Amministratore Delegato e uno dei proprietari, insieme ad altri membri della famiglia, del gruppo Grimaldi, multinazionale operante nella logistica, specializzata nelle operazioni di navi roll-on/roll-off, car carrier e traghetti. Con un giro di affari di circa 2.5 miliardi di euro, il gruppo, con base a Napoli, è interamente posseduto dalla famiglia anche se alcune società sono attualmente quotate in borsa (Finnlines ad Helsinky, Minoan ad Atene). Una eccellenza imprenditoriale dal sud Italia posizionata nel mercato mondiale nel mondo della logistica.
Luciano Martinoli
Iniziamo con una considerazione di carattere generale: prodotti industriali del mondo occidentale interessano sempre meno, e non solo per minore capacità di acquisto delle famiglie.
Manuel Grimaldi
A mio avviso le motivazioni sono economiche e finanziarie. Laddove la manifattura di prodotti richiede un’alta intensità di lavoro, senza aggiunta di valore, diventa insostenibile produrre da questa parte del mondo e scatta la motivazione alla delocalizzazione. Non si può continuare a spendere laddove non c’è più vocazione, capacità di creare.
Dal punto di vista finanziario invece c’è stata una ubriacatura del sistema, una offerta esagerata di liquidità che ha allettato tutti ad indebitarsi più del lecito, nella speranza di una stabilità di mercato che, poi, non c’è stata. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aziende che pur avrebbero avuto la capacità di stare sul mercato, sono state strozzate dal peso dei debiti della loro ingordigia, non essendo alimentate dal flusso di ricavi del periodo pre-crisi.
Inoltre il mondo occidentale ha una strutturale carenza di materie prime che oggi, a differenza di ieri, vede l’ingresso sul mercato di concorrenti nuovi e temibili, in termini di volumi e liquidità: Cina e India primi fra tutti. Questo ha portato da un lato uno notevole spostamento di risorse nei paesi fornitori di tali materie, sopratutto i produttori di petrolio, e dall’altro un elevato aumento dei prezzi dell’energia, dovuti ad una domanda crescente.
LM
Mentre per le risorse c’è poco da fare, o si hanno oppure no, la delocalizzazione non rischia di essere una minaccia, più che una opportunità, per le economie occidentali? Prodotti copiati, know how trasferito, difficile accesso ai mercati locali, ecc.
MG
E’ vero, ma restare qui in Europa ormai ha senso solo se c’è un elevato valore aggiunto, per prodotti di elite. Se posso fare un esempio nel mio settore, una nave traghetto passeggeri con innovativi sistemi di stabilità ed isonorizzazione devo farla fare ad un cantiere italiano. Ma se voglio una nave cargo con buoni standard di qualità, un cantiere sud-coreano riesce a farmela per molto meno sia in termini di costi che di tempo, avendo loro una produttività doppia se non tripla. Inoltre osservo che la qualità e le capacità tecnologiche dell’estremo oriente sono in costante miglioramento e mi chiedo fin quando ci sarà ancora questo gap, se lo stato della produttività nazionale e del know-how locale continua a peggiorare o quantomeno a non migliorare.
LM
Tale fenomeno è presente anche in una industria di servizi come la sua? Ovvero ritiene che anche nel mondo della logistica deve essere mantenuta un ‘eccellenza di servizio?
MG
Sicuramente. A bordo delle nostre navi abbiamo bisogno di personale italiano, ma non più in mansioni di bassa forza, oggi di fatto poco ambite per un giovane medio. La copertura di tali posizioni può avvenire con maggior facilità ricorrendo al personale di Paesi non comunitari, dove la disponibilità a coprire ruoli anche di minor responsabilità è più elevata.Il recruiting in Paesi comunitari, o comunque ricchi come il nostro, riscuote migliori risultati quando è diretto alla copertura di mansioni di maggior responsabilità, tanto nell’hotellerie quanto nello stato maggiore della nave. Ecco dunque l’importanza degli investimenti infrastrutturali nella scuola, nell’education, allo scopo di innalzare il livello di conoscenza delle nostre giovani generazioni. E’ l’unica strada che abbiamo: loro per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, noi imprenditori per avvantaggiarci di un fattore differenziante e di valore aggiunto nella nostra offerta sul mercato globale. In alternativa perdiamo tutti.
LM
Veniamo alla situazione della politica e delle istituzioni. Non pensa che entrambi stanno pedendo di senso, chiusi in una autoreferenzialità che non lascia spazio ad altro?
MG
Sicuramente, ma noto anche un altro fenomeno, che proprio recentemente l’Economist ha registrato: la presenza del settore pubblico è aumentata in tutti i paesi occidentali. La politica dunque è sempre più invasiva e sempre di più attira gli affaristi, coloro che vengonochiamati impropriamente imprenditori ma non hanno la capacità di creare del nuovo, solo gestire, a proprio beneficio, ciò che c’è.
L’altro problema dello Stato è il peso della tassazione che, anche se elevato, non produce efficienza per la società. In Svezia non è minore e nessuno se ne lamenta. Non sta a me indicare soluzioni, ma laddove si volesse porre un freno alla delocalizzazione delle attività manifatturiere, forse una soluzionepotrebbe essere un maggiore e migliore impiego dei lavoratori locali per migliorare l’efficienza della macchina amministrativa statale.
Riguardo la politica poi, essendo noi una democrazia, ritengo sia specchio della società. La classe dirigente che esprimiamo siamo noi, coloro che siedono nelle istituzioni sono una fedele rappresentazione dell’Italia di oggi. Un rinnovamento parte innanzitutto da noi stessi.
LM
Tenendo presente l’internazionalità del suo gruppo, può dire che questo è vero anche in altri paesi?
MG
Con sfumature diverse e non per tutto. Ad esempio in alcuni paesi dove abbiamo effettuato acquisizioni, paesi europei in zona UE, c’è stato un atteggiamento protezionistico nei confronti delle aziende locali. In paesi che, a parole, propugnano il libero mercato e sono stati di diritto è comprensibile solo considerando una comunità che vuole proteggere un proprio asset strategico temendo che uno straniero possa distruggerlo.
LM
Vuol dire che c’è stata poca comunicazione con quella comunità? Non siete stati in grado di far capire le vostre reali intenzioni imprenditoriali?
MG
Forse. Il tema però è complesso ed è arrivato a degenerare fino al punto di scoprire che i capi di quelle aziende avevano un’agenda diversa dalla mia, lavoravano per perseguire altri obiettivi, non quelli del gruppo, costringendomi ad intervenire con enorme dispendio di soldi ed energie. Direi però che questa è un ulteriore conseguenza della crisi: su di essa si sono innestati comportamenti fraudolenti..
LM
Entriamo allora in azienda, visto che ha citato il tema interessante delle “agende” dei manager. Cosa è per il gruppo Grimaldi l’innovazione.
MG
E’ tutto. Non è solo un fatto tecnologico, ma riguarda i processi produttivi, i comportamenti. Innovazione si porta dietro poi il tema del cambiamento, ma non quello progettato da qualcuno a tavolino, epocale, che si comunica ogni tot anni e prende altrettanto per essere realizzato, no. E’ un processo quotidiano, che pervade, deve pervadere, tutta l’organizzazione. Non bisogna avere paura del nuovo. Io diffido, e prendo provvedimenti, quando qualcuno della mia organizzazione mi dice: “si è sempre fatto così”. E’ un attegiamento che ammazza le aziende perché solo il continuo miglioramento, l’innovazione pervasiva e quotidiana, produce ricchezza. Il vecchio serve solo ad imparare per fare meglio.
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