"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 3 febbraio 2016

Interrogativi irrituali sugli NPL

di
Luciano Martinoli


Sul sole24ore del primo febbraio vi è un interessante articolo sugli NPL, bad bank e quant'altro sull'argomento che è balzato recentemente agli onori della cronaca in merito ai dissesti del mondo bancario.
L'autore è Fabrizio Galimberti che, con il suo stile didascalico, aiuta a comprendere con parole facili cosa siano le entità di cui si parla e le circostanze che le hanno generate.
Proprio questa chiarezza e semplictà di linguaggio consente di proporre un punto di vista radicalmente diverso che, sorprendentemente, non viene considerato da nessuno, nonostante la gravità della situazione suggerirebbe (imporrebbe?) di guardare al problema in modo diverso.
Per spiegare cosa sia una bad bank, Galimberti esordisce:
"Supponiamo che in un Paese ci sia una grave crisi economica. Molte imprese falliscono e non riescono a ripagare alla scadenza i debiti che avevano contratto con le banche..."
La crisi economica viene dunque rappresentata come una sorta di evento atmosferico, le cui cause sono esterne al sistema delle aziende e provoca il fallimento delle imprese. Ma se fosse il contrario?
Mi spiego meglio: se fosse il fallimento delle imprese che provoca la crisi economica?
La domanda successiva allora è: perchè falliscono le imprese? La risposta è semplice: perchè nessuno è più interessato a comprare i loro prodotti e servizi. Per questo motivo, quando hanno ancora qualcuno che le paga poco e male, le aziende si indebitano, perchè non producono quei soldi che dovrebbero (perchè l'azienda, è bene ricordarlo sempre, è quella cosa che produce soldi, non li assorbe).
Dunque ecco una prospettiva radicalmente opposta alla narrazione corrente: le banche hanno accumulato i "crediti cattivi" perchè hanno dato i soldi (nostri) a chi non era più in grado di produrli. Così facendo hanno, anche loro, contribuito a generare e peggiorare la crisi.

L'autore continua introducendo la necessità della bad bank come veicolo che accoglie le "tossine" (le sofferenze) dalla banca madre allo scopo di "nuovamente fare il suo mestiere, tornare a prestar soldi e raccogliere capitali, da depositanti o da sottoscrittori di obbligazioni...".
Eh no, come depositante ed obbligazionista non ci sto, perchè se il "suo mestiere" è quello di prestar soldi come lo ha fatto in passato, generando e contribuendo ad allargare la crisi, è meglio che cambi mestiere. Smetta la banca di fornire "droga" e creare dipendenza e eroghi credito solo a scopo di sviluppo (ovvero affinchè le aziende tornino a produrre cassa in autonomia) e non per creare letale dipendenza che genera zombi (morti viventi che avrebbero già dovuti essere seppelliti).
Ma le banche oggi sanno capire chi genererà sviluppo in futuro (che non sempre significa che lo ha fatto in passato) indipendentemente dalle "tutele" (garanzie) che il soggetto è in grado di fornire alla banca?

Da qui in poi si passa all'illustrazione, chiara ed efficace, della strumentazione messa in atto per affrontare il tema delle sofferenze la quale strumentazione però soffre di due problemi di fondo.
Il primo è che agisce in ottica liquidatoria. Così facendo non si corre il classico rischio di gettare il bambino con l'acqua sporca? 
Il secondo: ma cosa centra tutto questo con l'evitare in futuro che si creino ancora le sofferenze? Si spera che "torni il sole" (la famigerata e misteriosa ripresa economica) e tutto tornerà come prima?

E' evidente che il dibattito sull'argomento ha urgentemente bisogno di rimettere al centro dell'agenda il fattore iniziale dello stato di malessere generale, l'attore che con i suoi comportamenti virtuosi, o viziosi, genera, lui solo, prosperità o povertà: l'azienda.
Mettere al centro l'azienda però non significa valutarla per gli "output" che genera, i bilanci (quanto corrispondenti al reale?), o le analisi di mercati (mercati che stanno scomparendo) che parlano di dettagli.
Dell'azienda bisogna occuparsene valutando ciò che vuole fare, i suoi progetti strategici, le sue capacità di progettazione in tal senso e, nel caso, stimolarla.
Molto lontano dalle attuali capacità (e volontà) delle banche, ma non è forse il caso che anche esse, come tutti gli altri, imparino a modificare il loro mestiere?  
E non il caso che si inizi a dibattere di questo argomento, invece di scervellarsi su come rimettere le cose come stavano prima (che inevitabilmente genereranno gli stessi risultati)?

Nessun commento:

Posta un commento