"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

sabato 21 marzo 2015

I Fattori di oggettiva ripresa economica (secondo Renzi)

lettera aperta al Presidente Renzi
di
Luciano Martinoli

Renzi parla di Europa e fa il fenomeno. Ma quel semestre italiano fu un flop

Invito al Panel della presentazione del 
IV Rapporto su Rating Progettuale dei Business Plan delle aziende dell’indice 
FTSE MIB di Borsa Italiana.
Milano 10 giugno 2015

Egregio Presidente,
Desideriamo invitarla all’evento in oggetto perché riteniamo sia di vitale importanza per un’azione efficace del governo che lei presiede in quanto fornisce una prospettiva troppo spesso dimenticata: quella delle singole attività delle aziende.

Recentemente Lei ha dichiarato che i cinque fattori di oggettiva ripresa economica sono per la quasi totalità sotto il controllo del governo. Mi consenta di aggiungerne un altro che costituisce le fondamenta, la base della piramide della società come è oggi, il primum grazie al quale gli altri fattori prendono senso: le attività correnti delle imprese e le loro intenzioni future.

Oggi le attuali attività delle aziende, non in tutte ma nella stragrande maggioranza dei casi, sono “povere”. La dimostrazione è la continua richiesta di supporti da parte loro: dal Jobs Act per le assunzioni agli interventi di finanza, ordinaria e straordinaria, reclamati a gran voce. 
Da questo punto di vista le do ragione quando, dopo il recente provvedimento sul lavoro, ha affermato che “le aziende adesso non hanno più scuse”. 

Infatti sono proprio “scuse” quelle che accampano perché la vera ragione del mancato sviluppo (che preferiamo rispetto a “ripresa”) è l’incapacità da parte di tante (troppe!) aziende di creare quella ricchezza di cui erano state capaci in passato. E questo non per motivazioni esterne ad esse ma perché i prodotti e servizi che offrono stanno perdendo sempre più di significato e interesse.

Le imprese hanno bisogno di una rivoluzione strategica della loro identità e dei loro sistemi d’offerta. Solo così si ristabilirà quell’equilibrio della società liberista, se vogliamo ancora questa, per la quale sono le aziende che creano la ricchezza sociale e mantengono lo Stato, non viceversa.

Da dove partire allora?

A nostro giudizio dai “campioni” pubblici, nel senso della proprietà posseduta in varie percentuali dal mercato, delle aziende quotate all’indice FTSE MIB di Borsa Italiana.
Quaranta imprese, di vari settori, il cui fatturato aggregato ammonta a quasi 500 miliardi di euro, che per le loro dimensioni e presenza locale possono essere considerati i motori dell’economia nazionale.
La loro caratteristica “pubblica”, essendo quotate, le obbliga ad un grado di trasparenza maggiore rispetto ad altre e da qui dunque relativamente facile, e lecito, chiedere loro:
  • a quale progetto di Italia futura stanno lavorando, 
  • che benefici di reale sviluppo questi progetti porteranno (in termini di produzione di cassa, assunzioni, ecc.),
  • quanto questi progetti faranno di loro HUB di sviluppo (nuovi mercati, nuove filiere) per il tessuto economico e sociale circostante,

e tanto altro ancora. 

Dove trovare queste informazioni e la descrizione di queste intenzioni ? Nel documento ufficiale che le dovrebbe descrivere : il Business Plan inteso non soltanto come un semplice comunicato burocratico di proiezioni economiche ma come rappresentazione del fermento di cambiamento che sta avvenendo in azienda e si vuol far avvenire nella società a loro circostante (che poi darebbe credibilità maggiore e più alte probabilità di realizzazione alle successive proiezioni economiche).

Il « Rating » che emetteremo su questi Business Plan, allora, ha il significato di un giudizio di qualità sul futuro alle quali queste aziende stanno lavorando. Dunque l’insieme dei Rating di tali imprese può essere considerato, con buona approssimazione, uno spaccato del futuro dell’Italia, alla quale sta lavorando una parte consistente delle imprese chiamate a costruirlo e dei lavoratori (più di due milioni sono i dipendenti delle 40 FTSE MIB) che quotidianamente lo realizzeranno con le loro attività.


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