"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 28 luglio 2015

FMI: generazione perduta. Ma per volere del fato o per colpa?

di
Francesco Zanotti


Il FMI prevede che ci vorranno vent’anni prima di ritornare alla situazione occupazionale di prima della crisi.
Di fronte a questa previsione la mia reazione è duplicemente scandalizzata. E non trova riscontro nella stampa.
Prima reazione (scandalizzata), più tecnica, ma decisiva: che algoritmo ha usato il FMI per fare la sua previsione? Possibile che nessuno tiri in ballo il tema dell’algoritmo? Non si può non farlo perché tutte le previsioni si basano sul algoritmi. Se non si discute degli algoritmi si discute del nulla. Si fanno discussioni da “Bar dello Sport”. Anche quando il Ministero dell’Economia dice che il FMI internazionale non ha tenuto conto delle riforme, non dice come avrebbe dovuto fare per tenerne conto. Come avrebbe dovuto migliorare l’algoritmo usato. Questo significa che anche il Ministero dell’Economia fa osservazioni da bar dello Sport, tra una discussione di calcio e l’altra.

Seconda reazione (scandalizzatissima): e le cause? E’ inutile che vogliamo sfuggire il problema perché per descriverlo è necessario usare parole, conoscenze e metodologie che non si conoscono. Il problema della crisi nasce dalla insufficienza delle risorse cognitive che sono nella disponibilità delle classi dirigenti. E dei media che ne fanno da cassa di risonanza.
Infatti, la crisi nasce da una progressiva perdita di significato della economia e della finanza attuali. Solo per fare qualche esempio: le imprese industriali producono beni che interessano sempre meno. Le banche non possono più vendere solo soldi, ma devono vendere anche conoscenza (le risorse cognitive che servono alle imprese per riprogettarsi). Le utilities devono capire che il loro ruolo sociale è quello di diventare hub di sviluppo di un tessuto di imprese innovative.
Per riuscire a ridare significato ad imprese di produzione e di servizio, è necessaria una progettualità strategica alta ed intensa che oggi manca completamente. Come mostrano i Rating Progettuali dei BusinessPlan che abbiamo assegnato quest’anno. Davvero, andate a leggere questi Business Plan e i nostri giudizi su di essi.
Per aumentare la capacità progettuale delle classi imprenditoriali e manageriali e la capacità del sistema dei media di valutare e discutere di questa capacità progettuale è necessario diffondere conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Se non lo si vuole fare, si costringono le nostre imprese a navigare con occhiali appannati e rigati: inciamperanno sicuramente nel macigno della conservazione.
Un esempio di occhiali appannati e rigati: il mito della competitività. Esso nasce da una furbissima strategia commerciale di M. Porter che oramai a livello scientifico è stata completamente delegittimata: non è possibile diventare stabilmente e significativamente competitivi. E non solo accademicamente, anche su di una rivista professionale come Forbes.

Ma tutti noi continuiamo bellamente a parlare di competitività. E poi ci stracciamo le vesti quando questa ricerca di competitività non funziona. Viene proprio da dire: chi è  causa del suo mal pianga se stesso. Se non fosse che il male oggi le classi dirigenti non lo fanno a loro stesse, ma alle generazioni future.

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