Circolano ancora tesi che le attività imprenditoriali siano istituzioni necessarie ed eterne e che la società le debba sostenere ad ogni costo. Ma non dovrebbe essere il contrario, ovvero che sono le imprese che devono servire alla società nel suo complesso?
Lo spunto viene dall’articolo del sole24ore che riporta la notizia della chiusura di due importanti stabilimenti automobilistici in Australia con la conseguente perdita di posti di lavoro. In aggiunta vi è la dichiarazione di Marchionne che afferma “presto la pressione di nuovi attori sarà inesorabile, specie in un mondo conservatore e lento a reagire come quello dell’auto…nel mercato di massa il marchio non sarà più così importante”.
Quindi costi alti e perdita di significato dell’auto made in Australia hanno decretato la sua fine in quel paese (e a breve sarà il turno di altri luoghi!). La tesi dell’autore è allora che “la scarsità di fornitori locali di componenti e l’assenza di un ambiente industriale di filiera hanno contribuito in misura rilevante a condurre alla scomparsa dell’industria dell’auto in Australia”, come dire che all’inizio del secolo scorso la difficoltà di approviggionamento del ferro da parte dei maniscalchi decretò la fine del trasporto a cavallo!
E’ evidente che “Il patrimonio produttivo conta molto sia nell’industria sia nei servizi” e “va alimentato non solo per il presente, ma per il futuro della società che verrà” ma tale alimentazione va fatta in modo molto peculiare evidenziando il ruolo, come giustamente viene ricordato più avanti nell’articolo, delle “imprese con i lavoratori”. Tale attività non deve essere quella di 'prevedere' dove andrà la società o il mercato ma creare tali direzioni.
Come fare?
Ce lo ricorda un altro articolo che giustamente afferma che “è necessaria la scintilla degli “animal spirits” di una massa critica di imprenditori innovativi, per promuovere una crescita basata sull’eccellenza dei prodotti e la qualità del lavoro” e aggiunge “Perché una ripresa del credito si materializzi in “buona” occupazione, c’è quindi il bisogno di “debito” buono, della domanda di prestiti per investimenti innovativi”.
Dunque non il sostegno ad ogni costo di ciò che esiste che se perde senso di motivazione all’acquisto (es.la marca) lo perde anche dal punto di vista economico, ma stimolo e ricerca di imprenditori innovativi i quali, con i loro dipendenti, dovrebbero essere in grado di progettare prodotti e servizi “eccellenti” o, meglio ancora, una nuova società (grazie ai loro prodotti e servizi). A sostegno dovrebbe esserci un “debito buono”, come viene definito dalle stesse pagine, ma come valutarlo? Come dare un peso e una importanza a qualcosa che ancora non è ma che potrebbe essere?
Da questo blog abbiamo più volte fornito una nostra risposta, se però appare ancora troppo difficile da digerire, iniziamo allora dall’abbandonare l’idea che basta sostenere una filiera, o cercare la sua esistenza, per risolvere i nostri problemi.
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