"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 28 novembre 2012

Atlantia: che ci fai con i miei risparmi?


di 
Riccardo Profumo


Lo spunto per questo post ci arriva da una lettera che abbiamo ricevuto il 15 novembre 2012 da un amico, piccolo risparmiatore, il quale ci dice:
“..sono disponibile a finanziare le aziende, il mio scopo è investire una parte di risparmi al fine di realizzare un guadagno lecito, minimizzando il rischio di perdere il capitale...”.
Forse condizionati anche dalla crisi, coloro che possono investire e fare finanza manifestano atteggiamenti di scrupolo e attenzione crescenti.
“…in questi giorni ho appreso dell’emissione di bond di Atlantia. Non possono sfuggire i numerosi messaggi pubblicitari apparsi un po’ ovunque (TV, radio, giornali)… Incuriosito sono andato sul sito Atlantia per saperne di più…”
Qualsiasi investitore, dopo essersi assicurato dell'identità del soggetto e della sua solidità attuale, pretenderà di capire cosa ci deve fare con quei soldi.
Continua il nostro amico: … “Campeggia lo spot gia visto e l'annuncio del piano con il link al prospetto informativo e ad altri documenti dell’operazione. Le informazioni sono molte: rating degli analisti, avvisi agli obbligazionisti e altre informazioni tecnico giuridiche. Poi il profilo dell'azienda, i bilanci e altri documenti correlati. Ma il piano dove è? Mi tuffo nella pagina Presentazioni e scopro che contiene tutte le presentazioni tenute ufficialmente dal gruppo su argomenti sia di natura economico-finanziaria sia tecnica... Purtroppo la mia attesa e ricerca rimane delusa: il Piano non c’è.”

Leggere un piano convincente che illustri in che modo quel prestito realizzerà lo sviluppo dell'azienda, è una condizione necessaria per convincersi che il capitale prestato sarà restituito e remunerato e fare dell’investitore un partner di sviluppo imprenditoriale.

Purtroppo questo banale e semplice percorso sembra non essere stato scelto da Atlantia nel suo piano di sottoscrizione di obbligazioni per i piccoli risparmiatori.

Il 23 novembre si è conclusa l’offerta pubblica delle obbligazioni Atlantia per i risparmiatori retail. Il Gruppo Atlantia annuncia con un comunicato stampa il successo dell’operazione: “l’ammontare complessivo delle obbligazioni collocate sarà pari a un miliardo di Euro, sottoscritto indicativamente da 42.466 investitori”. 

martedì 27 novembre 2012

Ilva di Taranto e risorse cognitive


di
Francesco Zanotti

Dario Di  Vico conclude oggi il suo articolo (che tratta del caso ILVA) sul Corriere di oggi con la seguente frase “ … magistrature ed economia devono imparare a parlarsi … La circolazione delle idee può aiutare le élite a sbagliare di meno.”.

Che tutti insieme noi si stia facendo a Taranto un “casino” inenarrabile è cosa evidente a tutti. La strada proposta da Di Vico lo è un po’ meno: egli parla del ruolo delle idee e della loro circolazione.
Noi certamente la condividiamo, ma proponiamo che la si percorra fino in fondo. Altrimenti si confrontano solo idee povere. E il dialogo degenera subito in conflitto.

La prima cosa da fare è riconoscere che noi siamo le nostre risorse cognitive di fondo. Semplifico il discorso: noi siamo gli occhiali con i quali guardiamo al mondo; noi siamo i modelli che usiamo per ragionare, progettare il nostro ruolo nel mondo.
Ora il problema è che gli occhiali e i modelli che utilizzano le classi dirigenti non cambiano da decenni. Nel frattempo il mondo, per usare un eufemismo, è cambiato. La conseguenza è che occhiali e schemi mentali vecchi di decenni, mai rinnovatisi, quindi (anche) impoveritosi, non cambiano da decenni.
Essi non sono più adatti a leggere e gestire la complessità del mondo. Il risultato è che le classi dirigenti rischiano di vedere poco e saper parlare (progettare) ancora meno.
Faccio un esempio. Esiste un patrimonio cognitivo che si chiama strategia d’impresa che dovrebbe essere il riferimento fondamentale (il linguaggio fondamentale) di chi deve costruire il futuro di un’impresa: dai proprietari, ai manager, agli stakeholder, magistratura compresa. Se negli anni scorsi si fosse usato questo linguaggio, invece di insistere con il linguaggio della competitività e della produttività, si sarebbe scoperto il concetto di “Posizionamento strategico complesso” che avrebbe permesso di comprendere la complessità del mondo sociale e naturale (anche competitivo, ovviamente) intorno all’ILVA ed usarlo come risorsa strategica originale e non imitabile, invece di vederselo crescere in torno come antagonista. Si sarebbe capito che un’impresa è un fenomeno emergente che necessita di una modalità di governo delle imprese adatta a gestire processi emergenti dal sociale, dall'economico e dal culturale.
Ma, mi si permetta un istante di scetticismo… Ve li vedete i Riva, i Magistrati, i Consiglieri d’Amministrazione e via elencando seguire un corso di strategia d’impresa? Saranno disposti (alcuni) a seguire un corso di inglese, ma non del linguaggio della strategia d’impresa.
La smetto subito con lo scetticismo: Dott  De Vico, coraggio! Percorriamo insieme fino in fondo la via della conoscenza. Solo nuovi occhiali, nuovi modelli di riferimento, nuovi linguaggi, nuove modalità di Governo potranno permetterci di mettere ordine nel casino che oramai abbiamo fatto. E provare ad evitarne altri.



venerdì 23 novembre 2012

What analysts want

di
Luciano Martinoli
e
Francesco Zanotti


No, non è il sequel del famoso film del 2000, What women wants con Mel Gibson, ma la possibile ridefinizione del titolo di un articolo apparso sul numero di Novembre di Harvard Business Review: What makes Analysts say "Buy"?
Si tratta di una ricerca, condotta su circa 1000 analisti finanziari in Asia, Europa, America Latina e USA, sui fattori che influenzano il loro giudizio positivo sulle aziende considerando dodici parametri. Al di là del sorprendente scarso interesse, che contrasta con diffusi luoghi comuni, per i conti delle aziende e la competitività dei settori (espressione che indica una grande approssimazione: livello di competizione del settore, competitività dell’impresa hanno preciso significato, “Competitività del settore” non ha senso), questa indagine induce considerazioni ben più profonde.

giovedì 22 novembre 2012

Intesa sulla produttività: aziende produttive o geniali?


di
Francesco Zanotti

Ieri è stato firmato un accordo sulla produttività dal quale tutti sembrano attendersi “magnifiche sorti e progressive”.
Ebbene, cominciamo a considerare quali dovrebbero essere queste sorti. A me sembra che la variabile fondamentale da considerare sia la produzione di cassa. Se non aumenta la produzione di cassa delle nostre imprese le chiusure si susseguiranno in un crescendo rossiniano devastante. Non basta un aumento del fatturato, non basta neanche un aumento degli utili, serve un aumento (e importante) della produzione di cassa. Che, dopo tutto, misura la “qualità” di fatturato e utili.
Bene le misure concordate ieri sera porteranno ad un aumento della cassa prodotta?
Beh, la prima considerazione è che manca la firma e l’assenso della CGIL e questo non lascia ben sperare dal punto di vista del clima interno alle fabbriche, soprattutto quelle grandi.
Ma supponiamo che l’influenza del mancato accordo delle CGIL non abbia influenza (supposizione ovviamente errata, ma accettiamola per evidenziare altri fenomeni).
Lasciando stare la CGIL; quanto aumenterà la produzione di cassa a seguito dell’intesa per la produttività? E in quanto tempo?
Bene, la risposta è ignota. Peggio: nessuno si pone questa domanda. E questo è incredibile.
Proviamo, allora, a tentare noi una risposta.

martedì 20 novembre 2012

Banche sulla difensiva: inutile e dannoso!


di
Francesco Zanotti

Oggi tutti i giornali riferiscono dell’incontro di Visco con i banchieri per discutere del futuro del sistema bancario italiano.
Le conclusioni sono, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore esortazioni a individuare e gestire i crediti anomali e contenere i costi, soprattutto distributivi.
Credo che siano urgenti alcune considerazioni.

Cominciamo dai crediti anomali. Per individuarli e gestirli è necessario parlare (cercare di capire, supportare nel progettare) del futuro delle imprese. Per riuscire a farlo non servono i dati del passato e non bastano neanche esperienze settoriali, che riguardano sempre il passato. Sono necessarie conoscenze avanzate di strategia d’impresa. Purtroppo, a detta degli stessi banchieri (si veda la nostra intervista in questo blog al Dott. Fabrizio Guelpa, responsabile Ufficio Industry & Banking del Servizio studi e ricerche di Intesa San Paolo) queste conoscenze non sono diffuse ed utilizzate dal Sistema Bancario. Cioè: le banche non dispongono delle conoscenze necessarie a individuare e gestire crediti anomali. Allora penso che il Governatore avrebbe potuto suggerire alle banche di andare per il mondo a cercare le conoscenze più avanzate di strategia d’impresa. Se non lo farà, si riuscirà a ridurre i rischi solo riducendo “linearmente” (questo aggettivo sta diventando sinonimo di “indiscriminatamente") i prestiti. Ma questa misura è controproducente, come è ovvio.

Per quanto riguarda i costi non si può che ripetere la litania che le conoscenze di strategia d’impresa suggeriscono: di riduzione di costi si può solo morire. E’ necessario immaginare altre aree di ricavo. Il dotarsi di conoscenze avanzate di strategia d’impresa permette di proporre una nuova generazione di servizi di supporto alla progettazione strategica delle imprese. Capace, cioè, di fare delle banche il vero catalizzatore dello sviluppo dei territori. In questo modo, ovviamente, non si trova solo una nuova area di ricavi, ma si diminuisce il rischio dei crediti attuali e si avvia una nuova domanda sana di credito.

sabato 17 novembre 2012

Confusione cognitiva …


di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com  francesco.zanotti@gmail.com 

Su Plus24 (Sole 24 Ore) a pag. 3 leggo una auto pubblicità ad un prossimo volumetto, allegato allo stesso Sole 24 Ore, dal titolo “Analisi di bilancio”.
Cosa dice lo spottino? Che (cito letteralmente, quindi non mi fate carico di imprecisioni e italiano problematico) “Torna a contare … la competitività strategica loro mercati reali di beni e di servizi; la loro capacità di concepire, studiare e vendere buoni prodotti in concorrenza con altre aziende …” e tornano a contare, sostiene ancora lo spottino, molte altre cose che hanno a che fare con le dimensioni qualitative e future dell’attività di impresa. E fin qui, nulla da eccepire. E’ la conclusione che è sorprendete: poiché occorre fare attenzione alle dimensioni strategiche (che sono qualitative e rivolte al futuro) allora servono gli indici di bilancio.
Beh … ma è poco sensato. Il bilancio parla di dati quantitativi e di passato. Cioè dell’esatto contrario del futuro e del qualitativo.
Io credo che certamente le analisi di bilancio servono, ma solo per comprendere da dove sta partendo il futuro dell’impresa. Per parlare dell’impegno verso il futuro (che è da progettare) occorrono conoscenze e metodologie di strategia d’impresa. Esse sono state sviluppate apposta per analizzare strategicamente il presente e progettare il futuro. Sono i linguaggi per parlare strategicamente del presente e del futuro.
Purtroppo queste metodologie, queste competenze, questi linguaggi sembrano sconosciuti.
Come pensiamo che potrà accadere un futuro diverso dal presente se non disponiamo del linguaggio per parlarne? Se usiamo linguaggi che spostano la nostra attenzione sul passato?

martedì 13 novembre 2012

Caro Professore, le proposte esistono, ma sono “irricevibili” …


di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com   francesco.zanotti@gmail.com 

Il Corriere della Sera di lunedì 12 novembre 2012 pubblica un articolo del Prof. Sartori che, pessimisticamente, sostiene che, con le proposte per costruire sviluppo attualmente sul tavolo, il problema della disoccupazione tenderà ad aggravarsi nei prossimi anni.
Sostiene, quindi, che servono nuove proposte e chiede idee migliori …

Professore, esiste una strada di sviluppo completamente nuova, immediatamente efficace e a investimenti bassissimi. Ma, come dice il titolo, essa è del tutto irricevibile dall'attuale classe dirigente.
Provo a dettagliarla brevemente, anche perché nei nostri blog abbiamo proposto questa nuova via allo sviluppo in mille modi e mille forme.

Stiamo vivendo dentro una vera e propria ecologia di crisi che si manifesta in ogni “dimensione” della società industriale ed è generata dalla sua perdita di senso.
Contemporaneamente, stanno emergendo, all'interno della stessa società industriale, quasi infiniti Segni di Mondi Futuri possibili e il desiderio di perseguirli. Solo per fare qualche esempio: il desiderio e la necessità di un’intera generazione di nuovi prodotti, di nuove modalità di produzione e di un nuovo patto con la Natura; nuovi materiali e nuove tecnologie; un nuovo sistema finanziario ed un nuovo senso del fare impresa; nuove città e nuovi modi di abitare, nuovi movimenti politici e  sociali.

Purtroppo, le nostre classi dirigenti non riescono a vedere i Segni dei Mondi Futuri possibili, leggono la crisi come “malfunzionamento” della società industriale e cercano, quindi, di “aggiustarla”. Nella dimensione finanziaria con nuove regole, nella dimensione economica con strategie di competitività e nella dimensione politico-sociale con le riforme. Ma il cercare di conservare il presente e rifiutare in blocco il desiderio di mondi futuri possibili non può che accelerare, moltiplicare in intensità ed invasività, una crisi da perdita si senso.

Che fare? La risposta riguarda gli “occhiali”.
L’intera nostra classe dirigente imprenditoriale, manageriale, finanziaria, politica e istituzionale condivide un’unica visione del mondo: una versione “povera” del riduzionismo della fisica classica. E’ questa visione del mondo (questi occhiali) che sta a fondamento della società industriale, porta a considerarla come l’unica possibile, impedisce di vedere i Segni dei potenziali Mondi Futuri e lascia come unica strategia pensabile e possibile la conservazione.

Per uscire dall'attuale opprimente ecologia di crisi, occorre, allora, dotare le classi dirigenti (ma anche noi tutti) di nuovi occhiali, di una nuova visione del mondo. Essa sta emergendo, seppur ancora in forme disperse, in tutte le scienze naturali ed umane. Forse l’archetipo di questa nuova visione del mondo è la fisica quantistica. Occorre, però, accelerare questo emergere spontaneo. In concreto: occorre raccogliere questi Segni di una nuova visione del mondo possibile, costruirne una sintesi, diffonderla e attivare, usandola come risorsa chiave, nuove progettualità sociali che sappiano far emergere una nuova società. L’Expo della Conoscenza è un Progetto per fare tutte queste cose. Esso è descritto nella bozza di un libro che è scaricabile qui.
Ma basta diffondere nuova conoscenza per costruire un nuovo sviluppo? La Storia dice di sì: il Rinascimento è “emerso” perché si è buttata nella società medioevale la cultura classica.
I frammenti della nuova visione del mondo emergente confermano.
Allora L’Expo della Conoscenza è la strategia attraverso la quale sarà possibile generare un nuovo Rinascimento per arrivare ad una nuova società.

Cercando di fare un esempio concreto: la strategia d’impresa. Usando due nuovi schemi cognitivi - la stessa fisica quantistica e la teoria dei sistemi autopoietici-, è possibile sviluppare una nuova metodologia di progettualità strategica che potrebbe essere usata da banche ed imprenditori anche senza approfondirne le radici teoriche. Essa potrebbe diventare la risorsa fondamentale per far emergere un radicalmente nuovo sistema economico …

Ho finito … Caro Professore, vede che si tratta di una proposta “folle”? La classe dirigente attuale non è neppure in grado di discuterla. Essa, però, sta emergendo dal basso in mille interstizi della società industriale. Dobbiamo fare in modo che questo emergere diventi sempre più veloce. Noi siamo impegnati sia a realizzare l’Expo della Conoscenza sia a diffondere le nuove conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.


giovedì 8 novembre 2012

Un imprenditore che si è stufato della crisi …


di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com   francesco.zanotti@gmail.com

E’ accaduto l’altra mattina … Avevamo, il pomeriggio prima, fatto una riunione interna dove avevamo provato a presentare la situazione politica europea al nostro gruppo dirigente: la Merkel cattivissima, Monti austero, le nostre  esportazioni supportate da nessuno. E la discussione si era sviluppata secondo il solito canovaggio: ci sono o ci fanno? Siamo immersi in battaglie di potere più o meno cruente per interessi più o meno confessabili, oppure in balia di incoscienti? E che fa Confindustria e quanto sono vigliacche le banche. Figuratevi quanto discutere …
La mattina dopo ho chiesto ad una nostra giovane Collaboratrice che aveva partecipato alla riunione: “Ma cosa te ne è sembrato della discussione di ieri?” E lei: “Mi sono molto irritata. Io non voglio neanche sapere chi è la Merkel … “. Sono rimasto di stucco! “Ma come non sai chi è e non vuoi neanche saperlo … ma sta facendo questo quello e quell’altro … “. E nella mia testa si è fatta strada rabbia e tristezza insieme, per una nuova generazione che … ma l’ho lasciata parlare …
“ Sì! Chissenefrega della Merkel o degli altri. Mi rendo conto che possono fare danni. Ma noi qui ed ora non possiamo fare nulla. Anche se decidiamo di chiudere la fabbrica e fare tutti politica, tra qualche mese avremo una fabbrica che non riaprirà più e la Merkel, o chi per essa, non avrà neanche saputo che ci eravamo imbarcati in una battaglia contro di lei. Non impegniamo la nostra mente nell'immaginare conflitti, nel progettare battaglie. Lasciamo che la nostra mente ed il nostro cuore provino ad immaginare cieli nuovi ed una nuova terra. Proviamo a concretizzare questa nostra visione in nuovi prodotti  che abbiano il sapore di questi cieli nuovi e di questa nuova terra. Tra sei mesi, forse la Merkel non saprà lo stesso chi siamo, ma i nostri clienti, i nostri lavoratori, le loro famiglie avranno percepito che li abbiamo portati a camminare in una nuova società. Di Confindustria ci dimenticheremo. E le banche torneranno a fare come un tempo, quando abbiamo già avuto prodotti che sapevano di una nuova società: cercheranno disperatamente di darci quei soldi di cui non abbiamo più bisogno”.
Amen. Un attimo di incredulità e poi … “Accidenti, ma hai ragione!” … Se si pensa alle battaglie, si combatte, se si pensa alla terra, al sole, al cielo, si scrivono poesie! Sì ha ragione. Buttiamo a mare ogni tentazione a pensare e vivere la crisi, a pensare e vivere la competizione: abbiamo un futuro da costruire. Non possiamo perdere tempo con le cariatidi del passato … “.
E poi sono andato a leggere imprenditorialitaumentata, quello strano blog … e lì ho trovato un gruppo di gente che le pensava come lei e offriva strumenti per pensare a cieli nuovi ed a nuove terre …


lunedì 5 novembre 2012

Carlo De Benedetti: mettersi in gioco


di
Cesare Sacerdoti

La lettura dell'ultimo libro di De Benedetti, ieri ripreso in tv da Fazio, mi ha colpito per lo spirito quasi rassegnato che pervade l'intero lavoro, a partire dalla visione apocalittica del libro La strada di McCarthy, fino alla assenza di quello spirito propositivo rappresentato da quella metafora delle 100.000 punture di spillo del suo precedente lavoro del 2008.
Ovviamente non si può non condividere che, come dice De Benedetti, ”un intero paradigma produttivo” sia “fortemente messo in discussione”, né che si debba “ puntare su un nuovo modello produttivo”, sulla “valorizzazione dello spirito imprenditoriale” e “sulla forza innovatrice, sul talento” dei giovani.
E non posso che trovarmi d'accordo sulla considerazione che ”il più grande fattore di innovazione delle nostre economie sarà sempre lo spirito creatore di un uomo o di una donna che, con i propri sogni e la propria volontà vuole migliorare il proprio destino”.
Ma, nel prosieguo del libro, non trovo le indicazioni pratiche, concrete, come mi sarei aspettato da De Benedetti.

Egli denuncia che vede “ troppa rassegnazione, poco coraggio, poca determinazione e capacità di mettersi in gioco” in particolare nei giovani: essi hanno bisogno di “un obiettivo e un sogno” più personale, più coinvolgente di quello generico e forse strumentale, in un mondo in cui le frontiere sono sempre più labili, di “un'Europa finalmente unita e patria dell’innovazione” richiamato dall’Autore.
Inoltre credo che non dovremmo continuare a evocare guerre di qualunque genere, nella fattispecie la guerra sul lavoro, così come altri autori (E. Fazi) parlano di terza guerra mondiale, o altri ancora paventino le varie guerre possibili per l'accaparramento delle risorse naturali: temo che a furia di evocarle si rischi di cominciare a crederci.

Io credo che se le risorse, il lavoro, eccetera rischiano di non essere sufficienti per le generazioni a venire, si debba pensare a come crearne di nuove, di alternative, piuttosto che accanirsi a spartire quelle esistenti. Nella fattispecie: 3 miliardi di persone devono contendersi 1,8 miliardi di posti di lavoro? (aspetto ripreso anche da Fazio nella sua intervista). Facciamo in modo che si creino nuovi lavori, nuove economie, nuovi sogni per le nuove generazioni: la mia non è una proposta utopistica, infatti, questo è stato fatto anche nella nostra storia più recente, non solo, come ricorda De Benedetti, ai tempi dei luddisti, avversari della rivoluzione industriale: ci dimentichiamo quanti posti di lavoro si sono persi per l'introduzione dell'automazione e del computer nelle aziende e nelle istituzioni? Eppure il numero dei lavoratori anche nei paesi occidentali ha continuato a crescere, almeno fino all'inizio della crisi del 2008; questo perché in parallelo si è fortemente ampliata l'industria dei servizi oltre a tutti i posti di lavoro creati dall'informatica, dalle telecomunicazioni e in generale dalle nuove tecnologie.

E come sarà possibile colmare questi fabbisogni di risorse, di posti di lavoro eccetera?

giovedì 1 novembre 2012

Il nuovo Piano Industriale FIAT … ... come lo avrebbe scritto un manager degli anni ‘60


di
Francesco Zanotti

Le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa sono gli strumenti fondamentali per disegnare un “Piano industriale”. L’utilizzo di conoscenze banali produce piani banali. Al contrario, i piani sono tanto più affidabili tanto più utilizzano conoscenze e metodologie avanzate di strategia d’impresa.
Bene, il Piano industriale di FIAT è stato scritto con le conoscenze e le metodologie d’impresa disponibili negli anni ’60 e figlie di una stagione industriale, sociale e culturale ben diversa dall'attuale  E questa “scelta” fa sì che esso manchi di contenuti che, invece, sono essenziali.
Quali? In realtà solo tantissimi. Ne cito solo tre.
Per prima cosa manca totalmente l’esplicitazione della visione della società prossima ventura che ha FIAT. Questa visione è forse l’indizio più rilevante di quanto FIAT sia in grado di costruire il business dell’auto prossimo venturo. Se la FIAT non esprime alcuna visione …
La seconda è che non vi è alcun accenno al posizionamento strategico delle diverse unità di business (in realtà occorrerebbe una ben più precisa definizione delle unità di business). Il posizionamento strategico non è il posizionamento competitivo, ovviamente.  Non mi dilungo nel descrivere la differenza che dovrebbe essere nota a tutti coloro che a, diverso titolo, hanno la responsabilità delle strategia delle imprese, piccole o grandi, manifatturiere, di servizi o finanziarie che siano. Dico solo che senza l’esplicitazione del posizionamento strategico non si può fare alcuna previsione (che non sia una qualche strampalata estrapolazione) della capacità futura di produrre cassa.
La terza è che non si dice come il Piano sia nato. E’ un’informazione importante perché essa permette di “misurare” quanto conflittuale sarà il clima futuro nelle diverse fabbriche. Certo un clima conflittuale non aiuta né a produrre cose nuove né a produrle meglio. Altrettanto certamente, un coinvolgimento zero nel disegno del Piano industriale è la miglior scelta per aumentare il livello di conflitto.
Conclusioni? Credo che le più “concrete” siano evidenti … Una più generale: per costruire un nuovo sviluppo non servono riforme, serve conoscenza … nella fattispecie, una nuova conoscenza strategico-organizzativa.