di Francesco Zanotti
Proviamo a declinare la parola “crescita”. Così abbiamo un riferimento. A me piacerebbe che si facesse riferimento ad uno sviluppo etico ed estetico. Ma anche questa espressione necessita di un specificazione, cioè di dire cosa c’è dentro.
Ed allora accettiamo per un momento di usare la parola crescita. Crescita di cosa? Non certo del numero di scarpe che sono nella disponibilità di ogni cittadino delle società avanzate. Cosa allora? Proviamo a dire quanto segue … Alt, parentesi doverosa: ogni proposta è un rischio. Perché oggi vige il principio della auto rappresentazione negativa. “Dalli all’idea”, sembra essere la strategia dominante. Appena una idea nasce, ecco che mille intellettuali, giornalisti et alia si scagliano contro questa idea. Credo sia il momento di cambiare registro. Credo che di fronte ad una idea, si possa certamente dire che è sbagliata, ma chi lo dice, credo, debba prendersi l’impegno di aggiungere una sua idea in alternativa. Poi può accadere che le idee non siano tutte sbagliate, ma abbiano bisogno di chiarimenti, completamenti, integrazioni. Ed allora si organizza un processo di creazione sociale di conoscenza e realtà che è l’unico che può creare crescita, sviluppo … chiamatelo come volete …
Diamo finalmente un contenuto a crescita … Credo che occorra aumentare non solo la quantità, ma anche la qualità dell’occupazione (più soldi e lavori più capaci di essere occasione di autorealizzazione). Aumentare la qualità dell’occupazione, intesa nel modo che abbiamo specificato, significa anche aumentare la qualità della conoscenza e la qualità della natura. Significa iniziare a fare del binomio natura e società un’opera d’arte complessiva …
Più qualità dell’occupazione, quindi. Bene, ora vediamo come si propone di realizzarla.
Massimo Mucchetti sul Corriere Economia di oggi (lunedì 14 giugno 2010) sostiene che il motore della crescita è la concorrenza. Soprattutto nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni etc. Non basta creare un habitat giuridico, fiscale culturale e finanziario per la crescita del mondo delle partite IVA o delle PMI.
Francesco Giavazzi sul Corriere della sera, sempre di oggi, sostiene qualcosa di analogo, ma usa la metafora delle liberalizzazioni.
A me sembra che ambedue i commentatori propugnino strategie dall’alto. Mucchetti mi sembra che sia anche un po’ conservatore perché egli immagina che basti rivitalizzare, attraverso la concorrenza, le imprese che ci sono attualmente.
Noi stiamo intervistando qualche imprenditore per provare a stimolare un processo di riflessione e progettualità dal basso. Le osservazioni che stanno emergendo, anche se lentamente, sono di due tipi. La prima è una assoluta sfiducia in ogni soluzione dall’alto. Sia per la loro incisività che per la scarsa probabilità che accadano in tempi utili. Da quanti anni Francesco Giavazzi (in buona compagnia) propone la sua ricetta delle liberalizzazioni? Se non viene applicata non è una soluzione. Mi si scusi il gioco di parole: se non è applicata, non è applicabile.
La seconda osservazione è la seguente. Ma supponiamo pure che si riesca a fare tutte le riforme (comprese quelle della concorrenza) desiderabili, sta diventano sempre più evidente che il problema di fondo è che è necessario riprogettare da capo il sistema imprenditoriale e la società che gli sta intorno. Ci servono prodotti e sistemi produttivi e distributivi radicalmente diversi da quelli attuali. Per la semplice ragione che gli uomini sono stufi di quelli attuali e la natura non li sostiene più.
E’ necessaria insomma una nuova stagione di imprenditorialità profonda, una imprenditorialità che abbiamo definito “aumentata” per indicare che la progettualità deve esercitarsi in una società molto più complessa di prima ed in una natura che si trova in grave sofferenza.
Come attivare questa imprenditorialità? La parola chiave è metodo. Invece di concorrenza e liberalizzazioni (ok .. accanto a .. ) metodo. Metodo? Sì Un sistema di metodologie per capire, a livello di ogni impresa, quanto è concluso e se è rilanciabile il suo ciclo vitale. Per capire la stessa cosa a livello dei singoli settori industriali. Per riuscire a progettare nuove imprese che non siano solo piccole proposte di piccole innovazione tecnologiche alle quali oggi sembra si voglia affidare ogni speranza.
Una piccola conclusione: la politica della ricerca. Sempre sul Corriere di oggi Edoardo Boncinelli fa il punto sulla ricerca genetica. E rivela che questi ultimi dieci anni hanno svelato la necessità di un nuovo paradigma di analisi e comprensione del biologico perché le grandi promesse formulate introno all’anno 2000 non si sono realizzate. E’ una velata critica al sensazionalismo genetico degli ultimi dieci anni. E’ una critica che poteva già essere fatta dieci anni fa perché già allora era evidente che si stava seguendo un modello riduzionista che non poteva avere successo. Conclusione? Una nuova imprenditorialità aumentata anche nella ricerca scientifica.
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