"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 21 luglio 2011

Intervista Dott. Ortolani dell'Ordine Commercialisti di Milano

Questa volta è il turno di un importante stakeholder a supporto del sistema banca-impresa: il commercialista.
Intervista al Dott Ortolani, presidente della commissione Banche Assicurazioni e Intermediari Finanziari dell'Ordine dei Commercialisti di Milano


Martinoli: Iniziamo da una domanda “sistemica”: quale sarà, a suo giudizio, il futuro del sistema imprenditoriale italiano?
Cambierà poco? Cioè dipenderà dall’uso di nuove tecnologie, per servire meglio esigenze di sempre, ma così facendo aumentando la competizione delle singole imprese.
Oppure cambierà tanto? Cioè dipenderà dalla creazione di servizi e prodotti totalmente nuovi che creeranno altrettanto nuovi mercati?

Ortolani: Ho maturato un’esperienza personale nelle PMI, dove mi sono concentrato con una proposta specifica per il cambio generazionale. E’ un momento molto peculiare per la vita di queste aziende che diventa problematica non nel primo passaggio generazionale, fondatore -> figlio, ma in quello successivo. Sovente lo spirito innovatore che ha illuminato il fondatore si è perso, o forse il figlio non ha saputo, o voluto, dar nuova vita all’idea imprenditoriale iniziale, fatto sta che al secondo passaggio è frequente scoprire che l’azienda opera in un settore maturo, che è incapace di innovarsi, che gli imprenditori di seconda generazione non hanno voglia né di impegnarsi né di passare la mano. I loro figli si tengono ben lontani dall’azienda perché sanno che in questa situazione non hanno spazio e, dunque, il problema di questo passaggio generazionale è di entrambi ma, se chiarito e affrontato professionalmente, fa anche emergere una insospettabile voglia dei rampolli a cimentarsi con l’impresa dell’illustre nonno.
Allora il problema è sicuramente strategico: l’imprenditore ha iniziato con un’idea forte ma poi non ha saputo strutturarsi e ha dato in eredità questa intrinseca debolezza alle generazioni future. Sbloccare questa situazione sarà la discriminante per uno sviluppo del primo o secondo tipo.
M: Che ruolo allora avranno i Commercialisti nello scenario che accadrà?

O
: I commercialisti finora hanno un carico di lavoro costituito al 70% da attività routinarie, legate alla fiscalità, al 30% da consulenza. Molti si stanno specializzando per riuscire a seguire le PMI anche nello sviluppo, e sono tantissimi in Italia. La nostra sfida è farle crescere in struttura e capitalizzazione man mano che aumenta la dimensione economica dell’azienda, seguendo il cliente, suggerendo e anticipando le sue necessità. La specializzazione serve a fare questo percorso meglio.


M: In questo contesto di affiancamento se tutte le cose dell’universo nascono, si sviluppano e muoiono, ciò deve essere vero anche per le aziende. Come fate e che strumenti usate per capire il “destino” di un’azienda?

O: Una delle attività che siamo chiamati a volte a svolgere è quella di sindaco e amministratore indipendente. L’esperienza dice che se l’azienda è ben patrimonializzata e può distribuire utili si può stare tranquilli. Così facendo però non si dà nessun valore aggiunto all’imprenditore. Soprattutto il sindaco, chiamato a vigilare sulla tutela degli stakeholder, deve invece verificare se l’imprenditore ha ben chiari i rischi del mercato, dell’azienda e dell’azienda nel mercato per consentirgli un corretto governo di tali rischi. Solo con le informazioni aggiornate  si può svolgere queste ruolo. I colloqui con le persone chiave, per comprendere lo standing dei singoli e le loro capacità di sostenere il ruolo ricoperto, le riunioni periodiche con i consiglieri, che pure sono richieste dal Codice Civile e spesso sono disattese, nelle quali veniamo informati dei fatti rilevanti, le decisioni, gli andamenti nel prossimo futuro sono i momenti chiave.

M: A proposito di stakeholder, allora, affrontiamo il tema chiave, quello del rapporto Banca e Impresa che riteniamo un binomio inscindibile per lo sviluppo.
In quale scenario crede ci stiamo avventurando:
Scenario A) Le aziende sempre meno capaci di creare cassa a causa della competizione sono costrette a chiedere sempre maggiori supporti al sistema bancario. E’ di qualche giorno fa l’affermazione di Armani: la moda è in mano alle banche (ed alla borsa). E’ questo il trend di sviluppo (di sopravvivenza) delle imprese italiane?
Scenario B) Le banche riescono a diventare catalizzatrici si sviluppo. Riescono, cioè, ad usare e fornire alle imprese modelli e metodi (che provengono dalla scienza della strategia d’impresa) per  stabilire un dialogo di sviluppo. Un giudizio di merito del credito che guarda al futuro. Un supporto per progettare il futuro dell’impresa.

O: I due scenari mostrano una impasse reciproca ma credo che la banca inizi a capire l’impresa mentre non è ancora vero il contrario. L’azienda tratta la banca come un fornitore qualsiasi ma di fatto, considerando il rapporto continuativo e strutturale che ha, non lo è. E’ nota la battuta che se il debito è piccolo il problema è dell’azienda, se è grande è della banca.
Non penso che la banca voglia fare un mestiere diverso da quello che fa e dunque vedo improbabile uno scenario B. Penso invece che da un lato le banche, anche in virtù della scarsità di liquidità e delle nuove regolamentazioni, saranno sempre più selettive, ritornando a valutare meglio e con maggiore competenza il rischio, mentre le aziende dovrebbero smetterla di considerare le banche un supermercato, dove un prodotto vale l’altro, e chiarire meglio le proprie esigenze per decidere e scegliere i prodotti e le banche partner più adeguate.

M: Veniamo allora ad una questione centrale della nostra indagine. Quanto le conoscenze di strategia d’impresa sono note e usate dai Commercialisti?

O: La strategia è sempre presente nei nostri interventi, è la bussola che ci consente di comprendere dove sta andando l’azienda e cosa suggerire di fare.

M: Lo comprendo ma una cosa è il corpus delle conoscenze e un altro è il loro output Lei mi ha risposto sull’output ma non su come ci si arrivi e se ci si arriva con strumenti “scientifici”, quelli proposti dalle accademie di tutto il mondo, o “empirici”, il fiuto e il naso dei singoli. Ad esempio: come mai nelle Commissioni dell’Ordine il cui obiettivo è “approfondire e risolvere questioni di assoluta importanza per la professione e per la collettività sociale”, non ce ne è una che si occupi di conoscenze di strategia d’impresa?

O: Ne convengo anch’io riflettendo su questa domanda, ma a ben guardare, e proprio a dimostrazione che è un tema trasversale, se ne occupano ben tre commisioni. Quella sul Controllo Societario, che si occupa della buona governace, la Commisione finanza e controllo di gestione, per ovvi motivi, e quella sulla Gestione crisi d’impresa e procedure concorsuali, essenda la strategia d’impresa strumento per il rilancio.

M: E le banche? Quanto a suo giudizio usano strumenti di strategia d’impresa per comprendere l’identità dei loro clienti?

O: Prima di rispondere farei una distinzione tra le banche. Quelle puramente retail sono una sorta di Bancoposta, un servizio al cliente facile e standardizzato, anche perché i rischi sono più ridotti. La standardizzazione consente di abbattere i costi ma ha anche il fine di impedire al funzionario di avere troppa libertà di intervento per decisioni autonome che possono essere dei rischi o anche sconfinare in comportamenti illeciti. Poi vi sono le banche del territorio che suppliscono con la conoscenza diretta del cliente, grazie alla prossimità, e infine la grandi banche, con le loro funzioni corporate. Sono soprattutto queste ultime quelle che dovrebbero utilizzare questi strumenti, ma finora non pare si siano attivate molto sul punto. 

M: Ritorniamo ad un argomento di carattere più generale. Se l’esperienza è conoscenza formata sul passato, come fa ad essere l’unica risorsa per comprendere il presente (e il futuro) radicalmente diversi da esso?

O: Sono d’accordo anche perché, nel caso delle banche, il loro focus è sull’andamentale. Ad esempio la centrale rischi, giusto per citare uno strumento, non serve solo a mettersi in sicurezza. Devo saper leggere ciò che succede nel durante, cogliere il divenire. Solo il passato serve a ben poco.

M: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito” diceva Antoine de Saint-Exupery.
Quante aziende vede intorno a lei organizzate nel primo modo e quante nel secondo?
Con quali strumenti i Commercialisti le riconoscono e le misurano?

O: Quelle del primo tipo hanno competenza e una base solida, ma soffrono spesso, dell’incapacità di svilupparsi. Quelle del secondo, fondate in genere da un imprenditore visionario, in senso positivo, hanno fiuto e accettano le sfide ma si rivelano, col tempo,  fragili. Bisognerebbe unire le due cose, metter insieme le due componenti per costruire soggetti solidi e in grado di crescere. Noi commercialisti possiamo fare molto per assistere gli imprenditori illuminati grazie alla conoscenza che ci deriva dalla prossimità con l’azienda.

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