"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 30 agosto 2013

I furbi e i fessi (del concordato)

di
Luciano Martinoli


Il numero de “Il Mondo” del 30 Agosto dedica la storia di copertina ad un’analisi del nuovo concordato preventivo. E’ uno strumento pensato dal legislatore per evitare il fallimento delle aziende allo scopo di facilitare la possibilità della continuazione della loro attività, a tutela dei lavoratori e dei creditori.
Purtroppo le cose non sono andate così come si voleva. Infatti, riporta “il Mondo”, il concordato ha, nella maggioranza dei casi, o consentito la continuazione delle attività, ma a danno dei creditori, oppure permesso la chiusura senza onorare i debiti.
Ecco perché l’articolo esordisce citando Giuseppe Prezzolini: “i cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”.  
Ma i “fessi” sono coloro presi in giro dai furbetti del concordato o quelli che continuano a non voler affrontare, per ignoranza degli strumenti esistenti, il nocciolo centrale della questione: cosa vuole davvero fare un’azienda?
Ci troviamo di fronte all’eterno effetto collaterale di ogni regolamentazione, fatta la legge trovato l’inganno, o all’incapacità e non volontà di affrontare il cuore del problema?
Io propendo per la seconda ipotesi.

L’azienda, la sua attività, il suo sviluppo, il business, è una sorta di “pubblico mistero”. Pur parlandone tutti, oggi nessuno sembra in grado di comprendere la sua vera identità profonda. E’ un angosciante enigma dal quale, però, dipendiamo tutti: ne auspichiamo la buona ed eterna salute o ci disperiamo arrovellandoci sulla sua misteriosa rovina. 
La conoscenza vera della sostanza dell'azienda parte da un estremo, il dettaglio di un caso, o pochi casi in un medesimo settore, e arriva, all' opposto, al tentativo buffo, se non drammatico come nel caso del concordato, di arrivare a comprendere le cause disciplinando o dissertando sugli effetti.
Sono i depositari del primo estremo certamente gli imprenditori e (pochi) manager i quali però sono incapaci, anche perché non è loro mestiere, di dare forma a questa conoscenza in modo da generalizzarla e renderla fruibile universalmente, non solo per la loro azienda. 
All'opposto sguazzano nell'ignoranza i giuristi (legislatori, giudici, avvocati), gli esperti del metabolismo economico (commercialisti, economisti, associazioni industriali, banche, ecc.), la stragrande maggioranza dei giornalisti e dei manager.

Quanto sia grave e irresponsabile ignorare, o peggio rifiutare, di dotarsi delle conoscenze che consentano di comprendere il cuore dell’attività aziendale, quelle di Strategia d’Impresa, è sotto gli occhi di tutti attraverso la “crisi”; questo del concordato non è altro che un caso particolare. 
Le conoscenze di Strategia d’impresa sono il linguaggio attraverso il quale esprimere, e realizzare consapevolmente, quei piani di sviluppo di cui tutti, banche, giudici, avvocati, sindacati, stampa, sono affamati ma nessuno sa cosa concretamente chiedere.
Ancora più grave, come il caso del concordato dimostra, nessuno sa come giudicare, qualora fosse disponibile, un piano di sviluppo, ad esempio sottoponendolo ad un “Rating”.
Eppure sono disponibili non solo gli strumenti per redigere tali piani ma anche quelli per giudicarli, ex ante o in corso d’opera,  e svelarli credibili o “per fessi”.

Purtroppo dalle testimonianze e dai commenti (Abi, Confindustria, Governo) raccolti da “il Mondo” sul fenomeno del concordato, non si percepisce nessuna capacità di individuare la soluzione a questo problema, come a quello dello “sviluppo”, nella direzione di affrontare la sostanza, il “merito” della realtà aziendale.
Si gira sempre intorno alle conseguenze addossando le colpe, laddove le cose non funzionano, alla mancanza dei controlli, fede assoluta degli estremisti delle regolamentazioni.
Nel frattempo da un lato della barricata i furbetti prosperano per mancanza, dall'altra parte, di soggetti più furbi di loro.
E in mezzo tutti noi in attesa di futuro.

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