"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 9 luglio 2014

Le riforme aiuteranno davvero le imprese a generare cassa?

di
Cesare Sacerdoti

I giornali riportano la frase di Squinzi a Benevento: “Riteniamo prioritario fare le riforme nel nostro paese”.

Innanzitutto ci si chiede prioritario rispetto a cosa? Sperando che la frase non voglia dire “noi stiamo fermi, aspettiamo le riforme e poi ci rimettiamo in moto”, anche perché, nel frattempo il mondo cambia e non è detto che le riforme auspicate oggi, ci chiediamo, proprio alla luce della situazione attuale, se siano adatte al mondo di domani.

In seconda istanza viene spontaneo chiedersi quanto le riforme che cerchiamo di fare possano dare un contributo sostanziale per permettere alle aziende italiane di riprendere a generare cassa. Abbiamo detto tante volte su questo blog, quanto questo sia l’obiettivo primario per il sostentamento delle aziende stesse e con esse per il miglioramento delle condizioni  economiche e sociali del nostro Paese.

Io credo che l’attesa di qualche intervento risolutivo, che provenga dal di sopra (politico e istituzionale) delle nostre aziende, suoni sempre più come un alibi, un alibi che giustifica la ridotta capacità di generare autonomamente sviluppo del nostro sistema di imprese. 

Un esempio concreto, semplice, ci viene da Expo 2015: lasciando stare le diatribe sul tema, sulla location, sulle infrastrutture, sulla corruzione ecc., potremmo vedere questo evento come un’opportunità che i nostri Governi hanno fornito a Milano, ma anche alla Lombardia e ai territori circostanti, per generare sviluppo duraturo, per definire nuove strategie territoriali, per far nascere nuove imprese, nuovi centri ricerca, ecc., che diano al territorio nuove prospettive future, approfittando della grande visibilità e del volano di interessi a breve che Expo2015 ha generato in questi anni di preparazione, e genererà nei 7 mesi di esposizione.
E, invece, vediamo il nulla: non si è praticamente mai parlato altro che di infrastrutture da realizzare e di come utilizzarle dopo la fine dell’evento.

Non si è discusso di contenuti. Non si è definito un nuovo posizionamento strategico di Milano. Non si sono attirati investimenti. Non sono nati nuovi poli industriali nei temi che l’esposizione tratta direttamente (cibo e energia) o indirettamente (rapporti nord-sud del mondo, smart city tanto per fare degli esempi). Non sono nate nuove facoltà universitarie o nuovi centri di ricerca.
Ma, al momento, non si vede neanche una capacità delle nostre imprese e delle istituzioni di sfruttare l’occasione per promuovere i propri prodotti, i territori.

Ci è stato detto che Expo2015 impatterà su un’area di almeno 300 km di diametro (cioè da Torino a Vicenza, da Como a Bologna), eppure al di fuori del centro di Milano la parola Expo è sconosciuta: non si vedono pro loco che attirino turismo, né associazioni di produttori dei vari cibi o bevande che promuovano eventi per farsi conoscere. Eccetera.

Allora la domanda che viene spontanea è: la colpa è davvero di chi ci governa? È del Presidente del Consiglio che non ci dà i fondi? O della Regione? O del Sindaco?
E perché non delle associazioni industriali o commerciali? E giù fino alle associazioni di categoria o alle associazioni territoriali? E, poiché esse sono formate da Imprese, da Enti, da Istituzioni locali, allora, forse, tutti noi abbiamo la responsabilità di non cogliere l’opportunità che ci è stata fornita.
Tornando quindi alla frase di Squinzi, ci viene spontaneo chiederci se allora la “priorità” non debba essere quella di ridare alle imprese la capacità di generare sviluppo. E questa non dipende dal Governo o dalle sue strutture: là fuori c’è un mondo da creare e lo creeremo tutti  insieme, se vogliamo, se ci crediamo. 

Nessun commento:

Posta un commento