"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 26 settembre 2014

Una "povera" idea di sviluppo (II ricerca sui Minibond)

di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com
l.martinoli@cse-crescendo.com



Stiamo continuando a farci la stessa domanda: ma i Minibond sono strumenti di sopravvivenza o di sviluppo? 
Dalla nostra precedente ricerca la risposta che emerse fu chiara: sopravvivenza. Allora abbiamo indagato sui titoli ExtraMOT PRO quotati successivamente, dal 14 febbraio al 30 agosto, definendo in maniera più precisa cosa si dovrebbe intendere per “sviluppo”.
Le risorse finanziarie a debito fornite a una impresa genereranno sviluppo se permetteranno all'impresa stessa di aumentare, grazie alla realizzazione del Progetto Strategico che giustifica la richiesta di risorse finanziarie, e nei tempi previsti, la sua capacità di generare cassa in modo da:

  1. pagare il servizio del debito,
  2. restituire la somma presa in prestito,
  3. generare risorse libere come segnale di una sua acquisita indipendenza strategica.


Per cercare di capire se genereranno sviluppo le 35 aziende che hanno emesso titoli di debito, di importi variabili, per complessivi 1.193 milioni di euro e quotati al mercato ExtraMOT Pro di Borsa Italiana nel periodo osservato, siamo andati a vedere le loro stesse dichiarazioni descritte  ne “l’uso dei proventi” contenute nell'unico documento pubblico disponibile: il “Documento di Ammissione”.
Abbiamo scoperto che 4 di queste aziende erano quotate (sul mercato azionario) e hanno quotato i titoli su ExtraMOT Pro, invece che sul mercato loro dedicato, per evidenti motivi di risparmio sulle emissioni. Ulteriori 7 hanno emesso titoli per sostituire il debito bancario che gravava sui loro bilanci. Infine 8 utilities hanno raccolto risorse, che restituiranno in 20 anni, per lavori sulla propria rete idrica che non si capisce come, in un mercato regolamentato come quello dell’acqua, possa soddisfare il terzo requisito della nostra, ma speriamo ampiamente condivisibile, definizione di sviluppo. Il totale di queste emissioni è di 1033,65 milioni di euro corrispondenti a 87% circa del totale.
Sulla possibilità che il rimanente 13% dell’importo generi sviluppo, lascio gli interessati alla lettura del nostro rapporto (disponibile a richiesta inviandomi una email).

Confrontando questi dati con le dichiarazioni del governatore della BCE Draghi, che recentemente sottolineava “Non ci sarà ripresa sostenibile nell'Eurozona senza una ripresa degli investimenti”, è evidente che siamo di fronte ad una misura, i minibond, certamente necessaria ma assolutamente non sufficiente. Gli investimenti infatti sono sì indispensabili ma devono produrre sviluppo nel senso specificato prima. Erogare risorse a loro supporto, senza accertarsi che questo accada, equivale a sperare che basti aprire un rubinetto e aspettarsi che l’acqua che ne esce vada nella direzione “giusta”, ignorando che invece va laddove è più facile che vada (nel caso dell’acqua dove l’attira la forza di gravità, nel caso dei finanziamenti al meglio a ripianare debiti al peggio… non si sa).

Non è migliore, da questo punto di vista, la posizione del Ministro Padoan che in un comunicato stampa del 28 agosto affermava che “lo strumento minibond è ormai decollato” riferendosi alle 26 emissioni del periodo giugno-agosto per un totale di poco più di un miliardo. Inoltre affermava che “Il potenziamento dei minibond rientra nella missione ‘Finanza per la crescita’… per rafforzare e diversificare gli strumenti di finanziamento delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, e favorire così il rilancio degli investimenti”.
Peccato che di quelle 26 le prime 5 hanno emesso per 758 milioni (e fatturano più di 250 milioni di euro quindi non sono PMI secondo la definizione della commissione europea). Se a queste si aggiungono 3 quotate per 58,7 milioni di euro, le 8 utility per 150 milioni, ne rimangono 10 che hanno emesso per 114,4 milioni di euro, il 7% del totale. Ma togliendone una che fattura più di 250 milioni di euro, che ha emesso per 50 milioni, le PMI vere e proprie hanno emesso per un totale di 64,4 milioni di euro, il 6% circa del totale.
Non è chiaro, di fronte a questi numeri, dove sia la fonte di soddisfazione per “aver favorito il rilancio degli investimenti”, che vedremo solo alla scadenza delle emissioni se saranno state generatori di sviluppo o meno, per le “piccole e medie imprese” che ne hanno invece beneficiato in misura grandemente minoritaria. Viene il sospetto che la missione Finanza per la Crescita abbia la convinzione che per riempire un secchio in maniera stabile basti gettarci dentro più acqua possibile, indipendentemente dal fatto che esso sia bucato.

Lungi dal criticare l’impianto legislativo che ha consentito la rinascita di una nuova finanza per le imprese, o l’operato dei vari attori che si sono mossi nell'ambito delle opportunità perseguibili, è però ora che si faccia un salto di qualità se davvero si vuole costruire “sviluppo” con questi strumenti. I minibond costituiscono quella “Finanza di Scopo”, andata scomparendo dal panorama nazionale a partire dagli anni ’90, che deve dotarsi degli strumenti per stimolare, prima, e descrivere e valutare, poi, gli “Scopi” per i quali vengono emessi e rappresentare e giustificare i benefici che ne discenderanno.
Purtroppo l’attenzione su questo tema, che, non ci stancheremo mai di ricordare, deve essere il contenuto del Business Plan, è mortificato e declassato a livello di mero adempimento burocratico (e nemmeno tanto importante).
E’ una mancanza gravissima in quanto a fronte del perdurare dello stato drammatico di crisi, testimoniato quasi quotidianamente dalle cifre che rappresentano cali di consumi, aumento di disoccupazione e sofferenze bancarie, chiusure aziendali, ecc., si dimentica che la fonte della rinascita economica è la “vitalità” delle imprese nel generare lo sviluppo di cui si è detto.

Per ottenerlo non basta quello che due ricercatori chiamano, su un recente articolo apparso su Harvard Business Reviewla Performance-improving innovation, che mira a rimpiazzare vecchi prodotti con nuovi modelli. E nemmeno la Efficiency innovations è utile, in quanto mira a fare e vendere prodotti maturi agli stessi clienti ma ad un prezzo più basso.
Ciò che serve per riprendere la generazione abbondante di cassa è la Market-creating innovation che trasforma prodotti complicati e costosi in modo così radicale che creano una nuova classe di consumatori o un nuovo mercato (a noi piace chiamarlo un «nuovo mondo»).
Purtroppo oggi ci si accontenta di verificare, negli intenti strategici dell'azienda, l'esistenza di una generica innovazione, condita con l'immancabile internazionalizzazione, e l'azienda può aspirare a finanziamenti di qualche tipo. Ma se l’imprenditore non è stimolato e aiutato a generare la Market-creating innovation, e a rappresentarla, a che serviranno le riforme, i provvedimenti monetari, i jobs act e quant’altro si possa immaginare da 10.000 metri di altezza?
Il problema italiano non è di supporto ad un tessuto imprenditoriale esistente, ma di stimolo affinchè si trasformi in profondità e diventi ben altro. Per realizzarlo bisogna partire dal basso, dalle singole imprese, fornendo loro strumenti cognitivi e linguaggi che li aiutino a progettare e rappresentare, nei loro Business Plan, l'azienda che sarà. 
I soldi per sostenerle sono lì che aspettano (ma per quanto?).



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