnologia (anche), ma permetteranno loro di guardare con sguardo nuovo all’ambiente esterno ed interno alla impresa.
In questo modo le persone (non solo risorse da usare) potranno diventare protagoniste della redazione del nuovo progetto imprenditoriale.
Se le persone diventano soggetti progettuali e non solo “meccanismi” esecutivi, si riesce, contemporaneamente, ad uscire dalle secche strategiche della competizione e dalla deriva conflittuale nella quale stanno sprofondano le organizzazioni.

Ci si può chiedere allora come finanziare questa ristrutturazione. Un business plan con le caratteristiche sopra citate è molto più credibile, per una banca o per un’istituzione finanziaria, che il classico piano di ristrutturazione che passa attraverso una ipotesi di  riduzione di costi e un ancor più ipotetico aumento dei ricavi. A questo scopo le banche dovrebbero dotarsi di un sistema di valutazione (o di rating) dei business plan, che possa dare indicazioni serie sulla realizzabilità del piano e, quindi, del rientro dei capitali eventualmente erogati.



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