"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 5 novembre 2012

Carlo De Benedetti: mettersi in gioco


di
Cesare Sacerdoti

La lettura dell'ultimo libro di De Benedetti, ieri ripreso in tv da Fazio, mi ha colpito per lo spirito quasi rassegnato che pervade l'intero lavoro, a partire dalla visione apocalittica del libro La strada di McCarthy, fino alla assenza di quello spirito propositivo rappresentato da quella metafora delle 100.000 punture di spillo del suo precedente lavoro del 2008.
Ovviamente non si può non condividere che, come dice De Benedetti, ”un intero paradigma produttivo” sia “fortemente messo in discussione”, né che si debba “ puntare su un nuovo modello produttivo”, sulla “valorizzazione dello spirito imprenditoriale” e “sulla forza innovatrice, sul talento” dei giovani.
E non posso che trovarmi d'accordo sulla considerazione che ”il più grande fattore di innovazione delle nostre economie sarà sempre lo spirito creatore di un uomo o di una donna che, con i propri sogni e la propria volontà vuole migliorare il proprio destino”.
Ma, nel prosieguo del libro, non trovo le indicazioni pratiche, concrete, come mi sarei aspettato da De Benedetti.

Egli denuncia che vede “ troppa rassegnazione, poco coraggio, poca determinazione e capacità di mettersi in gioco” in particolare nei giovani: essi hanno bisogno di “un obiettivo e un sogno” più personale, più coinvolgente di quello generico e forse strumentale, in un mondo in cui le frontiere sono sempre più labili, di “un'Europa finalmente unita e patria dell’innovazione” richiamato dall’Autore.
Inoltre credo che non dovremmo continuare a evocare guerre di qualunque genere, nella fattispecie la guerra sul lavoro, così come altri autori (E. Fazi) parlano di terza guerra mondiale, o altri ancora paventino le varie guerre possibili per l'accaparramento delle risorse naturali: temo che a furia di evocarle si rischi di cominciare a crederci.

Io credo che se le risorse, il lavoro, eccetera rischiano di non essere sufficienti per le generazioni a venire, si debba pensare a come crearne di nuove, di alternative, piuttosto che accanirsi a spartire quelle esistenti. Nella fattispecie: 3 miliardi di persone devono contendersi 1,8 miliardi di posti di lavoro? (aspetto ripreso anche da Fazio nella sua intervista). Facciamo in modo che si creino nuovi lavori, nuove economie, nuovi sogni per le nuove generazioni: la mia non è una proposta utopistica, infatti, questo è stato fatto anche nella nostra storia più recente, non solo, come ricorda De Benedetti, ai tempi dei luddisti, avversari della rivoluzione industriale: ci dimentichiamo quanti posti di lavoro si sono persi per l'introduzione dell'automazione e del computer nelle aziende e nelle istituzioni? Eppure il numero dei lavoratori anche nei paesi occidentali ha continuato a crescere, almeno fino all'inizio della crisi del 2008; questo perché in parallelo si è fortemente ampliata l'industria dei servizi oltre a tutti i posti di lavoro creati dall'informatica, dalle telecomunicazioni e in generale dalle nuove tecnologie.

E come sarà possibile colmare questi fabbisogni di risorse, di posti di lavoro eccetera?
Io credo che questo sia possibile attraverso l'iniezione di nuova conoscenza strategico-organizzativa, che può nascere dai nuovi paradigmi di pensiero che sono ampiamente disponibili nei mondi delle scienze, dalla fisica quantistica alla matematica, dalla biologia alle scienze cognitive. Fornendo nuove risorse cognitive, possiamo permettere alle nuove generazioni di vedere il mondo con occhiali diversi da quelli con cui noi vediamo e organizziamo il nostro mondo. E allora si potranno creare nuovi posti di lavoro, nuovi “prodotti”, che necessiteranno di materie prime diverse (non necessariamente fisiche). Allora si potrà dare un nuovo sogno alle generazioni future e si scongiureranno i vari tipi di guerra.
E tutto ciò è possibile da subito; e dipende solamente da noi, da ciascuno di noi. E solo così potremo pensare di lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato dai nostri padri.

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