di
Luciano Martinoli
luciano.martinoli@gmail.com
Do seguito ai commenti sull'articolo
Is the management Era Over? che ho iniziato nel
precedente post. Tengo a precisare, come già fatto in precedenza, che il mio vuole essere un contributo al miglioramento, con critiche costruttive, delle attuali prassi manageriali e organizzative e non una difesa dello status quo. Purtroppo in questo, come in altri casi, si inneggia a pericolose ed ingenue semplificazioni che non tengono conto nè della realtà dei fatti nè della complessità delle situazioni quotidiane.
From "Controlling" to "Empowering"
In un mondo del lavoro sempre più complesso, la possibilità di "controllo" da parte di chicchessia è tramontata da tempo. Procedure o direttive, laddove ancora presenti, sono sempre più "sottili", limitate ad indicazioni generiche in quanto l'esplosione della pluralità delle attività rende impossibile già la loro enumerazione figuriamoci la loro disciplina. Il controllo dunque si limita alla definizione degli obiettivi e alla verifica del loro raggiungimento ma più come "scusa" per indicare una direzione di movimento che per altro. Inoltre di fianco, o meglio dietro, alla organizzazione formale esiste, come è noto sia nell'accademia che nella pratica quotidiana, una informale, importantissima perchè sostiene la continuità aziendale. Questa infatti non solo non è controllata, altrimenti sarebbe formalizzata, ma consente di rafforzare (empowering) chiunque voglia dare il suo contributo in questo ambito. L'importanza di questa dimensione informale è dimostrata dal comportamento di coloro che volendo rallentare, se non addirittura bloccare, l'attività aziendale si limitano a fare esclusivamente ciò che "le procedure" prescrivono. Dunque oggi in qualsiasi azienda, tranne poche arretrate e sull'orlo del fallimento, più che auspicare uno shift dal controlling all'empowering è da invocare il suo giusto mix a partire dal suo riconoscimento certamente già presente.
From "Planning" to "Experimentation"
Certamente uno spazio di "sperimentazione" delle pratiche lavorative sarebbe auspicabile, ma al di là del fatto che tali sperimentazioni vengono già costantemente eseguite informalmente da chiunque abbia a cuore il miglioramento del proprio lavoro, e del suo tempo speso sul posto di lavoro, lo
shift proposto soffre di una vista alquanto ingenua del processo di
planning. In tutte le aziende la pianificazione, se pure viene eseguita, è fatta poco e male. E' un processo esclusivo dei piani alti o di funzioni di staff dedicati, con una quasi totale assenza del resto dell'organizzazione che pure dovrebbe fornire la materia prima da pianificare. Ignorare il corpo organizzativo dal processo significa mettere a rischio l'esecuzione dei piani, come puntualmente accade. Laddove invece la pianificazione è ad uso e consumo della comunità finanziaria, i proprietari (shareholder) e/o i creditori (bondholder) dell'azienda, essa è ormai un rito che ha l'unico scopo di 'far finta' di comunicare che sia tutto sotto controllo. Prova ne siano la scarsa qualità di tali piani, come
ricerche passate citate da questo blog hanno documentato, e che nessuno sia interessato ex post di verificare o commentare il puntuale fallimento di tali piani (o viceversa a celebrarne la sua realizzazione a riprova dell'eccezzionalità dell'evento). Dunque più che uno spostamento da "pianificazione" a "sperimentazione" è da auspicare un tempo per la pianificazione che veda coinvolta tutta l'organizzazione e, in questo ambito, prevedere spazi di sperimentazione; il tutto coerentemente all'attività produttiva dell'azienda.
From "Privacy" to "Trasparency"
Non vi è menzione di questo concetto nell'articolo, dunque non vi è la possibilità di cosa si intendesse di preciso. In generale vi è da rilevare, laddove si intenda per privacy quella dell'azienda, per quale motivo in un momento storico dove si ergono giustamente scudi in difesa della privacy di tutte le persone fisiche, la stessa non debba essere garantita anche per quelle giuridiche, ovvero le aziende. Ovviamente queste sono tenute alla trasparenza delle informazioni rilevanti ai fini amministrativi e ancor più penali, ma l'obbligo alla totale trasparenza non vedo come possa essere giustificato. In ambito sociale è noto che la comprensione delle informazioni non è contenuta nell'informazione stessa, dunque decisa da chi emette il messaggio, ma è arbitraria interpretazione da chi riceve il messaggio. L'azienda quindi ha il pieno titolo, sotto la sua responsabilità, di appellarsi ad un diritto di privacy, verso l'esterno e l'interno dell'organizzazione, per evitare cattive interpretazioni delle informazioni, siano esse in buona o cattiva fede. Ancora una volta più che uno shift radicale invocherei un migliore mix tra le due tendenze e un approccio coraggioso verso la trasparenza ispirato da una maggiore onestà intellettuale verso tutti gli stakeholder, sia interno che esterni.
In conclusione ritengo che se da un lato provocazioni di questo tipo sono utili ad aprire un dibattito sui temi caldi dl management e della gestione organizzativa, dall'altro per la loro ingenuità non offrono nessun serio spunto di ulteriore approfondimento e si limitano a commenti pro e contro al pari di un gossip scandalistico. Come spesso accade anche in altri ambiti di attività umane, senza una teoria alle spalle che motivi delle proposte, si vaga di moda in moda, senza nessuna ulteriore motivazione, qualora le si volesse abbracciare, se non quella di "così fan tutti".
Si potrebbe obiettare che "le aziende di successo fanno così". Rispondo che le aziende di successo "dicono" di fare così, in realtà si comportano al loro interno peggio di quelle che hanno pratiche "desuete". Nel post precedente facevo riferimento alla cultura di Netflix, qui vi invito a leggere di
Facebook ed
Apple.