"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

sabato 29 ottobre 2011

Ha “ragione” Bini Smaghi …

di
Francesco Zanotti

Continua il tormentone di Bini Smaghi: lui resiste e gli altri spingono perché molli.
Forse più spingono più egli vede questo spingere come una violenza che lo costringe ad uscire dal giro che conta. E, come accade per ogni “torto”, egli chiede che questo torto venga risarcito: prima mi date un altro posto poi mi dimetto.

Vogliamo avere il coraggio di affermare che Bini Smaghi ha tutte le ragioni del mondo … Almeno all’interno di questo mondo?

mercoledì 26 ottobre 2011

Concorrenti e Gladiatori

Qualche giorno fa sul Corriere è apparso un articolo dal titolo Quelle aziende che pagano la difficoltà di innovare.
A partire dai recenti problemi di Rim con il suo blackberry, fa una breve, ma interessante, rassegna di alcune aziende tecnologiche e delle loro vicende. Apple, Google, HP, Palm, Motorola, Philips, Yahoo, Myspace, Commodore, vincitori e vinti, tutti nell’arena della competizione per valutarne i motivi per cui stanno vincendo, o le colpe per cui hanno perso.

L’immagine che mi pare traspaia sia quella di un mercato come un’arena di romana memoria, una sorta di moderno Colosseo, nel quale scendono, a turno o in contemporanea e con frequenze imprevedibili, i concorrenti, moderni gladiatori, che si combattono ferocemente per sopravvivere più o meno dignitosamente, inermi e indefesi al giudizio del pollice verso o meno del pubblico (i clienti) che assiste allo spettacolo. Le armi di cui dispongono, le loro spade, lance e mazze ferrate, sono sopratutto la tecnologia di cui  devono di continuo dotarsi per parare, o assestare, fendenti letali ai feroci e agguerriti contendenti.

lunedì 24 ottobre 2011

Giavazzi, Alesina e il solito piccolo imprenditore

di
Francesco Zanotti

Credo che non ci sia punto di vista più sbagliato di quello presentato oggi sul Corriere della Sera di oggi lunedì 24 ottobre 2011 da Alesina e Giavazzi.
Sbagliato per due ragioni.
La prima è che si insiste su misure macro che non hanno alcun impatto sulla capacità di produrre cassa delle imprese. Oggi è solo l’aumento della capacità di produrre cassa delle imprese che può farci uscire dalla crisi. L’alternativa è che le imprese siano difese e mantenute dallo Stato, ma questo non sembra essere la soluzione più adatta ad una democrazia liberale. Per fare aumentare la capacità di produrre cassa delle imprese occorre fornire nuova conoscenza alle imprese stesse perché sappiano riprogettare la loro identità strategica. Chi abbia voglia di approfondire questa tesi, può leggersi il post di questo blog dal titolo: “Io piccolo imprenditore normale”.

La seconda ragione è ancora più grave: si chiede di eliminare la concertazione. In nome di una presuntuosa e presunta capacità di organi di Governo centralizzati (sia a livello di impresa, che di governo politico). In nome di una presunta efficacia ed efficienza decisionale.

Io credo … no! Non sono io che credo: sono tutte le più attuali conoscenze scientifiche (dalla matematica, alla meccanica quantistica, alle teorie dell’evoluzione, fino alle scienze sociali ed alla filosofia e, per finire e sintetizzare, alla “sistemica quantistica”) che affermano che un sistema complesso(come lo è una impresa o il sistema economico nel suo complesso) non sopporta alcun dirigismo.
Anzi tutte queste conoscenze reclamano una forma di governo (ancora una volta: a tutti i livelli sistemici) che vada molto al di là della concertazione, ma sia  una vera e propria guida ai processi di progettazione sociale. Mi fermo un attimo a livello di impresa e, siccome ho a che fare con accademici, vado con le citazioni. Tutti gli studi più attuali di strategia d’impresa (il libro di Steve Cummings “Images” ne è un’ottima sintesi) rivelano che i processi di sviluppo strategico non avvengono mai a seguito di una progettazione dall’atto, ma sono processi emergenti. Essi vanno guidati con una partecipazione progettuale intensa e diffusa che, anche grazie alle tecnologie attuali, non solo è possibile, ma è anche già praticata.

Io pubblicherò in uno dei primi numeri dell’anno prossimo su di una rivista internazionale di management un caso italiano di progettazione sociale del cambiamento strategico in una “impresa” di circa 10.000 addetti.

Caso mai, il problema è convincere il sindacato a lasciare posizioni conflittuali per partecipare non ad una cogestione (non si costruisce sviluppo partecipando alla gestione perché non c’è niente da gestire, ma tutto da rivoluzionare), ma da una vera e proprio progettazione sociale.

mercoledì 19 ottobre 2011

Chiedere conoscenze invece che soldi

di
Francesco Zanotti


E’ curioso che un’intera classe dirigente economica, di fronte ad una crisi globale, si chiami fuori …
Come fa una classe dirigente a dire che non c’entra nulla con la crisi? Chi dirigeva l’economia? L’obiezione è pronta: è arrivata da “fuori” una crisi spaventosa. Contro obiezione immediata: ma questo “fuori” dovrebbe essere su Marte per non c’entrarci nulla. Ultimo tentativo di difesa: il “fuori” è costituito da banchieri incoscienti o malandrini. Tentativo puerile perché, innanzitutto la crisi finanziaria è solo un episodio di una crisi complessiva che è di tutta un’economia e tutta una società. E, poi, i colpevoli non sono quegli stessi banchieri che queste stesse classi dirigenti hanno sempre osannato e continuano ad osannare? Forse non tutti. Ma certamente vengono ancora osannati i banchieri che oggi, invece di fare un Development Forum, stanno costruendo, sulla pelle di tutto noi, uno Stability Forum che cerca di puntellare una società impuntellabile. Vengono osannati banchieri che bacchettano i Governi, quegli stessi Governi che dovrebbero fornire le risorse per stabilizzare un sistema che i banchieri hanno creato e non vogliono cambiare.

lunedì 17 ottobre 2011

Gli uomini di Marketing: profeti o conservatori?

di Cesare Sacerdoti

Il prossimo 26 ottobre IBM, in collaborazione con l'Università Bocconi, presenterà i risultati dello studio  2011 IBM GLOBAL CMO STUDY dal titolo “From Streched to Strenghtened”.
Si tratta di una ricerca condotta attraverso interviste con oltre 1700 direttori Marketing di tutto il mondo (64 paesi) e delle varie industries (Communications, Distribution, Financial Services, Industry, Public); una ricerca che ha sicuramente il merito di essere molto ampia (Jon Iwata sostiene, nella premessa, “noi crediamo che sia la più vasta ricerca di questo tipo, mai condotta”) e ringraziamo IBM di renderla pubblica.
Il problema che noi riscontriamo sta nei contenuti e in particolare nella visione del ruolo del Marketing che deriva proprio da quei manager che dovrebbero esaltarne potenzialità e capacità di incidere non solo sulle aziende di appartenenza, ma ancor più sul mondo che tali aziende contribuiscono, a volte in modo molto marcato, a costruire.
Già nella premessa, Jon Iwata riconosce che, coerentemente a quanto emerso sull’analoga ricerca condotta sui CEO (“Valorizzare la complessità” 2011) “ mercato e tecnologie sono le due forze esterne più potenti che influiscono sulle organizzazioni oggi ” e che questi due fattori “ guideranno il crescente livello di complessità nei prossimi cinque anni sul modo in cui vengono venduti non solo i prodotti servizi, ma tutte le dimensioni della organizzazione”.
E qui sorge il nostro dubbio: sono davvero mercato e tecnologie i fattori chiave per superare l'attuale crisi che, analizzandola bene, è solo una delle manifestazioni di una ecologia di crisi che sta vivendo la società industriale?

venerdì 14 ottobre 2011

Ospite di Assolombarda e Banca Popolare Commercio e industria:perché non cambiamo noi stessi?

di
Francesco Zanotti


Ho presenziato ieri sera alla presentazione di una ricerca su “Il rapporto banca-impresa nel contesto della crisi: vincoli, esigenze prospettive”.
Soddisfatto? Certo, per l’interesse dei risultati e per la chiarezza della presentazione. Ma con qualche ombra: alla fine mancava una proposta alta e forte. Una proposta su cosa fare concretamente la mattina dopo. Sia da parte delle banche che da parte delle imprese.

Allora cerco di spazzare via anche questa piccola “macchia” … E si può spazzare via la macchia con la conoscenza … Ma, per carità, non tecnologica. Forse possono dare una mano anche Steve Jobs e la vecchia 500.
Insomma, proverò a fare io una proposta!

Credo che, implicitamente purtroppo, la via per indicare cosa fare oggi l’ha indicata il Presidente di Assolombarda Alberto Meomartini. Egli ha detto che in Lombardia vi sono molte medie imprese eccellenti che hanno un ottimo rapporto con le banche. Sapete fanno cose che agli altri non fanno o lo fanno meglio degli altri …

Allora il problema delle banche e delle imprese è duplice.

venerdì 7 ottobre 2011

C'era una volta un'azienda. C'è ancora ma...

di
Francesco Zanotti


Questa volta vogliamo raccontarvi in forma anonima, per  motivi facilmente comprensibili, una storia vera di una impresa. Lo faremo attraverso  le parole dell’imprenditore che la guida e che chiameremo il signor C.
E’ una storia surreale, ma non è una storia isolata. E’ una storia come tante che, purtroppo, si stanno consumando dappertutto nel nostro paese, e non solo. Tentando una sintesi, a noi sembra che questa storia denunci, da un lato, una totale chiusura auto referenziale del sistema bancario e del Sistema Stato. Dall’altro la sensibilità e la collaborazione degli attori di “mercato”  che riescono a costruire un fronte comune rispetto alla crisi. Purtroppo si tratta di un fronte di difesa. E’poco diffusa la consapevolezza che questa crisi non sarà risolta aspettando che passi. Ma richiede da parte di tutti (imprese, banche, Stato)   uno sforzo progettuale congiunto per rivoluzionare le imprese. E la fornitura di tutte le risorse e i servizi per attuare questa nuova progettualità e per implementarne i risultati. Insomma nessuna coalizione a difesa, ma una nuova ed intensa Santa Alleanza per lo sviluppo. Aggiungiamo noi che questa nuova stagione di progettualità necessita di una nuova conoscenza. In particolare nuovi modelli  e nuove metafore per disegnare i progetti di Sviluppo strategici, industriali, chiamateli come volete (“Prima pagina venti notizie, ventuno ingiustizie e lo Stato che fa! Si costerna, si indigna, si impegna poi getta la spugna con gran dignità” recitava sconsolata una canzone del compianto De Andrè !)
Ma andiamo con ordine.

giovedì 6 ottobre 2011

Steve Jobs: in memoria. Saliamo sulle spalle dei giganti

di
Francesco Zanotti


“Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore, orba di tanto spiro.”
Egli fu, ma la sua storia rimarrà nei nostri cuori.
E, però, non domandiamoci . “quando una simile orma di pie’ mortale” segnerà ancora le nostre terre, accompagnerà i nostri passi.

Oggi abbiamo bisogno di mille Steve Jobs. Persone, gruppi di persone capaci di costruire i segni della civiltà prossima ventura. Dobbiamo immaginare nuovi manufatti e nuovi modi di produzione; una nuova economia ed una nuova finanza; nuove citta, nuove infrastrutture e nuovi trasporti, nuove logiche di convivenza, nuove modalità di governo e nuove istituzioni.

Oggi possiamo e dobbiamo diventare tutti profeti di una nuova società. Il metodo ce l’ha insegnato un Signore dei bei tempi antichi, nato nel Natale del 1642: salite sulle spalle dei Giganti. Così anche se siete piccoli, vedrete più lontano dei Giganti stessi.

lunedì 3 ottobre 2011

Della Valle e la conoscenza

di
Francesco Zanotti

Non potevamo esimerci dal commentare l’iniziativa di Diego Della Valle: una paginata sui principali quotidiani …

Non discuto che la politica dia una pessima immagine di se stessa. Contesto le ragioni. E sostengo che non è un problema di persone, ma di conoscenze. Le conoscenze che mancano, anche agli imprenditori socialmente sensibili come Della Valle.

Mi spiego: l’attuale modo di fare della politica è dovuto a dinamiche sistemiche, non a scelte progettuali volontarie. Meglio: sono l’espressione delle scelte progettuali possibili all’interno di un sistema autoreferenziale. Il fatto che la politica sia diventata un sistema autoreferenziale è dovuto alla scelta di voler applicare il modello della democrazia rappresentativa in una società complessa. Attenzione, non sto criticando la democrazia, ma solo individuando le conseguenze di volerne adottare una versione primitiva come la democrazia rappresentativa in una società complessa.
Per cambiare modo di fare politica non occorre cambiare le persone. Basta aggiungere loro una consapevolezza “sistemica”: conoscere quali sono i processi di chiusura autoreferenziale e come si sbloccano.