Sul Sole 24 ore di domenica 9 Maggio 2010 è uscito un articolo a firma di Luigi Zingales che sostiene la necessità di sdoppiare l’Euro in due. Da una parte i paesi virtuosi, cioè quelli del Nord Europa le cui economie possono giustificare una moneta forte. Dall’altra noi “Terroni d’Europa” con Euro che dobbiamo essere liberi di svalutare a piacimento per ridurre il gap di competitività e serietà con le economie del nord.
Aggiunge che per scongiurare questa eventualità, che egli non considera catastrofica (e che, per la verità non considero catastrofica neppure io) sarebbe necessario che l’Europa del Sud conquistasse competitività, aumentando la produttività, rispetto a quella del Nord. Ma questo è da lui ovviamente giudicato quasi impossibile per noi fannulloni e caciaroni.
Questa sua visione è, ovviamente, è sostenuta dalla “Teoria economica”. Quindi è indiscutibile: faremmo meglio noi tutti, governanti in testa, a farla nostra e comportarci di conseguenza. Cioè dividere in due L’Euro.
Ecco, io credo che in questa visione vi siano tutte le ragioni per le quali non riusciamo a venire fuori dalla ecologia di crisi che ci attanaglia e che non vuole mollare la presa.
Cominciamo dalla teoria economica. E’ oramai a tutto ovvio che non esiste una teoria unitaria del mondo fisico. Anzi non esiste neanche un modello di come dovrebbe essere questa teoria fisica. La meccanica classica (soprattutto nelle sue formulazioni hamiltoniana e lagrangiana) è stata considerata tale fino all’avvento della meccanica quantistica ma, poi, si è capito che le leggi sono contingenti: valgono solo all’interno dei contesti nelle quali sono state create. Chi sostiene che esiste una teoria economica è rimasto legata all’ideale conoscitivo della meccanica classica. Cioè ad un ideale conoscitivo irrealizzabile e, credo, anche indesiderabile.
Allora non possiamo dire di avere una teoria economica in assoluto. Possiamo, forse, dire che abbiamo una teoria economica dell’equilibrio che suggerisce come mantenere questo equilibrio: attraverso le strategie di stabilità.
Ma noi oggi abbiamo bisogno di tutto tranne che di equilibrio e stabilità che significano conservazione. Noi dobbiamo costruire una nuova economia all’interno di una nuova società. Ed allora le ricette dell’economia classica sono inadatte ad affrontare questa situazione. Anzi sono controproducenti. Lo dimostra il suggerimento di Zingales: aumentare la produttività. E’ una chiara strategia di conservazione: un invito a fare meglio le cose di sempre. Ma oramai è evidente che il sistema di prodotti attuali interessa sempre meno, che i sistemi con cui li si producono sono sempre più incompatibili con la natura e via dicendo.
Allora la sfida è quella di costruire una nuova economia e, intorno ad essa, una nuova società. Ma come fare?
Sul Corriere del 10 maggio 2010 un articolo di fondo di Francesco Giavazzi sostiene che il problema di fondo è far crescere l’economia. Gli strumenti finanziari adottati per salvare la Grecia e sostenere l’Euro sono solo tattici. E per far crescere l’economia propone la soluzione individuata da due giovani economisti della banca d’Italia (Matteo Brugamelli e Roberto Zizza), insieme a Fabiano Schivardi dell’università di Sassari: le imprese devono ristrutturarsi per sopravvivere. In particolare, investire nello sviluppare nuovi prodotti e cercando nuovi mercati a cui venderli.
Ma, dopo tutto quello che ho detto, è evidente che si tratta di una soluzione troppo generale, esortativa e non operativa.
Voglio provare ad essere più operativo, conscio che una nuova operatività ha, inevitabilmente, il sapore della profezia.
Non basta dire che occorre far crescere l’economia.
E’ necessario, innanzitutto, riconoscere che ogni crisi nella quale inciampiamo non è frutto né di perversi disegni del Fato né (soltanto) di ingordi speculatori. Ma è solo una delle tante manifestazioni, un frattale, di una crisi più complessiva della società industriale.
Questo significa che è necessario costruire una nuova economia all’interno di una nuova società. E, cioè, necessario scatenare una nuova progettualità capace di individuare nuovi stili di vita, apparati produttivi, infrastrutture e città radicalmente diversi. Capace di immaginare un patto di co-evoluzione con la natura.
Questo riprogettare mondi è il mestiere dell’imprenditore. Ma oggi esso è molto più complesso che in passato. Allora non basta più la tradizionale imprenditorialità spontanea che è stata capace di costruire il nostro miracolo economico e l’Italia repubblicana tutta. Non basta neanche la nuova imprenditorialità “tecnologica”.
E’ necessaria una nuova imprenditorialità “aumentata” capace di progettare e costruire la nuova economia all’interno di una nuova società.
Per far nascere e crescere questa nuova imprenditorialità aumentata è necessaria un nuovo sistema di metodologie di valutazione e progettazione strategica che oggi ancora non esistono.
Allora l’urgenza delle urgenze è quello di attivare un grande progetto di ricerca che costruisca queste nuove metodologie …
Ed ecco che arrivo (finalmente) ai sistemi di rating. Oggi servono sistemi di rating radicalmente nuovi sistemi di rating che sappiano valutare quanto questa imprenditorialità aumentata sia in atto e quanto, invece, imprese e paesi stiano disperatamente cercando di conservare il passato.
Stiamo avviando un “Progetto rating imprenditoriale” … Alla prossima puntata i dettagli.
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