Oggi sappiamo, a grandi linee, cosa sia una corpo umano, anche se lontani dall'aver scoperto tutti i suoi segreti. Siamo in grado di curarne e prevederne molte malattie e, cosa importante, sappiamo che ha un suo "ciclo di vita".
I parametri fondamentali di un corpo però nulla ci dicono sulle reali intenzioni del soggetto su cosa farà della sua vita: se creerà altre vite mettendo al mondo figli, o ne distruggerà, diventando un criminale di guerra o un serial killer, se creerà ricchezza, diventando imprenditore di successo, o povertà, derubando gli altri, e così via.
Insomma la temperatura basale, il tasso di colesterolo e glicemico, la pressione sanguigna e tante altre misurazioni del funzionamento del corpo non dicono nulla sulla persona, i suoi progetti, le sue attitudini, le sue intenzioni future. La persona è qualcosa di molto diverso dal suo corpo e le storie che raccontano possono divergere, a volte di tanto.
L'analogia la si può applicare all'azienda. Il fatturato, i profitti, il numero dei clienti, i margini operativi, i bilanci raccontano quello che è stato di un'azienda ma non quello che sarà, che dipende dalla volontà della sua anima: l'imprenditore.
La "personalità" dell'azienda, che è l'unica indicazione sul suo futuro e misura profonda della sua identità, è la strategia aziendale. Oggi però a proposito di aziende si parla di tutto tranne che di questo. Il seminario ha indicato in maniera chiara e determinata questa dimensione oggi totalmente ignorata da chi di azienda si vuole e si deve occupare a vario titolo: finanza, sistema di servizi professionali, pubbliche amministrazioni.
La strategia aziendale però non può limitarsi a qualche suggestione, qualche spunto intuitivo che potrebbe dare qualche sprazzo di luce in un'unica direzione per pochi momenti. Deve essere una descrizione profonda, completa e di lungo respiro. Deve far capire il futuro e le sue conseguenze.
Alcuni strumenti ci sono, è vero, ma non organizzati in modo coerente da ottenere questo obiettivo. Inoltre il metterli insieme deve essere ispirato da un modo nuovo di vedere il mondo, che attinga a metafore e linguaggi di chi questo nuovo mondo l'ha già intravisto. Nella serata si è illustrato per sommi capi questo nuovo modo di rappresentare la strategia basato su nuovi punti di vista derivanti dalla ricerca fatta in questi anni nelle scienze fondamentali: fisica, matematica, biologia, ecc. Ci sono allora tutti gli strumenti per progettare il futuro. Il come fare sarà oggetto dei prossimi appuntamenti e delle attività di questo blog.
"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."Eric J. Hobsbawm
lunedì 22 febbraio 2010
lunedì 8 febbraio 2010
VI Riflessione Trasgressiva
In tutte le discipline, dalle scienze naturali alle scienze umane, vi sono in corso rivoluzioni profonde.
Alcune di queste rivoluzioni hanno un impatto diretto su chi si occupa di strategia e finanza. Un impatto vitale direi.
Facciamo degli esempi. A chi non interessa riuscire a capire quale sarà il futuro di una impresa? Certo interessa a chi ci mette i soldi a chi consiglia chi ci mette i soldi. Bene, esiste una teoria che descrive lo sviluppo di un sistema vivente che può esser utilizzata per prevedere il futuro di una impresa. E’ la teoria dei sistemi auto poietici. Un secondo esempio. A chi non interessa capire la struttura di un settore industriale, di un distretto, quali operazioni di aggregazione sono sensate e possibili? Interessa sempre a chi ci mette i soldi e a chi li consiglia, ma interessa, almeno, anche agli attori sociali (il sindacato) ed alle Istituzioni. Bene, esiste una metodologia per trattare questi sistemi di imprese: le metastrutture. Attraverso lo studio delle metastrutture si capisce la natura profonda degli aggregati di imprese. Ma gli esempi potrebbero essere moltissimi. Rimanendo agganciati a qualcosa di meno “avanzato” possiamo citare la sfida degli “intangibles”. Tutti li dichiarano decisivi, ma nessun business plan ne parla. Ecco me ne viene in mente un altro: il problema del cambiamento. A chi non interessa gestire meglio i processi di cambiamento come quelli che devono fondere insieme due imprese e farne una sola? Bene, esiste una completamente nuova teoria (ed una prassi conseguente) dei processi di cambiamento che riesce ad eliminare completamente le resistenze dell’organizzazione
Bene, illustrata la tesi dopo tutto banale che la ricerca fa progredire la conoscenza rilevante in ogni campo professionale, compresi quelli della finanza e della strategia, facciamo una piccola indagine.
Di quali fonti di aggiornamento di conoscenze di strategia d’impresa dispone un advisor o un consulente di strategia? Quanto tempo dedica all’aggiornamento? Quante risorse investe una istituzione finanziaria o una società di consulenza nella ricerca di nuove conoscenze e metodologie per saper valutare il futuro di una impresa e saperla supportare nel costruire nuovi futuri?
Io credo che il problema fondamentale sia che queste domande sembrano sorprendenti …
Alcune di queste rivoluzioni hanno un impatto diretto su chi si occupa di strategia e finanza. Un impatto vitale direi.
Facciamo degli esempi. A chi non interessa riuscire a capire quale sarà il futuro di una impresa? Certo interessa a chi ci mette i soldi a chi consiglia chi ci mette i soldi. Bene, esiste una teoria che descrive lo sviluppo di un sistema vivente che può esser utilizzata per prevedere il futuro di una impresa. E’ la teoria dei sistemi auto poietici. Un secondo esempio. A chi non interessa capire la struttura di un settore industriale, di un distretto, quali operazioni di aggregazione sono sensate e possibili? Interessa sempre a chi ci mette i soldi e a chi li consiglia, ma interessa, almeno, anche agli attori sociali (il sindacato) ed alle Istituzioni. Bene, esiste una metodologia per trattare questi sistemi di imprese: le metastrutture. Attraverso lo studio delle metastrutture si capisce la natura profonda degli aggregati di imprese. Ma gli esempi potrebbero essere moltissimi. Rimanendo agganciati a qualcosa di meno “avanzato” possiamo citare la sfida degli “intangibles”. Tutti li dichiarano decisivi, ma nessun business plan ne parla. Ecco me ne viene in mente un altro: il problema del cambiamento. A chi non interessa gestire meglio i processi di cambiamento come quelli che devono fondere insieme due imprese e farne una sola? Bene, esiste una completamente nuova teoria (ed una prassi conseguente) dei processi di cambiamento che riesce ad eliminare completamente le resistenze dell’organizzazione
Bene, illustrata la tesi dopo tutto banale che la ricerca fa progredire la conoscenza rilevante in ogni campo professionale, compresi quelli della finanza e della strategia, facciamo una piccola indagine.
Di quali fonti di aggiornamento di conoscenze di strategia d’impresa dispone un advisor o un consulente di strategia? Quanto tempo dedica all’aggiornamento? Quante risorse investe una istituzione finanziaria o una società di consulenza nella ricerca di nuove conoscenze e metodologie per saper valutare il futuro di una impresa e saperla supportare nel costruire nuovi futuri?
Io credo che il problema fondamentale sia che queste domande sembrano sorprendenti …
venerdì 5 febbraio 2010
V Riflessione Trasgressiva...
Dalla poesia alla ordinaria follia
L’impresa è una delle medie imprese che negli anni scorsi era il vanto di una delle nostre contrade. Della nostra provincia mi viene da dire. Nata da un operaio messosi in proprio, viene portata verso “magnifiche sorti e progressive” dal figlio. Chiamiamolo Giovani, così senza cognome, perché in quella provincia appartenere alla casta significava chiamarlo “Giovanni”. E lo chiamavano Giovanni anche i Direttori di banca.
Magnifiche sorti e progressive ...
L’impresa continua a crescere. Si indebita sempre di più perché necessita di crescente capitale circolante, perde piano piano di redditività perché cresce la competizione. Ma questi eventi sono il prezzo da pagare quando si cresce. E il Signor Giovanni non vuole rinunciare alla crescita. Per non rinunciare alla crescita continua ad investire. “Costruirò il più moderno stabilimento d’Europa” proclama. Ed aggiunge agli “amici” (sì insomma a tutti quelli che lo chiamano Giovanni, cioè quasi tutti) ridacchiando sotto i baffi “Tanto laggiù dove investo ci sono mille incentivi”. Investimento per lui significa, ovviamente, debito e non capitale.
Questa cantilena di crescita di fatturato ed indebitamento e calo di redditività si ripete noiosamente come una litania. Ma tutti ci vedono solo “magnifiche sorti e progressive”.
Poi viene l’occasione di fare il grande salto. “in quella terra un mio fornitore è nei guai, io lo compro. Così arricchisco la mia offerta con quel prodotto che loro fanno e io no”. E via con la campagna di …
Campagna gratificante: viene accolto come un salvatore della patria. La Regione che governa quella terra, ovviamente, entra nel capitale della nuova impresa che il Signor Giovanni ha creato per affittare l’azienda (la si compra dopo dal concordato o dal fallimento, lo sanno tutti. Così suggerisce anche il commercialista di provincia, che ha uno studio bello scintillante in provincia e che parla con quelli di Milano ... ).
Ma, poi, cominciano i guai. I lavori di costruzione dello stabilimento “più moderno d’Europa” vanno a rilento. E, poichè occorre servire ugualmente i clienti, allora si usano gli impianti appena affittati in quella nuova terra dove il Signor Giovanni è ancora di più il Signor Giovanni. Ma quegli stabilimenti non sono adatti .. Allora si genera la tragedia …
Il risultato finale: l’impresa madre perde 10 milioni. L’azienda nella terra di conquista ne perde 20. E le perdite si consolidano. Ma quella nella retta di conquista non era una società separata? Certo, ma le garanzie alle banche per questa società separata gliele ha data l’azienda madre …
Allora il Signor Giovanni prova a chiedere aiuto … Non la faccio lunga, ma arrivo all’oggi. Si forma una cordata professionale fatta dal Commercialista e dall’Avvocato di provincia con due advisors che sono gli amici di un piccolo banchiere d’affari che li usa per fare due soldi in proprio. Qualche affare può anche non passare dalla banca d’affari, vivaddio … La cordata professionale scrive il business plan che ha come cuore strategico la Swot Analysis (si insomma quella che usa quella piccola banca d’affari) e che dice sostanzialmente “nel passato abbiamo fatto un grande casino, ma ora ci stiamo ravvedendo e se ci aiutate (rivolto alle banche ovviamente) spostando il pagamento di interessi e il rimborso di capitale e ci date nuova, riusciremo a onorare i nostri impegni”. Il business plan è scritto in italiano, ma gli stati patrimoniali, i conti economici e i rendiconti finanziari sono scritti in inglese .. Stranezza? Ma no, sono fatti dagli analisti di quella piccola banca (che il banchiere d’affari fa lavorare gratis per gli advisor traffichini) finanza che usano un programma scritto in inglese …
Oggi cosa sta accadendo? Che la situazione va ogni giorno peggiorando. I due piccoli advisors stanno negoziando con le banche con lo stile tipico del faccendiere. Le banche sono incerte … L’occupazione va a ramengo …
La fine è già scritta: il business plan che è sostanzialmente una richiesta di ristrutturazione del debito potrà anche essere approvato dalla banche in barba al fatto che l’impresa fattura cento ha cento ottanta di debito e nessun utile …
Noi auguriamo tutti che questa impresa riprenda il cammino verso magnifiche sorti e progressive, ma non ci facciamo illusioni. Cioè sia noi che i nostri lettori sappiamo che non si restituisce nulla avendo cento ottanta di debito e non guadagnando nulla. La cosa starà in piedi solo grazie alla moratoria sui debiti eventualmente concessa.
Facciamo mille auguri, ma vorremmo trarre una morale ed una proposta.
La morale: tempi duri ci attendono. A quante operazioni di ristrutturazione del debito di questo tipo saranno costrette le banche? Quale sarà l’effetto sul medio termine? Le risposte le conoscono tutti: oggi le banche possono non mettere a sofferenza quei cento ottanta di debito. Ma domani, quando saranno diventati duecento, saranno costrette a farlo. Con effetti sistemici devastanti: altro che crisi da finanza sconsiderata.
La proposta: se i Direttori di banca, il commercialista e l’avvocato di provincia e gli advisor traffichini (ma anche la banca d’affari che fa usare la Swot Analysis dai suoi analisti), invece di, prima, ossequiare e, poi, cercare di sfruttare il Signor Giovanni ..
Ah in tutta questa vicenda quelli che ci guadagnano, degni eredi di Mao, sono il commercialista e l’Avvocato che si fanno pagare per seguire la richiesta di ristrutturazione del debito. E, poi, se le cose vanno male, ci guadagnano anche di più perché devono seguire le procedure concorsuali. E ci guadagnano gli advisor traffichini perché si fanno pagare profumatamente per stare dietro all’imprenditore in questi “momenti difficili”. Perché eredi di Mao? Perché come lui credono che “Quando la confusione è grande sotto il cielo, la situazione è eccellente” …
Dicevo … se tutti costoro che stanno guadagnando sui guai del Sig. Giovanni e, soprattutto, le banche che ci perderanno l’anima, avessero usato la nostra matrice di posizionamento strategico avrebbero assegnato alla impresa del Signor Giovanni un rating che si chiama “fatica del vivere”.
Anche senza sapere esattamente da dove viene questo valore di rating e cosa voglia dire esattamente si capisce immediatamente che è una sciocchezza investireste o ristrutturare il debito in una impresa che sta soffrendo la fatica del vivere! Usando la stessa matrice avrebbero potuto per tempo aiutare il Signor Giovanni a progettare strategie migliori della crescita senza cambiamento, solleticato dalle vanaglorie dell’avere lo stabilimento più moderno d’Europa o di essere il salvatore della patria in una terra lontana …
giovedì 4 febbraio 2010
IV Riflessione Trasgressiva...
Poesia e strategia: le due scienze del futuro
Volete avere una analisi puntuale della situazione attuale?
Volete riuscire a prevedere il futuro del’impresa che state per finanziare o comprare?
Volete suggerire ai vostri clienti le strategie per costruire il futuro?
Allora seguite l’ispirazione del poeta. Si tratta di un poeta spagnolo, Antonio Machado.
Sono versi di una sua poesia …
Viandante son le tue orme
la via, e nulla più;
viandante, non c’è via,
la via si fa con l’andare.
Imprenditore, non esistono i mercati. Esiste la società degli uomini. Un mare di potenzialità di divenire che appaiono e scompaiono. Devi prendere qualcuna di queste potenzialità e, invece di lasciarla al suo destino effimero, consolidarla in una esigenza e in un mercato che la serve.
Imprenditore, non esistono i mercati, te li devi fare! Ecco la vera strategia per il futuro: immaginate una nuova società, progettate quello che servirà in questa nuova società e che voi potreste fare. E poi fatelo, stando ben attenti a rendere evidente che le nuove “cose” che fate abbiano il sapore di questa nuova società.
Ma come fare a sapere se una “cosa” è realmente nuova? Una condizione necessaria (anche se non sufficiente) è che non abbia concorrenti.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Ecco come sarà certamente il futuro: completamente diverso dal passato. Se guardate al passato dell’impresa vedete quello che non potrà più essere. Il sentiero che si è percorso e che mai si tornerà a percorrere. La redditività, la cassa che si sono generate e che mai più si genererà se si continuano a fare le cose di prima. E adesso torniamo tutti appassionatamente a analizzare i bilanci, così vedremo chiaramente il sentiero che mai si tornerà a calcare,
Viandante, non c’è via
ma scie nel mare.
Volete capire se una impresa avrà futuro o meno? Allora guardare a quanto intensamente si guarda indietro. Tanto più lo fa tanto meno avrà futuro. E come si vede se una impresa guarda indietro? Se parla di competizione e di competitività. E non racconta più sogni.
Proviamo a fare anche una postilla conclusiva: ma se guidate una portaerei allora le scie nel mare sono anche un po’ futuro: ci mettete un po’ a fermare una portaerei o a farle cambiare rotta. Allora avete bisogno di metodologie per far girare in fretta le portaerei. Per cambiare le organizzazioni in fretta.
Quindi, se siete di fronte ad un business plan, cercate di capire se descrive cambiamenti importanti. Ma poi verificate se viene proposta una metodologia per implementare in fretta questi cambiamenti.
Altrimenti sarete su di una portaerei che è stata una regina dei mari. Ma che ora si sta schiantando contro un isola di competizione oppure si non riesce a virare in tempo utile per non schiantarsi.
Volete avere una analisi puntuale della situazione attuale?
Volete riuscire a prevedere il futuro del’impresa che state per finanziare o comprare?
Volete suggerire ai vostri clienti le strategie per costruire il futuro?
Allora seguite l’ispirazione del poeta. Si tratta di un poeta spagnolo, Antonio Machado.
Sono versi di una sua poesia …
Viandante son le tue orme
la via, e nulla più;
viandante, non c’è via,
la via si fa con l’andare.
Imprenditore, non esistono i mercati. Esiste la società degli uomini. Un mare di potenzialità di divenire che appaiono e scompaiono. Devi prendere qualcuna di queste potenzialità e, invece di lasciarla al suo destino effimero, consolidarla in una esigenza e in un mercato che la serve.
Imprenditore, non esistono i mercati, te li devi fare! Ecco la vera strategia per il futuro: immaginate una nuova società, progettate quello che servirà in questa nuova società e che voi potreste fare. E poi fatelo, stando ben attenti a rendere evidente che le nuove “cose” che fate abbiano il sapore di questa nuova società.
Ma come fare a sapere se una “cosa” è realmente nuova? Una condizione necessaria (anche se non sufficiente) è che non abbia concorrenti.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Ecco come sarà certamente il futuro: completamente diverso dal passato. Se guardate al passato dell’impresa vedete quello che non potrà più essere. Il sentiero che si è percorso e che mai si tornerà a percorrere. La redditività, la cassa che si sono generate e che mai più si genererà se si continuano a fare le cose di prima. E adesso torniamo tutti appassionatamente a analizzare i bilanci, così vedremo chiaramente il sentiero che mai si tornerà a calcare,
Viandante, non c’è via
ma scie nel mare.
Volete capire se una impresa avrà futuro o meno? Allora guardare a quanto intensamente si guarda indietro. Tanto più lo fa tanto meno avrà futuro. E come si vede se una impresa guarda indietro? Se parla di competizione e di competitività. E non racconta più sogni.
Proviamo a fare anche una postilla conclusiva: ma se guidate una portaerei allora le scie nel mare sono anche un po’ futuro: ci mettete un po’ a fermare una portaerei o a farle cambiare rotta. Allora avete bisogno di metodologie per far girare in fretta le portaerei. Per cambiare le organizzazioni in fretta.
Quindi, se siete di fronte ad un business plan, cercate di capire se descrive cambiamenti importanti. Ma poi verificate se viene proposta una metodologia per implementare in fretta questi cambiamenti.
Altrimenti sarete su di una portaerei che è stata una regina dei mari. Ma che ora si sta schiantando contro un isola di competizione oppure si non riesce a virare in tempo utile per non schiantarsi.
mercoledì 3 febbraio 2010
III Riflessione Trasgressiva...
Guardare al passato per cercare di preservare il passato.
Proviamo oggi a capire cosa accadrà se si continuerà a guardare al passato. Accadrà che i manufatti prodotti dell’attuale sistema industriale saranno sempre meno interessanti. Questo genererà un calo strutturale e continuo della domanda. Che a sua volta renderà l’attuale capacità produttiva sovrabbondante e scatenerà una ipercompetizione.
Parentesi, una parentesi che svilupperemo nella serata dell’11 febbraio: attenzione la competizione non è una caratteristica del libero mercato, ma è la conseguenza del competere … Diceva il poeta “la strada la si fa con l’andare”. Parafraso io “La competizione la si costruisce competendo”.
Tornando a noi, la conseguenza della ipercompetizione la conoscono tutti, ma tanti cercano di nasconderla. In una ipercompetizione non si può sopravvivere. Essa genera la riduzione dei flussi di cassa delle imprese e, quindi, non solo l’impossibilità di remunerare il capitale, ma anche di pagare il servizio del debito destabilizzando il sistema finanziario. Lo scenario descritto cambierà da impresa a impresa … Allora sarà necessario imparare a valutare il rischio di rimanere legati al passato di ogni impresa e occorrerà avviare una opera di progettazione di un futuro decisamente molto diverso dal passato e diverso da impresa ed impresa. Cercando di evitare la manie di imitazione per cui nascono e scompaiono mode dagli effetti devastanti come il reengineering, la delocalizzazione, le fusioni etc. Tante tentazioni nefaste che cercano di scongiurare la fatica della innovazione profonda.
Ma di questa necessità di un nuovo e più intenso valutare, di un nuovo e più intenso progettare parleremo domani. Oggi proviamo a guardare da vicino lo scenario degenerativo, causato dal guardare e cercare il passato, che abbiamo brevemente descritto, che tutti in cuor loro conoscono, che moltissimi non vogliono ammettere.
Prodotti che interessano sempre meno
Quando nelle persone prevalgono i bisogni igienici, i prodotti che li soddisfano hanno anche un profondo significato esistenziale proprio perché il loro acquisto ed utilizzo soddisfano il primo ed imprescindibile livello di autorealizzazione dell’uomo: la sopravvivenza.
Quando, però, i bisogni igienici vengono soddisfatti ed emergono esigenze di autorealizzazione più sofisticate, l’acquisto e l’utilizzo del tipo di beni di consumo che stiamo producendo oggi perde sempre di più il ruolo di momento di auto realizzazione. I prodotti tendono ad assumere sempre di più solo un ruolo funzionale. Stiamo assistendo insomma ad una deriva di valore: da una intensa esistenzialità ad una normale funzionalità.
Sintetizzando: le persone stanno cercando (anche se con modalità acerbe e quasi costrette) di riprendersi in mano la loro vita in tutte le dimensioni del vivere. E sempre più si fanno domande di senso e sempre meno di quantità.
Le imprese “rispondono” a questa deriva cercando di arricchire i prodotti attraverso l’innovazione tecnologica, stilistica, comunicazionale e prestazionale, fino a farli diventare simboli di stili di vita. Fino ad oggi questa operazione di arricchimento ha funzionato così bene da riuscire a scatenare fenomeni di over consumo diffusi.
Oggi, però, questa “strategia” sta perdendo di efficacia. Anzi, la deriva della perdita di valore sta diventando drammatica: anche il ruolo funzionale dei prodotti si sta ridimensionando perché le persone scoprono che molte prestazioni funzionali che ritenevano indispensabili lo erano solo artificialmente.
Rivelatore di queste dinamiche è la sempre maggiore importanza che hanno i saldi. Questa sempre maggiore importanza rivela che sempre più persone pensano che i prodotti di vestiario stanno hanno perso di valore tanto che li si comprano sempre di più solo a saldo.
Altro fenomeno rivelatore è l’esplosione dei outlet che stanno isolando l’acquisto in luoghi artificiali, completamente sganciati dalla socialità comunitaria che caratterizzava i negozi di prossimità. Quasi ad indicare che l’acquisto sta diventando quasi un mestiere, inevitabile, ma non così carico di significati relazionali.
Ma il fenomeno più rivelatore colpisce quello che forse è il settore trainante di tutta l’attuale sistema industriale, quello dell’auto. Il settore dell’auto riesce a sopravvivere solo se si nutre di incentivi statali. Intendo dire che il fare auto sta diventando strutturalmente non più economico. Pigiando sull’efficienza e l’innovazione tecnologica i produttori di auto potranno cercare di spostare in là nel tempo il momento in cui sarà evidente che potrà sopravvivere solo se protetto a livello mondiale. Ma questo spostare servirà solo a ritrovarsi un problema ancora più grande quando si smetterà di fingere.
A causa di questo perdere di valore dei prodotti, l’atto stesso, il momento stesso dell’acquisto sta addirittura diventando momento di stress, di fatica perché la perdita di valore dei prodotti comporta che le persone possano disporre di risorse finanziarie sempre più scarse.
L’acquisto fine a se stesso: i professionisti dei saldi
Come ulteriore dimostrazione che i prodotti che l’attuale sistema produttivo rende disponibili stano perdendo di valore è che, per alcuni, diventa importante non quello che si compra, ma il come lo si compra.
Intendo dire che saldi diventano momento di gioco e quindi di autorealizzazione. Stanno emergendo i professionisti dei saldi che pianificano attentamente la corsa ai saldi usando tecnologie e strategie. Ad esempio: diversi partner di un gruppo partecipano a diverse code, stanno in contatto via cellulare, così da poter cogliere lo spettro pi ampio di opportunità.
Un calo strutturale e continuo della domanda
Da tutto questo nasce una conseguenza drammatica per le imprese: il calo della domanda della maggior parte degli attuali beni (di consumo e durevoli) prodotti dal nostro sistema industriale, al di là di eccessi e ritorni contingenti, è strutturale: deriva da disinteresse, quando non da fastidio, per quegli stessi prodotti e per i processi di acquisto. Questo processo non è ancora stato pienamente riconosciuto. Anzi, come abbiamo detto all’inizio, si ragiona al contrario: è la crisi finanziaria che ha spento la voglia di acquisto. Dobbiamo il più in fretta possibile riconoscere il calo di interesse per i prodotti tipici della società industriale era già in atto prima della crisi finanziaria. Essa ha certamente accelerato questo processo, ma l’uscita dalla crisi non significherà una ripresa generalizzata degli acquisti. Significherà un riaggiustamento del processo di calo.
che certo la crisi ha avuto l’effetto di deprimere i consumi.
La conseguenza inevitabile: una capacità produttiva sovrabbondante
Se cala in modo strutturale e continuo la domanda è chiaro che diminuisce il fabbisogno di capacità produttiva e si forma una capacità produttiva in eccesso. Ad aggravare l’eccesso di capacità produttiva vi è il ritardo con il quale si sta riconoscendo il calo strutturale e continuo della domanda che porta a creare sempre nuove imprese e ad aumentare le capacità produttive esistenti.
La conseguenza della conseguenza: la ipercompetizione
Gli spazi di mercato di vanno fatalmente riducendo mentre la capacità produttiva aumenta: non può che scatenarsi una competizione sempre più dura che nasce forse come competizione di qualità, ma, a causa del crescente disinteresse per i prodotti attualmente prodotti, diventa immediatamente una competizione di prezzo.
L’impresa schiacciata
Il risultato finale è che l’impresa viene schiacciata da un mercato che si restringe e da un prezzo che cala continuamente. Questo essere schiacciata le fa perdere quella capacità di produrre valore ed occupazione che sta al fondamento della società industriale.
Proviamo oggi a capire cosa accadrà se si continuerà a guardare al passato. Accadrà che i manufatti prodotti dell’attuale sistema industriale saranno sempre meno interessanti. Questo genererà un calo strutturale e continuo della domanda. Che a sua volta renderà l’attuale capacità produttiva sovrabbondante e scatenerà una ipercompetizione.
Parentesi, una parentesi che svilupperemo nella serata dell’11 febbraio: attenzione la competizione non è una caratteristica del libero mercato, ma è la conseguenza del competere … Diceva il poeta “la strada la si fa con l’andare”. Parafraso io “La competizione la si costruisce competendo”.
Tornando a noi, la conseguenza della ipercompetizione la conoscono tutti, ma tanti cercano di nasconderla. In una ipercompetizione non si può sopravvivere. Essa genera la riduzione dei flussi di cassa delle imprese e, quindi, non solo l’impossibilità di remunerare il capitale, ma anche di pagare il servizio del debito destabilizzando il sistema finanziario. Lo scenario descritto cambierà da impresa a impresa … Allora sarà necessario imparare a valutare il rischio di rimanere legati al passato di ogni impresa e occorrerà avviare una opera di progettazione di un futuro decisamente molto diverso dal passato e diverso da impresa ed impresa. Cercando di evitare la manie di imitazione per cui nascono e scompaiono mode dagli effetti devastanti come il reengineering, la delocalizzazione, le fusioni etc. Tante tentazioni nefaste che cercano di scongiurare la fatica della innovazione profonda.
Ma di questa necessità di un nuovo e più intenso valutare, di un nuovo e più intenso progettare parleremo domani. Oggi proviamo a guardare da vicino lo scenario degenerativo, causato dal guardare e cercare il passato, che abbiamo brevemente descritto, che tutti in cuor loro conoscono, che moltissimi non vogliono ammettere.
Prodotti che interessano sempre meno
Quando nelle persone prevalgono i bisogni igienici, i prodotti che li soddisfano hanno anche un profondo significato esistenziale proprio perché il loro acquisto ed utilizzo soddisfano il primo ed imprescindibile livello di autorealizzazione dell’uomo: la sopravvivenza.
Quando, però, i bisogni igienici vengono soddisfatti ed emergono esigenze di autorealizzazione più sofisticate, l’acquisto e l’utilizzo del tipo di beni di consumo che stiamo producendo oggi perde sempre di più il ruolo di momento di auto realizzazione. I prodotti tendono ad assumere sempre di più solo un ruolo funzionale. Stiamo assistendo insomma ad una deriva di valore: da una intensa esistenzialità ad una normale funzionalità.
Sintetizzando: le persone stanno cercando (anche se con modalità acerbe e quasi costrette) di riprendersi in mano la loro vita in tutte le dimensioni del vivere. E sempre più si fanno domande di senso e sempre meno di quantità.
Le imprese “rispondono” a questa deriva cercando di arricchire i prodotti attraverso l’innovazione tecnologica, stilistica, comunicazionale e prestazionale, fino a farli diventare simboli di stili di vita. Fino ad oggi questa operazione di arricchimento ha funzionato così bene da riuscire a scatenare fenomeni di over consumo diffusi.
Oggi, però, questa “strategia” sta perdendo di efficacia. Anzi, la deriva della perdita di valore sta diventando drammatica: anche il ruolo funzionale dei prodotti si sta ridimensionando perché le persone scoprono che molte prestazioni funzionali che ritenevano indispensabili lo erano solo artificialmente.
Rivelatore di queste dinamiche è la sempre maggiore importanza che hanno i saldi. Questa sempre maggiore importanza rivela che sempre più persone pensano che i prodotti di vestiario stanno hanno perso di valore tanto che li si comprano sempre di più solo a saldo.
Altro fenomeno rivelatore è l’esplosione dei outlet che stanno isolando l’acquisto in luoghi artificiali, completamente sganciati dalla socialità comunitaria che caratterizzava i negozi di prossimità. Quasi ad indicare che l’acquisto sta diventando quasi un mestiere, inevitabile, ma non così carico di significati relazionali.
Ma il fenomeno più rivelatore colpisce quello che forse è il settore trainante di tutta l’attuale sistema industriale, quello dell’auto. Il settore dell’auto riesce a sopravvivere solo se si nutre di incentivi statali. Intendo dire che il fare auto sta diventando strutturalmente non più economico. Pigiando sull’efficienza e l’innovazione tecnologica i produttori di auto potranno cercare di spostare in là nel tempo il momento in cui sarà evidente che potrà sopravvivere solo se protetto a livello mondiale. Ma questo spostare servirà solo a ritrovarsi un problema ancora più grande quando si smetterà di fingere.
A causa di questo perdere di valore dei prodotti, l’atto stesso, il momento stesso dell’acquisto sta addirittura diventando momento di stress, di fatica perché la perdita di valore dei prodotti comporta che le persone possano disporre di risorse finanziarie sempre più scarse.
L’acquisto fine a se stesso: i professionisti dei saldi
Come ulteriore dimostrazione che i prodotti che l’attuale sistema produttivo rende disponibili stano perdendo di valore è che, per alcuni, diventa importante non quello che si compra, ma il come lo si compra.
Intendo dire che saldi diventano momento di gioco e quindi di autorealizzazione. Stanno emergendo i professionisti dei saldi che pianificano attentamente la corsa ai saldi usando tecnologie e strategie. Ad esempio: diversi partner di un gruppo partecipano a diverse code, stanno in contatto via cellulare, così da poter cogliere lo spettro pi ampio di opportunità.
Un calo strutturale e continuo della domanda
Da tutto questo nasce una conseguenza drammatica per le imprese: il calo della domanda della maggior parte degli attuali beni (di consumo e durevoli) prodotti dal nostro sistema industriale, al di là di eccessi e ritorni contingenti, è strutturale: deriva da disinteresse, quando non da fastidio, per quegli stessi prodotti e per i processi di acquisto. Questo processo non è ancora stato pienamente riconosciuto. Anzi, come abbiamo detto all’inizio, si ragiona al contrario: è la crisi finanziaria che ha spento la voglia di acquisto. Dobbiamo il più in fretta possibile riconoscere il calo di interesse per i prodotti tipici della società industriale era già in atto prima della crisi finanziaria. Essa ha certamente accelerato questo processo, ma l’uscita dalla crisi non significherà una ripresa generalizzata degli acquisti. Significherà un riaggiustamento del processo di calo.
che certo la crisi ha avuto l’effetto di deprimere i consumi.
La conseguenza inevitabile: una capacità produttiva sovrabbondante
Se cala in modo strutturale e continuo la domanda è chiaro che diminuisce il fabbisogno di capacità produttiva e si forma una capacità produttiva in eccesso. Ad aggravare l’eccesso di capacità produttiva vi è il ritardo con il quale si sta riconoscendo il calo strutturale e continuo della domanda che porta a creare sempre nuove imprese e ad aumentare le capacità produttive esistenti.
La conseguenza della conseguenza: la ipercompetizione
Gli spazi di mercato di vanno fatalmente riducendo mentre la capacità produttiva aumenta: non può che scatenarsi una competizione sempre più dura che nasce forse come competizione di qualità, ma, a causa del crescente disinteresse per i prodotti attualmente prodotti, diventa immediatamente una competizione di prezzo.
L’impresa schiacciata
Il risultato finale è che l’impresa viene schiacciata da un mercato che si restringe e da un prezzo che cala continuamente. Questo essere schiacciata le fa perdere quella capacità di produrre valore ed occupazione che sta al fondamento della società industriale.
martedì 2 febbraio 2010
II Riflessione Trasgressiva...
Nel messaggio precedente abbiamo sostenuto che oggi chi fornisce risorse finanziarie ad una impresa è consapevole che occorre guardare al futuro, ma poi nella pratica guarda al passato.
Vediamo di approfondire questa tesi..
La crisi: uno squilibrio da eliminare
La visione predominante di quanto sta accadendo oggi è la seguente. Una crisi è esplosa nel mondo della finanza ed è stata causata da disfunzioni (malfunzionamenti) dei mercati finanziari, aggravati da comportamenti discutibili di troppi finanzieri. Questa crisi, se non si interviene tempestivamente, rischia di risuonare in tutta la società con echi devastanti. Intervenire significa eliminare i malfunzionamenti dei mercati finanziari e iniettare nel mondo della finanza una buona dose di etica. Se si fa questo tutte le disfuzioni della finanza si acquieteranno, non si ripercuoteranno nell’economia e poi nella società e si riuscirà a continuare quel cammino di crescita che il malfunzionamento ha improvvisamente interrotto.
La sfida del futuro, secondo questa visione, è, allora una sfida di sopravvivenza e ristrutturazione alla ricerca di continuità, di stabilità. Per far sì che il futuro si ricomponga nel passato che tutti conosciamo.
Si investe sul passato e sulla stabilità
Partendo da questa visione della sfida del futuro un investitore “saggio” cerca di investire nella conservazione, oppure, nella innovazione interstiziale.
Cerca di “mettere i suoi soldi” in imprese solide, che hanno avuto un passato glorioso, chiedendo che diventino più efficienti. Cerca di promuovere azioni di aggregazione, consolidamento. Se possibile, investe nei monopoli ancora in vita.
Se si tratta di una banca di credito ordinario, essa accetta di investire in nuove imprese “obtorto collo”, solo quasi per dovere sociale, perché “la tirano per la giacchetta”. Il finanziamento della innovazione è lasciato a investitori marginali ed individuali come i business angels, oppure ad interventi statali. La convinzione che la grande economia tutt’al più userà l’innovazione tecnologica, ma questa non sarà in grado di rivoluzionarne gli equilibri. Essi sono destinati a perpetuarsi in eterno … fino al prossimo fallimento, inatteso solo da chi proprio vuole conservare un passato che gli piace troppo per abbandonarlo.
Si valuta regolarmente solo il passato
Gli strumenti di analisi/valutazione utilizzati dalle istituzioni finanziarie guardano il futuro con gli occhi del passato.
Le analisi di bilancio
Lo strumento fondamentale per decidere se fornire o meno risorse a debito è, ancora, costituito dalle analisi di bilancio. Esse funzionano, però, proprio solo se valgono ipotesi di conservazione, continuità.
Infatti le analisi di bilancio servono per capire se una impresa è solida e se è andata bene nel passato. Ora la solidità dell’impresa è certamente una buona informazione di partenza. E’ un affermazione necessaria. Ma, in un ambiente di business dove il futuro sarà (dovrà essere) diverso dal passato, il sapere se una impresa è “andata bene” nel passato non è sufficiente. Anzi dovrebbe sollevare il sospetto che, proprio perché una impresa è andata bene in un mondo che non c’è più, rischierà di non riuscire ad andare bene in un mondo radicalmente diverso.
Vi sono poi anche da considerare le limitazioni intrinseche delle analisi di bilancio.
Alcune sono note, come il fatto che le analisi di bilancio risentono della “incertezza” dei bilanci stessi e del fatto che vengono disponibili non proprio in “real time”.
Altre forse sono meno note. La prima è che cercare mille indici permette di arrivare solo a conclusioni “sbocconcellate”: questi stessi indici non trovano sintesi se non in modi empirici e, spesso, neanche espliciti. La seconda: il bilancio è come il pollo di Trilussa. Infatti oramai ogni impresa è impegnata in più unità di business, ognuna delle quali ha degli economics specifici. Ma i diversi contributi delle diverse unità di business non sono visibili in un bilancio che propone solo un melange indistinto che impedisce ogni giudizio anche sul passato delle diverse unità di business. Figuriamoci sul loro futuro.
I sistemi di Ratings
I sistemi di ratings sono una evoluzione nella stretta continuità delle analisi di bilancio. Innanzitutto perché molti sistemi di rating si basano anch’esse su specifiche analisi di bilancio. E, poi, perché anche strumenti di rating che non si basano solo sulle analisi di bilancio, ma anche su analisi di altre aspetti della realtà dell’impresa (come le metodologie del tipo balanced score card) cercano di capire quanto sia valida l’impresa oggi. Quindi ipotizzano che il futuro non sia altro che una continuazione del passato.
Gli sforzi di valutazione
Chi ragiona non in termini di debito, ma di capitale, cioè chi fornisce risorse di capitale, chi compra, vende o fonde imprese, tenta di dare un valore complessivo all’impresa stessa.
Per ottenere questo risultato, la scienza della valutazione propone tre approcci: patrimoniale, economico e finanziario.
Tralasciamo di parlare del metodo patrimoniale, che è molto più adatto a valutare il valore di liquidazione dell’impresa, e guardiamo ai due metodi che vanno per la maggiore, ad esempio, nel mondo dell’M&A: il metodo dei multipli (economico) e il metodo del DCF (finanziario).
Il metodo più raffinato, sia come logica che come operatività, è certamente il DCF.
Nonostante la sua raffinatezza, anch’esso, però, si fonda sul passato. Infatti, come tutti sanno, il DCF considera come valore dell’impresa la somma dei flussi di cassa scontati di dieci anni nel futuro. Ma, come vengono determinati questi flussi di cassa futuri? Forse si parte da qualche descrizione del prodotto, del mercato e della organizzazione. Ma si tratta di descrizioni puramente “ornamentali”. I flussi di cassa futuri vengono determinati come estrapolazione (per il vero usando una strumentazione statistica “spannometrica”) dei flussi di cassa passati. Dobbiamo dire che si tratta di un metodo “retorico”. Tutti ne riconoscono una innegabile validità, ma, poi, nessuno lo usa. Si pensa che non li usi perché di troppo complesso utilizzo. Ma io aggiungerei che a sconsigliarne l’utilizzo pratico vi siano anche considerazioni di saggezza: che senso ha fare una grande fatica elaborativa quando la materia prima su cui si fonda il metodo (i flussi di cassa futuri) hanno scarsa affidabilità previsionale? Tanto vale allora usare il metodo dei moltiplicatori. E’ molto meno complicato, più intuitivo …
Il metodo dei moltiplicatori butta a mare tutte le foglie di fico è si dichiara apertamente legato al passato. Tutti lo conoscono: l’impresa vale un multiplo dell’EBITDA. E’ spudoratamente legato al passato perché parte dall’ipotesi che l’impresa produca lo stesso EBITDA scritto a bilancio per tanti altri anni quanti dichiarati dal multiplo. L’ipotesi esplicita è che l’impresa produca nel futuro lo stesso EBITDA del passato. Più legato al passato di così …
Gli sforzi di progettazione: business plan
Il business plan sembrerebbe diverso: orientato naturalmente a costruire il futuro. Ma questa apparenza scompare immediatamente quando si guarda la prassi con la quale si costruisce un business plan. Esso contiene anche una descrizione dell’impresa e qualche abbozzo di analisi strategica, fatta con strumenti come lo schema di Porter e la SWOT Analysis. Ma, poi, i “numeri” sono ottenuti, ancora una volta, estrapolando i numeri del passato sul futuro.
Le sublimazioni della conservazione: il binomio esperienza & competenza
In realtà, spesso, il vero strumento di decisione che viene utilizzato è l’esperienza. Si fa analizzare un’impresa di scarpe a chi ha, da sempre. lavorato autorevolmente nelle scarpe. Ma l’esperienza in un ambiente in profondo cambiamento (come è indiscutibilmente quello attuale) non è una buona consigliera: tende a non vedere proprio le innovazioni più importanti. Consapevolmente o inconsapevolmente, le persone con esperienza paragonano ogni proposta di futuro al loro passato. E così, sempre per definizione, non possono riconoscere la vera innovazione
Altra leggenda metropolitana è costituita dalla competenza del management. Come il talento a giocare a calcio, così i managers cercano di qualificarsi attraverso caratteristiche personali, per lo più innate. Questa pretesa ha dimostrato la sua dannosità proprio durante questa crisi. Essa ha rivelato che i manager bravi sono stati bravi solo a scalare il potere. Poi hanno ottenuto risultati quando tutti li avrebbero ottenuti. E non li hanno più ottenuti quando le cose sono andate male.
Vediamo di approfondire questa tesi..
La crisi: uno squilibrio da eliminare
La visione predominante di quanto sta accadendo oggi è la seguente. Una crisi è esplosa nel mondo della finanza ed è stata causata da disfunzioni (malfunzionamenti) dei mercati finanziari, aggravati da comportamenti discutibili di troppi finanzieri. Questa crisi, se non si interviene tempestivamente, rischia di risuonare in tutta la società con echi devastanti. Intervenire significa eliminare i malfunzionamenti dei mercati finanziari e iniettare nel mondo della finanza una buona dose di etica. Se si fa questo tutte le disfuzioni della finanza si acquieteranno, non si ripercuoteranno nell’economia e poi nella società e si riuscirà a continuare quel cammino di crescita che il malfunzionamento ha improvvisamente interrotto.
La sfida del futuro, secondo questa visione, è, allora una sfida di sopravvivenza e ristrutturazione alla ricerca di continuità, di stabilità. Per far sì che il futuro si ricomponga nel passato che tutti conosciamo.
Si investe sul passato e sulla stabilità
Partendo da questa visione della sfida del futuro un investitore “saggio” cerca di investire nella conservazione, oppure, nella innovazione interstiziale.
Cerca di “mettere i suoi soldi” in imprese solide, che hanno avuto un passato glorioso, chiedendo che diventino più efficienti. Cerca di promuovere azioni di aggregazione, consolidamento. Se possibile, investe nei monopoli ancora in vita.
Se si tratta di una banca di credito ordinario, essa accetta di investire in nuove imprese “obtorto collo”, solo quasi per dovere sociale, perché “la tirano per la giacchetta”. Il finanziamento della innovazione è lasciato a investitori marginali ed individuali come i business angels, oppure ad interventi statali. La convinzione che la grande economia tutt’al più userà l’innovazione tecnologica, ma questa non sarà in grado di rivoluzionarne gli equilibri. Essi sono destinati a perpetuarsi in eterno … fino al prossimo fallimento, inatteso solo da chi proprio vuole conservare un passato che gli piace troppo per abbandonarlo.
Si valuta regolarmente solo il passato
Gli strumenti di analisi/valutazione utilizzati dalle istituzioni finanziarie guardano il futuro con gli occhi del passato.
Le analisi di bilancio
Lo strumento fondamentale per decidere se fornire o meno risorse a debito è, ancora, costituito dalle analisi di bilancio. Esse funzionano, però, proprio solo se valgono ipotesi di conservazione, continuità.
Infatti le analisi di bilancio servono per capire se una impresa è solida e se è andata bene nel passato. Ora la solidità dell’impresa è certamente una buona informazione di partenza. E’ un affermazione necessaria. Ma, in un ambiente di business dove il futuro sarà (dovrà essere) diverso dal passato, il sapere se una impresa è “andata bene” nel passato non è sufficiente. Anzi dovrebbe sollevare il sospetto che, proprio perché una impresa è andata bene in un mondo che non c’è più, rischierà di non riuscire ad andare bene in un mondo radicalmente diverso.
Vi sono poi anche da considerare le limitazioni intrinseche delle analisi di bilancio.
Alcune sono note, come il fatto che le analisi di bilancio risentono della “incertezza” dei bilanci stessi e del fatto che vengono disponibili non proprio in “real time”.
Altre forse sono meno note. La prima è che cercare mille indici permette di arrivare solo a conclusioni “sbocconcellate”: questi stessi indici non trovano sintesi se non in modi empirici e, spesso, neanche espliciti. La seconda: il bilancio è come il pollo di Trilussa. Infatti oramai ogni impresa è impegnata in più unità di business, ognuna delle quali ha degli economics specifici. Ma i diversi contributi delle diverse unità di business non sono visibili in un bilancio che propone solo un melange indistinto che impedisce ogni giudizio anche sul passato delle diverse unità di business. Figuriamoci sul loro futuro.
I sistemi di Ratings
I sistemi di ratings sono una evoluzione nella stretta continuità delle analisi di bilancio. Innanzitutto perché molti sistemi di rating si basano anch’esse su specifiche analisi di bilancio. E, poi, perché anche strumenti di rating che non si basano solo sulle analisi di bilancio, ma anche su analisi di altre aspetti della realtà dell’impresa (come le metodologie del tipo balanced score card) cercano di capire quanto sia valida l’impresa oggi. Quindi ipotizzano che il futuro non sia altro che una continuazione del passato.
Gli sforzi di valutazione
Chi ragiona non in termini di debito, ma di capitale, cioè chi fornisce risorse di capitale, chi compra, vende o fonde imprese, tenta di dare un valore complessivo all’impresa stessa.
Per ottenere questo risultato, la scienza della valutazione propone tre approcci: patrimoniale, economico e finanziario.
Tralasciamo di parlare del metodo patrimoniale, che è molto più adatto a valutare il valore di liquidazione dell’impresa, e guardiamo ai due metodi che vanno per la maggiore, ad esempio, nel mondo dell’M&A: il metodo dei multipli (economico) e il metodo del DCF (finanziario).
Il metodo più raffinato, sia come logica che come operatività, è certamente il DCF.
Nonostante la sua raffinatezza, anch’esso, però, si fonda sul passato. Infatti, come tutti sanno, il DCF considera come valore dell’impresa la somma dei flussi di cassa scontati di dieci anni nel futuro. Ma, come vengono determinati questi flussi di cassa futuri? Forse si parte da qualche descrizione del prodotto, del mercato e della organizzazione. Ma si tratta di descrizioni puramente “ornamentali”. I flussi di cassa futuri vengono determinati come estrapolazione (per il vero usando una strumentazione statistica “spannometrica”) dei flussi di cassa passati. Dobbiamo dire che si tratta di un metodo “retorico”. Tutti ne riconoscono una innegabile validità, ma, poi, nessuno lo usa. Si pensa che non li usi perché di troppo complesso utilizzo. Ma io aggiungerei che a sconsigliarne l’utilizzo pratico vi siano anche considerazioni di saggezza: che senso ha fare una grande fatica elaborativa quando la materia prima su cui si fonda il metodo (i flussi di cassa futuri) hanno scarsa affidabilità previsionale? Tanto vale allora usare il metodo dei moltiplicatori. E’ molto meno complicato, più intuitivo …
Il metodo dei moltiplicatori butta a mare tutte le foglie di fico è si dichiara apertamente legato al passato. Tutti lo conoscono: l’impresa vale un multiplo dell’EBITDA. E’ spudoratamente legato al passato perché parte dall’ipotesi che l’impresa produca lo stesso EBITDA scritto a bilancio per tanti altri anni quanti dichiarati dal multiplo. L’ipotesi esplicita è che l’impresa produca nel futuro lo stesso EBITDA del passato. Più legato al passato di così …
Gli sforzi di progettazione: business plan
Il business plan sembrerebbe diverso: orientato naturalmente a costruire il futuro. Ma questa apparenza scompare immediatamente quando si guarda la prassi con la quale si costruisce un business plan. Esso contiene anche una descrizione dell’impresa e qualche abbozzo di analisi strategica, fatta con strumenti come lo schema di Porter e la SWOT Analysis. Ma, poi, i “numeri” sono ottenuti, ancora una volta, estrapolando i numeri del passato sul futuro.
Le sublimazioni della conservazione: il binomio esperienza & competenza
In realtà, spesso, il vero strumento di decisione che viene utilizzato è l’esperienza. Si fa analizzare un’impresa di scarpe a chi ha, da sempre. lavorato autorevolmente nelle scarpe. Ma l’esperienza in un ambiente in profondo cambiamento (come è indiscutibilmente quello attuale) non è una buona consigliera: tende a non vedere proprio le innovazioni più importanti. Consapevolmente o inconsapevolmente, le persone con esperienza paragonano ogni proposta di futuro al loro passato. E così, sempre per definizione, non possono riconoscere la vera innovazione
Altra leggenda metropolitana è costituita dalla competenza del management. Come il talento a giocare a calcio, così i managers cercano di qualificarsi attraverso caratteristiche personali, per lo più innate. Questa pretesa ha dimostrato la sua dannosità proprio durante questa crisi. Essa ha rivelato che i manager bravi sono stati bravi solo a scalare il potere. Poi hanno ottenuto risultati quando tutti li avrebbero ottenuti. E non li hanno più ottenuti quando le cose sono andate male.
lunedì 1 febbraio 2010
I Riflessione Trasgressiva...
In preparazione della serata dell’11 febbraio proporremo qualche riflessione “trasgressiva”.
La prima riflessione è la denuncia di un paradosso: “ chi investe in una impresa deve traguardarsi con un futuro sempre più lontano nel tempo e sempre più rischioso, ma guarda solo e sempre al passato”.
Il futuro sempre più lontano nel tempo e sempre più rischioso
Tutti sono d’accordo che chi investe in un’impresa (a qualunque titolo) deve affrontare la sfida sul futuro. Infatti, tutti considerano ovvio che sia necessario investire solo in quelle imprese che, grazie proprio alle risorse finanziarie ricevute nel presente, sapranno produrre cassa (crediamo sia più utile parlare di “cassa”, invece che, genericamente, di “valore”) nel futuro. Una cassa che, ovviamente, deve essere sufficiente non solo per pagare le risorse produttive (i fattori di produzione, come usualmente si dice), ma anche per restituire e remunerare le risorse finanziare, a qualunque titolo, utilizzate.
Credo che tutti siano consapevoli anche della “cifra” della sfida del futuro. Si tratta di un futuro lontano nel tempo.
E’ lontano nel tempo il giorno in cui produrranno un ritorno gli investimenti di capitale, sia in imprese esistenti che in nuove imprese. E’ lontano nel tempo il giorno in cui giungeranno a compimento i cicli dei debito a medio termine.
Sembra più vicino al presente, il futuro per chi finanzia crediti commerciali. Ma si tratta di una illusione perché, in questo caso, il tempo del futuro è indeterminato. Infatti, è vero che ogni credito viene onorato in tempi brevi. Ma esso viene sostituito, quasi automaticamente, con un altro credito che da’ origine ad un altro finanziamento. Il risultato è che l’ammontare dei crediti e dei finanziamenti collegati rimane costante (quando non aumenta) nel tempo. E questo equivale a ipotizzare stabile nel tempo l’affidabilità di coloro ai quali l’impresa concede credito.
Da ultimo, tutti sono convinti che il parlare di futuri lontani è sempre più rischioso perché ogni domani sembra poter riservare sorprese anche rilevanti.
Il paradossale guardare al passato
Tutti sono d’accordo, tutti considerano ovvio usare il futuro come riferimento principale. Ma, poi, gli stessi tutti guardano al passato.
Infatti pensano al futuro come una continuazione del passato. E, quindi, il riferimento al futuro diventa quasi un riferimento retorico.
Su cosa si basa questo nostro giudizio?
Sul fatto che si legge la crisi come squilibrio da eliminare per tornare al percorso di crescita del passato.
Sul fatto che si investe solo sul passato e sulla stabilità
Sul fatto che gli strumenti che si usano per valutare gli investimenti valutano il passato.
Nei prossimi giorni esamineremo questi “fatti” in dettaglio …
La prima riflessione è la denuncia di un paradosso: “ chi investe in una impresa deve traguardarsi con un futuro sempre più lontano nel tempo e sempre più rischioso, ma guarda solo e sempre al passato”.
Il futuro sempre più lontano nel tempo e sempre più rischioso
Tutti sono d’accordo che chi investe in un’impresa (a qualunque titolo) deve affrontare la sfida sul futuro. Infatti, tutti considerano ovvio che sia necessario investire solo in quelle imprese che, grazie proprio alle risorse finanziarie ricevute nel presente, sapranno produrre cassa (crediamo sia più utile parlare di “cassa”, invece che, genericamente, di “valore”) nel futuro. Una cassa che, ovviamente, deve essere sufficiente non solo per pagare le risorse produttive (i fattori di produzione, come usualmente si dice), ma anche per restituire e remunerare le risorse finanziare, a qualunque titolo, utilizzate.
Credo che tutti siano consapevoli anche della “cifra” della sfida del futuro. Si tratta di un futuro lontano nel tempo.
E’ lontano nel tempo il giorno in cui produrranno un ritorno gli investimenti di capitale, sia in imprese esistenti che in nuove imprese. E’ lontano nel tempo il giorno in cui giungeranno a compimento i cicli dei debito a medio termine.
Sembra più vicino al presente, il futuro per chi finanzia crediti commerciali. Ma si tratta di una illusione perché, in questo caso, il tempo del futuro è indeterminato. Infatti, è vero che ogni credito viene onorato in tempi brevi. Ma esso viene sostituito, quasi automaticamente, con un altro credito che da’ origine ad un altro finanziamento. Il risultato è che l’ammontare dei crediti e dei finanziamenti collegati rimane costante (quando non aumenta) nel tempo. E questo equivale a ipotizzare stabile nel tempo l’affidabilità di coloro ai quali l’impresa concede credito.
Da ultimo, tutti sono convinti che il parlare di futuri lontani è sempre più rischioso perché ogni domani sembra poter riservare sorprese anche rilevanti.
Il paradossale guardare al passato
Tutti sono d’accordo, tutti considerano ovvio usare il futuro come riferimento principale. Ma, poi, gli stessi tutti guardano al passato.
Infatti pensano al futuro come una continuazione del passato. E, quindi, il riferimento al futuro diventa quasi un riferimento retorico.
Su cosa si basa questo nostro giudizio?
Sul fatto che si legge la crisi come squilibrio da eliminare per tornare al percorso di crescita del passato.
Sul fatto che si investe solo sul passato e sulla stabilità
Sul fatto che gli strumenti che si usano per valutare gli investimenti valutano il passato.
Nei prossimi giorni esamineremo questi “fatti” in dettaglio …
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