"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 16 luglio 2014

La "voglia di futuro" del gotha delle aziende italiane

di
Luciano Martinoli


E' disponibile, nella sua versione finale, il III Rapporto sul Rating Business Plan aziende FTSE MIB e STAR. In documento separato (Redigere e valutare Business Plan) è accessibile la descrizione del "modello" rispetto al quale si è fatto il rating, frutto del lavoro di ricerca da noi effettuato sullo stato dell'arte della Strategia d'Impresa e non solo, e il processo stesso di rating.
Quale è il significato profondo di questa attività? Come può essere utilizzato per il dibattito, e la pratica, dello sviluppo delle imprese e, più in generale, del nostro paese?
Consentitemi di fare alcune premesse per sgombrare il campo da luoghi comuni che possono indurre confusione e incomprensioni. La prima, più urgente e anche "drammatica" per le conseguenze che induce, è che spesso si scambia l'efficienza operativa con la strategia. La prima è il perseguimento dell'efficienza delle risorse attualmente sotto controllo, tipicamente affiancata dalla presunzione di ambiente stabile. In altri termini una estrapolazione del presente.
La seconda invece è il perseguire le opportunità al di là delle risorse attualmente sotto controllo, e di conseguenza, vi è il progetto per creare il nuovo ambiente di business. Detto in altro modo una creazione di futuro che passa attraverso la ridefinizione dei mestieri dell'azienda e del suo posizionamento strategico.
Un'altro chiarimento fondamentale riguarda quando effettuare una pianificazione (sviluppo evolutivo) e quando definire una strategia (sviluppo rivoluzionario). La risposta è semplice e parte da un altrettanto semplice presupposto: il "significato" dei prodotti e servizi tende a spegnersi col passar del tempo e, con essi, gli economics dell'azienda che li produce/eroga, primo fra tutti i flussi di cassa. Dunque al diminuire dei flussi di cassa aumenta l'urgenza di fare progettazione strategica.
Ultimo, ma non meno importante, chiarimento è come effettuare tale progettazione. Esiste, da più di mezzo secolo, una disciplina che si occupa di fornire linguaggi, strumenti e processi d'uso per questo scopo e che, come tutte le conoscenze umane, vive di continui progressi e miglioramenti: è la Strategia d'Impresa.

Detto questo cosa è risultato dal nostro rapporto, che può essere considerato a tutti gli effetti una Due Diligence Strategica, sulle più grandi aziende del nostro paese quotate alla Borsa di Milano, motori della nostra economia?
Il primo, e forse più imbarazzante, è una diffusa ignoranza della disciplina che fornisce supporto alla stesura dei Business Plan. Non ce lo si aspetterebbe da organizzazioni che certamente hanno le risorse per accedere a questa conoscenza. Forse la motivazione, non certo giustificazione, è che tale attività, rappresentata nel Business Plan, viene considerata semplice pianificazione, ovvero prosecuzione delle attuali performance economico-finanziarie a fronte di un contesto stabile o considerato tale in virtù di posizioni monopolistiche o accesso a mercati protetti (ma per quanto tempo?). Dunque, dal loro punto di vista, non serve fare strategia (come qualcuno ci ha addirittura dichiarato) e la pianificazione e affare da economisti e staff dell'amministrazione; peccato che i flussi di cassa calano e l'indebitamento complessivo (e le emissioni di bond) aumentano!

Un secondo aspetto è che la lettura dei piani, anche laddove volenterosi di esprimere intenzioni strategiche in modo non preciso, lascia intravedere un atteggiamento da "istituzioni": soggetti che esistono ed esisteranno a prescindere dal mondo circostante e il cui unico scopo è gestire al meglio (fare efficienza) le risorse esistenti.
Un ottica autoreferenziale che non consente certo di dare uno sviluppo complessivo al sistema paese in cui si opera. Molti soggetti tentano di rimediare a tale mancanza con le attività descritte nei bilanci sociali che qualcuno, forse a ragione, ritiene anche più interessanti dei Business Plan ufficiali. Si tratta però di un tentativo di piazzare una "foglia di fico" sulla incapacità di creare sviluppo vero, quello fatto col core business, non con attività accessorie totalmente slegate da esso. 
Questa presunzione di indipendenza dal contesto la si intravede anche in coloro che non hanno pubblicato nessun Business Plan, con dichiarazioni in alcuni casi esplicite riguardo questa loro volontà. 
Non è dato sapere se questo sia il segno di un'assenza del business plan tout court o più semplicemente di una sua mancata pubblicazione. Certo è che in questo caso ci si priva del supporto degli stakeholder a sostegno di una eventuale strategia aziendale; perchè le sorti dell'azienda interessano anche ad "altri" diversi dagli investitori. Se questi "altri" non sanno, o non sono coinvolti, non ci si può meravigliare se si mettono di traverso nell'esecuzione dei Business Plan. Ma anche volendo rimanere nell'ottica dei soli investitori, che peso hanno, agli occhi di questi, dei piani illustrati nel segreto degli Investor day rispetto a progetti pubblicati e diffusi a tutti?

Infine l'aspetto più significativo, ma meno considerato, dei Business Plan rilevato dalla nostra Due Diligence Strategica (il rapporto) è la modalità di realizzazione degli stessi che è equiparabile alla probabilità di realizzazione.
Già nel 1996 Gary Hamel, in un articolo su Harvard Business Review dal titolo "Strategy as Revolution", auspicava che il processo strategico dovesse essere democratico.

Le aziende dovrebbero cercare i rivoluzionari tra i 25enni, tra le persone che lavorano alla periferia delle aziende, lontane dagli headquarter, e tra i nuovi arrivati che non sono stati ancora cooptati ai dogmi del settore industriale... quello che i senior executive non devono fare è chiedere ad un piccolo gruppo elitario, o a dei 'cervelli sostitutivi' delle tradizionali aziende di consulenza strategica, di mettersi in un cantuccio e disegnare il futuro dell'azienda.

Hamel, nel suo solito stile, evoca e suggestiona ma manca di proposte operative. Queste ultime pur essendoci nel nostro Rating sono risultate inutili in quanto c'è stato ben poco da misurare: quasi nessuno diceva alcunchè sul processo di redazione del Business Plan.
Eppure è dal 1975, anno in cui la prima grande azienda di consulenza strategica aprì in Germania, che quei consulenti si sentono dire dal management di quel paese: andate giù in fabbrica e cambiate le cose lì. Quella sarà la fonte del nostro vantaggio competitivo!

Concludo indicando che un reale sviluppo del nostro paese parte dalla capacità delle nostre imprese, grandi e piccole, di eseguire progettazione strategica alta e forte rappresentandola in Business Plan di cui, se volete, abbiamo dato un indice. Indice che costituisce una guida alla corretta rappresentazione della strategia ma, sopratutto, uno stimolo a dare risposte a domande che nessuno prima aveva mai posto con tale chiarezza (anche se "vagavano" nella testa dell'imprenditore, dei manager, dell'organizzazione).
E' così, dal basso, che il paese può uscire dallo stato attuale, progettando e realizzando nuovi futuri entusiasmanti. Interventi dall'alto, come quello proposto qualche giorno fa dal vice ministro Calenda e commentato dal post del mio collega Zanotti ieri, sono inutili. Infatti è inutile riformare il lavoro se questo potrà avere, a seguito dei futuri progettati dalle aziende, conformazioni ad oggi inimmaginabili. Così come pure non è dato sapere oggi quali saranno le infrastrutture, e che caratteristiche dovranno avere, che serviranno alle aziende che progetterano il futuro. Il tentativo di un governo, in questi termini, è quanto di più pericoloso ci possa essere: immaginare una "ripresa" del passato e preparare il terreno affinchè accada. Peccato che il passato non torni (mai accaduto) e il futuro lo potranno creare le aziende con i loro progetti, non certo i governi con le loro leggi.

Nostro compito allora è fornire i migliori strumenti, e migliorarli senza soluzione di continuità, per aiutare tali progettazioni di futuro. Speriamo di trovarne traccia, ma anche di sostenerne il processo, nei prossimi rating e celebrare, finalmente, un nuovo "Rinascimento" (che il mio amico Zanotti ricorda che non fu la "ripresa" del Medioevo) italiano.

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