"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 8 ottobre 2012

Maggiore produttività o un nuovo mondo?


di
Francesco Zanotti


Cominciamo con un’affermazione che è tanto banale quanto trascurata: non sarà possibile una ripresa alta e forte del nostro sistema industriale, italiano e mondiale. E questo per due ragioni. La prima è che una ulteriore espansione delle attuali strutture produttive e dei manufatti che genera sono incompatibili con la Natura.
La seconda è che l’interesse per gli attuali manufatti va inesorabilmente diminuendo.
La via obbligata è, quindi, quella di una riprogettazione radicale dei manufatti che costruiamo ed usiamo e dei modi di produrli.
Il problema è che questa via non sarà percorsa. Almeno fino a che la situazione economica, sociale ed ambientale non sarà peggiorata rispetto ad oggi. A meno che non ci si decida ad usare l’arma della conoscenza.

Cerco di spiegare cosa intendo con questa affermazione.

Oggi si tenta di percorrere la via della produttività. Ma questa via  non può che peggiorare la situazione.
Infatti il parlare di produttività, qualunque sia l’accezione di questa parola che si usa, significa cercare di far funzionare meglio il nostro sistema industriale attuale.
Questo, da un lato, è per noi mediamente molto difficile perché una buona percentuale di PMI hanno perso ogni speranza di diventare competitive: anche un impossibile raddoppio della produttività non è in grado di permettere la sopravvivenza di terzisti abituati ad un unico cliente che, per primo, non riesce più a stare sul mercato.
Dall’altro, la corsa alla competitività è, per tutti, una corsa verso un baratro inevitabile. Ogni aumento di competitività costringe i concorrenti a fare altrettanto ricostruendo un equilibrio competitivo ad un livello di capacità di produrre valore più basso.
Questa battaglia competitiva senza esclusione di colpi avviene all’interno del contesto che ho descritto all’inizio. Ripetendo quanto detto, in mercati che, per i prodotti di cui si parla, tendono inevitabilmente a contrarsi. E in un ambiente naturale che sopporta sempre meno le attività industriali attuali.

Ed allora?

Allora occorre percorrere subito una strada radicalmente diversa: la strada della conoscenza.

Si insiste sulla strada della competizione perché abbiamo in testa lo schema cognitivo della competizione. La competizione è il filtro cognitivo attraverso il quale leggiamo il mercato. Se usiamo questo filtro cognitivo, diamo per scontato che l’impresa non può che fare quello che ha sempre fatto e ci perdiamo tutte le opportunità di sviluppo rivoluzionario, le uniche che ha senso perseguire.
La soluzione è quella di diffondere schemi di analisi e progettazione strategica più avanzati, usando quella cultura strategica che oggi è quasi completamente sconosciuta.
Un’altra via, complementare, è quella di cambiare lo schema cognitivo che porta a considerare, come modello insuperabile, il modello produttivo Toyota che risuona in schemi cognitivi simili: dalla qualità totale alla lean organization. L’alternativa è quella di usare le nuove conoscenze organizzative che permettono di gestire non sono la componente tecnologica, ma anche quella umana dell’organizzazione. Mi si può obiettare che il metodo Toyota cerca appunto di gestire la parte umana dell’organizzazione, ma lo sa in un modo psicologicamente, sociologicamente e antropologicamente primitivo.

Chi ha voglia di discutere e di sperimentare l’efficacia di discutere e sperimentare queste idee?

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