"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 26 novembre 2014

Un disperato bisogno di crescere

di
Luciano Martinoli


No, non è il titolo di un romanzo di formazione ma il nome dato all'ultimo "Rapporto sull'economia globale e Italia", il XIX, a cura di Mario Deaglio. 
Eppure con il romanzo di formazione vi sono molte similitudini, perché il disperato bisogno di crescere esiste.
Ma, credo, (ed è questa la tesi che voglio sostenere) che questa crescita debba essere prima cognitiva. Solo dopo una forte crescita cognitiva vi potrà essere una crescita economico e sociale.

lunedì 24 novembre 2014

Una piattaforma cognitivo-finanziaria-professionale

di
Francesco Zanotti


E’ ovvio che sia necessaria una nuova piattaforma finanziaria (che fornisca sia risorse a debito che di capitale) che non provenga dal settore bancario.
E tecnicamente non è impensabile che la si possa creare.
Il problema è che la disponibilità di questa piattaforma finanziaria è solo una condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre che queste risorse vengano utilizzate per costruire sviluppo. Per far questo non basta parlare genericamente di investimenti come se fosse chiaro ed evidente a cosa servono questi investimenti. Occorre sviluppare progetti capaci di far aumentare la capacità di generare cassa alle imprese in modo da remunerare chi ha fornito le risorse finanziarie e lasciare cassa disponibile per futuri investimenti alle imprese.

Per valorizzare la piattaforma finanziaria sono allora necessarie una piattaforma cognitiva ed una professionale.

Una piattaforma cognitiva
La qualità della progettualità è “direttamente” proporzionale alla qualità delle risorse cognitive di cui si dispone.
Oggi la qualità delle risorse cognitive di cui dispongono sia le imprese che le istituzioni finanziarie non permettono né di scoprire le ragioni della crisi, né (tanto meno) di riprogettare l’identità strategica delle imprese.
E’ allora necessario fornire a istituzioni finanziarie un nuovo sistema di risorse cognitive.
Esse sono costituite, innanzitutto, da una nuova visione della crisi.
Essa è generata, sostanzialmente, dalla perdita di significato del sistema dei prodotti tipici della società industriale. Detto più semplicemente: calano gli acquisti per il perdere di interesse dei prodotti tipici dell’attuale sistema industriale. In Italia il fenomeno è accentuato dal fatto che troppe aziende sono terziste mono cliente. La crisi di questo unico cliente genera immensi problemi perché non sono abituati ad azioni di mercato.
Se questo è vero, allora la soluzione della crisi non sta in un amento di competitività o di aumento della qualità del Sistema Paese. Anche, ma prima è necessario avviare una nuova stagione di progettualità strategica presso tutte le imprese.

Perché questa via sia percorribile sono necessarie le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Disponendo di queste risorse cognitive le imprese sapranno costruire Progetti di Sviluppo (Business Plan) alti e forti. E le istituzioni finanziarie potranno valutarne la qualità, cioè la finanziabilità.
Noi attraverso un processo di ricerca a livello internazionale abbiamo ricercato ed esplorato le migliori conoscenze e metodologie di strategia d’impresa a livello internazionale. Ne abbiamo fatto una sintesi e abbiamo compiuto passi ulteriori.

Una piattaforma professionale
Da ultimo, data la natura peculiare del sistema imprenditoriale italiano, è necessario disporre di una piattaforma di professionisti sparsi sul territorio che diffondano queste nuove risorse cognitive e stimolino capillarmente la nuova progettualità imprenditoriale che è indispensabile.
Noi abbiamo da tempo iniziato a costruire questa piattaforma professionale “multi-locale”. Siamo a disposizione di tutti coloro che volessero aderirvi.



giovedì 20 novembre 2014

Aumentare i flussi di cassa, non il PIL

di
Francesco Zanotti




Tutti (soprattutto politici ed economisti) affermano che è necessario crescere. Ma che cosa è che deve crescere? La risposta che si dà normalmente è molto semplice: il PIL.
E’ vero che vi è chi si concentra su variabili a più alta intensità sociale, come l’occupazione, ma, anche costoro, poi, finiscono col riconoscere che l’aumento dell’occupazione passa inevitabilmente da un aumento del PIL.

Purtroppo, però, se si guarda al PIL si rischia una retorica della crescita velleitaria e anche un po’ qualunquista. Il PIL è una variabile troppo generale, forse anche generica, certo rinunciataria.
Infatti, il PIL contiene tutto e il contrario di tutto: i consumi, la spesa pubblica, gli investimenti, il saldo commerciale con l’estero.
Allora, un aumento del PIL, può essere generato, ad esempio, dall'aumento dei consumi e del saldo commerciale, ma anche dall'aumento della spesa pubblica. Credo, proprio che queste due modalità di crescita non abbiano lo stesso impatto sulle possibilità di sviluppo dell’economia, delle imprese, dell’occupazione, della qualità della vita delle persone.
Ancora: un aumento del PIL è un risultato “medio”. Ma come tutti sanno, i macro risultati medi sono sempre del tipo “pollo di Trilussa”: sono la somma di successi e tragedie. E a noi tutti interessano successi diffusi e condivisi.
Da ultimo, il ragionare in termini di PIL, porta sempre a speranze di crescita molto lente e di piccola entità. E noi tutti abbiamo bisogno di uno sviluppo (anche la parola crescita, come sosterrò più avanti, è una parola a dir poco fuorviante) alto, forte, diffuso e solidale.

Che altra variabile usare. Invece del PIL?
Propongo di usare come variabile di riferimento i flussi di cassa delle imprese. Propongo di spostare l’obiettivo dal livello macroeconomico, al livello della singola impresa.
Usando questa variabile, l’obiettivo dello sviluppo si traduce in qualcosa di molto concreto ed operativo: un aumento rilevante ed in tempi breve dei flussi di cassa a livello di ogni singola impresa.

Se si raggiunge questo obiettivo si ottiene uno sviluppo economico e sociale complessivo che è direttamente proporzionale alla crescita della produzione di cassa.
Si riesce ad aumentare non solo la quantità, ma anche la qualità dell’occupazione.
Si riesce a migliorare la qualità degli attivi delle banche. Detto diversamente: aumentare il merito e la qualità del credito. Detto ancora diversamente: si garantiscono e si remunerano meglio i risparmi.
Si riesce a remunerare il capitale investito e, quindi, a diventare attrattivi per investitori.
Si riesce ad aumentare in valore assoluto e diminuire in termini percentuali, il gettito fiscale. Un aumento del gettito fiscale (rilevante, in tempi brevi e senza effetti depressivi) permette di avere risorse per Stato Sociale, Scuola, Ricerca etc.

In sintesi, è l’aumento dei flussi di cassa delle imprese che porta al formarsi di un circolo economico e sociale virtuoso.

martedì 18 novembre 2014

La grande Europa scopre la svalutazione competitiva

di
Francesco Zanotti


Un articolo di Moyra Longo sul Sole 24 Ore di oggi “Il toccasana dei mini euro” parla appunto dei vantaggi che sono derivati dallo svalutarsi dell’Euro rispetto al Dollaro.
Colgo l’occasione per una riflessione. Amara o, forse, profetica. Ma vi rendete conto che la prosopopea della grande Europa del XXI secolo ha finito, dopo pochi anni dall’inizio di questo nuovo secolo, con il copiare la strategia della svalutazione competitiva dell’Italietta della fine del secolo scorso? Tutto qui?
Noi abbiamo bisogno di riprogettare un intero sistema industriale, economico e finanziario e, invece di dotarci delle risorse cognitive per farlo, siamo in balia di una classe dirigente che cerca, ostinatamente, conservazione con le “strategie” che noi già 30 anni fa giudicavamo solo furbette?
“Ce lo chiede l’Europa”, è lo slogan  di tutti. A me sembra che l’Europa (la sua classe dirigete attuale) ci chieda solo banalità burocratiche e strategie fallimentari.
E la profezia? Semplice, l’Italia è la profezia del mondo. Guardate cosa accade qui e vedrete cosa accadrà nel breve altrove.

Ma ne riparleremo...

venerdì 14 novembre 2014

Più tecnologia = meno occupazione? Il problema è da un'altra parte

di
Luciano Martinoli


Un articolo apparso su un inserto del sole24ore di qualche giorno fa ripropone un tema che appare frequentemente nel dibattito sociale ed economico: l'aumento della tecnologia riduce l'occupazione e i prezzi dei beni.
E' un'affermazione senz'altro vera i cui effetti sono già stati visti in passato ma, sostenendo questa tesi, si denuncia una visione miope sul fenomeno: la tecnologia crea anche nuove opportunità, di prodotti e di lavoro.

lunedì 10 novembre 2014

Da dove veniamo? Piccola storia del nostro sistema industriale

di
Francesco Zanotti


La guerra aveva “semplificato” le esigenze di auto realizzazione delle persone. Prevalevano i fabbisogni igienci fondamentali: cibo, casa, vestiti, trasporto. Essi erano intensi, semplici e di tipo funzionale.

Per soddisfare queste esigenze ben definite vi erano risorse disponibili e di semplice, quindi potenzialmente diffuso, utilizzo.
Le risorse erano le seguenti:   finanziarie,  energetiche, tecnologiche e cognitive.
Le risorse finanziarie erano resi disponibili dal Piano Marshall.
Le risorse energetiche dall’Agip prima e dall’ENI dopo.
Le risorse tecnologiche erano semplici e facilmente apprendibili attraverso il lavoro.

Le risorse cognitive sono state le più importanti.
Innanzitutto vi era una visione condivisa della società ideale: la società americana. Forse non dal punto di vista politico, ma da quello di soddisfare le esigenze igieniche certamente. Si trattava della società americana.
Poi vi era una visione semplificata dell’impresa e del fare impresa.
Da ultimo, una comune visione del mondo di tipo “ingegneristico”: la visione del mondo della fisica classica.

In quel contesto “ecologico” si è sviluppata la generazione di imprenditori che ha costruito il nostro sistema industriale. Fatto di imprese che costruivano prodotti adatti a soddisfare le esigenze igieniche alle persone e che permettevano a chi lavorava in quelle imprese di comprare i loro prodotti.

Sui risultati raggiunti dal nostro sistema industriale si è costruito un sistema Paese in modo funzionale al miglior funzionamento di quel sistema industriale. Poi cosa è accaduto? Che a quel sistema industriale siamo sostanzialmente rimasti.


giovedì 6 novembre 2014

ANIA: dimenticare il passato e non costruire il futuro

di
Francesco Zanotti


E’ scoppiata la grana dell’ANIA. Che è come un ologramma della crisi delle altre associazioni imprenditoriali. Ma non è una crisi di Governance è una crisi di significato, quindi di mancanza di strategia.
Mi spiego con una storia di cui sono stato protagonista.
Erano i primi anni ’90 e ho contribuito a sviluppare per ANIA una vera e propria strategia di sviluppo del settore Assicurativo. Lo strumento era un Osservatorio Sociale per le Assicurazioni che aveva come obiettivo quello di coinvolgere gli Attori Sociali (dai consumatori ai sindacati.) nel progettare lo sviluppo del settore assicurativo. Per la costruzione di questo Osservatorio Sociale avevamo raccolto il consenso dei manager assicurativi più importanti e dei vertici dell’ANIA. Unipol non faceva parte dell’ANIA, ma guardava con attenzione a questo progetto che era molto coerente con la sua profonda ispirazione sociale. Ma, poi, come è finita? Come accade di solito: il cambiamento dei vertici dell’ANIA e del mondo Assicurativo (non faccio né il nome dei “cacciati”, né il nome dei subentrati, sarebbe sterile polemica) che contava hanno bloccato il progetto. Figurarsi se nuovi manager approvano quello che è stato fatto dai manager vecchi. Così, invece di 20 anni di cooperazione sociale per costruire un futuro condiviso del settore assicurativo avendo come faro il sistema di welfare, vi sono stati vent’anni di scontro con gli attori sociale. E di perdita di ruolo politico-sociale dell’ANIA.

Morale? E’ il momento che tutte le Associazioni imprenditoriali non tanto cambino Governance, ma si costruiscano un proprio progetto di sviluppo (di senso, nel caso dell’ANIA: che ruolo ha questa Associazione come l’ANIA, quindi che ruolo ha il settore assicurativo, nello sviluppo del nostro Paese?) che dovrà essere molto più ampio ed ambizioso di quello, pur eccellente, degli anni ’90. Non è tanto un problema di regole quanto di progettualità. Il resto è tattica o conflitto di potere personale.

martedì 4 novembre 2014

Vantaggio competitivo sostenibile: un concetto insensato

di
Francesco Zanotti


Quale investitore non vuole investire in una impresa che ha un vantaggio competitivo sostenibile?
Nessuno! Ebbene dobbiamo renderci conto che è un obiettivo irrealizzabile. Non solo, il perseguirlo blocca il futuro.
E’ irrealizzabile perché, se anche una impresa avesse realmente oggi un vantaggio competitivo, esso sarebbe immediatamente minacciato dai concorrenti che cercherebbero di annullarlo. A proposito, ma quale Business Plan prevedere le contro mosse dei concorrenti? Nessuno. Si pensa forse che i concorrenti stiano lì a subire un vantaggio competitivo senza reagire?
Ma perché blocca il futuro? Perché concentra l’attenzione sul modello di business con il quale si sta operando e che è uguale a quello dei concorrenti. E nessuno si accorge che il problema fondamentale di oggi è che gli attuali sistemi d’offerta (prodotti e servizi) sta perdendo di senso. E se anche, per assurdo, si riuscisse ad acquisire un vantaggio competitivo sostenibile sarebbe in un business che non interessa più a nessuno.