di
Francesco Zanotti
Questa volta vogliamo raccontarvi in forma anonima, per motivi facilmente comprensibili, una storia vera di una impresa. Lo faremo attraverso le parole dell’imprenditore che la guida e che chiameremo il signor C.
E’ una storia surreale, ma non è una storia isolata. E’ una storia come tante che, purtroppo, si stanno consumando dappertutto nel nostro paese, e non solo. Tentando una sintesi, a noi sembra che questa storia denunci, da un lato, una totale chiusura auto referenziale del sistema bancario e del Sistema Stato. Dall’altro la sensibilità e la collaborazione degli attori di “mercato” che riescono a costruire un fronte comune rispetto alla crisi. Purtroppo si tratta di un fronte di difesa. E’poco diffusa la consapevolezza che questa crisi non sarà risolta aspettando che passi. Ma richiede da parte di tutti (imprese, banche, Stato) uno sforzo progettuale congiunto per rivoluzionare le imprese. E la fornitura di tutte le risorse e i servizi per attuare questa nuova progettualità e per implementarne i risultati. Insomma nessuna coalizione a difesa, ma una nuova ed intensa Santa Alleanza per lo sviluppo. Aggiungiamo noi che questa nuova stagione di progettualità necessita di una nuova conoscenza. In particolare nuovi modelli e nuove metafore per disegnare i progetti di Sviluppo strategici, industriali, chiamateli come volete (“Prima pagina venti notizie, ventuno ingiustizie e lo Stato che fa! Si costerna, si indigna, si impegna poi getta la spugna con gran dignità” recitava sconsolata una canzone del compianto De Andrè !)
Ma andiamo con ordine.
M.: signor C, ci racconti in breve la vicenda della sua impresa.
C.: Siamo un’azienda manifatturiera nel settore delle macchine industriali. Fondata agli inizi degli anni ’50 da mio suocero, ha vissuto delle sue continue innovazioni sul prodotto che hanno portato a depositare decine di brevetti in tutto il mondo. Questa attività di ricerca è stata talmente intensa e riconosciuta, non solo in termini di benefici economici per l’azienda, che gli ha procurato, tra le altre benemerenze, una laurea honoris causa da parte di una università americana.
Ricerca, nuovi prodotti, maestranze eccellenti, capacità di avere il contatto col cliente finale e fornirgli tutto il supporto necessario sono stati gli ingredienti del nostro successo e della nostra crescita.
M: Poi cosa è accaduto?
C: Agli inizi del 2000 abbiamo iniziato un notevole sforzo di investimenti, viziati forse da decine di anni di crescita e fiduciosi in un mercato in continua espansione. Abbiamo acquisito know-how per la costruzione di nuove macchine, abbiamo ampliato le capacità produttive costruendo un nuovo capannone, abbiamo aperto una filiale in Cina. Purtroppo da lì a breve vi è stato un calo della domanda mondiale che si è abbattuto su di noi nel momento di maggiore criticità a fronte di tali investimenti.
M: Quali i motivi di questa crisi?
C: Vari, come sempre, che si sono combinati creando un effetto devastante. Il mercato dei nostri clienti (produttori di beni di largo consumo N.d.R.), che acquistano le nostre macchine, ha visto ridursi le marginalità a favore della grande distribuzione organizzata. Conseguentemente si sono ridotte le loro capacità di investimento per il rinnovo di impianti. Vi sono stati spostamenti dei siti produttivi verso paesi a basso costo di mano d’opera che tipicamente acquistano in dollari USA. Le fluttuazioni del cambio con l’euro ha penalizzato tutti i fornitori europei portando addirittura ad una chiusura dei mercati dell’area dollaro.
M: Dunque per voi tutto questo cosa ha comportato?
C: Una diminuzione del fatturato, un’allungamento dei tempi di pagamento, una difficoltà a far fronte ai nostri impegni con i fornitori e con le banche per finanziare il circolante e gli investimenti. In breve una crisi di liquidità. Abbiamo ovviamente reagito attraverso un riposizionamento strategico: identificando nuove promettenti nicchie nell’ambito di quei settori di mercato da noi non serviti. Abbiamo così identificato la possibilità di offrire a questi potenziali clienti prodotti ad alto valore aggiunto, più che a miglior rapporto prezzo/prestazione, grazie ad un elevato contenuto tecnologico che è sempre stato la nostra eccellenza. Come conseguenza, siamo passati da un modello di manifattura in serie ad uno su commessa. Questo ha comportato un ridemensionamento della struttura del personale, la riduzione del portafoglio prodotti, il maggior ricorso all’outsourcing, per variabilizzare alcuni costi. L’ultima conseguenza, ma non certo la meno importante, è stata che le banche hanno richiesto una ristrutturazione del debito. Per rispondere a questa loro esigenza, abbiamo prodotto un documento con il quale abbiamo cercato di descrive la nostra situazione, le opportunità per superarla e il nostro impegno a farlo. Abbiamo, insomma, prodotto un business plan.
M: Avete usato particolari strumenti o modelli di strategia aziendale per produrre il business plan attraverso il quale dialogare con clienti, fornitori, banche, dipendenti?
C: No, nessuno in particolare. E’ stato un raccontare la nostra storia ed il nostro desiderio di futuro con il nostro linguaggio .
M: Quali sono, o sono state, le difficoltà che avete incontrato nel per implementare questo epocale cambiamento?
C: Mi piacerebbe poter usare il verbo al passato, purtroppo un pezzo importante del puzzle è ancora mancante: la ristrutturazione del debito con le banche.
M: Come mai? Cosa non ha funzionato?
C: Un paio di anni fa circa sono iniziati i problemi col circolante legati alle riscossioni dall’estero. Le banche con le quali lavoravamo ci proposero un accordo di ristrutturazione del debito (art.182). Ci fu da parte nostra una immediata disponibilità a valutarlo. Ma questa disponibilità non è bastata: le banche hanno proceduto autonomamente a tutelarsi bloccando gli affidamenti. E da allora è iniziato un calvario che non si ancora concluso. In breve: è iniziata una serie di incontri che non solo non hanno ancora portato ad un accordo sulla ristrutturazione del debito (oppure a dichiarare impossibile ogni operazione di ristruttrazione) ma si sono scatenate dinamiche quasi incredibili. .
M: Dopo due anni?
C: Sì, a tutt’oggi non vi è ancora un accordo sulla ristrutturazione del debito: stiamo ancora trattando. Non sta a me motivare questo enorme, e ai mie occhi incomprensibile, ritardo. Posso (e, forse, devo come servizio alla urgente ristrutturazione del rapporto banca-impresa) riportare la cronaca. Le banche coinvolte sono sei. I funzionari storici di queste banche, che ben conoscevano le vicende aziendali e personali, non ci sono più. A loro posto si sono avvicendati con varia frequenza altri funzionari, sia con esperienze di fililiale che delle direzioni centrali, che, ad ogni avvicendamento, chiedevano maggiori informazioni o dettagli. Era un continuo ricominciare da capo che, piano piano ha reso mastodontico il documento del business plan ed ottenendo l’unico risultato di scoraggiare, secondo me, la lettura al funzionario successivo. Addirittura due di queste banche ,ad un certo punto, mi hanno richiesto di documenti perché se li erano persi. Dopo un anno il pool di banche ha deciso di mettere in campo un “advisor”: uno studio legale di Milano che doveva rappresentarle tutte e sei le banche e che avrebbe dovuto rendere più fluido e rapido il processo di negoziazione della ristrutturazione del debito.
M: E’ avvenuto tutto questo?
C: Assolutamente no. Non sono mai venute risposte o proposte da questo studio. E’ stato come affittare un prestigioso ufficio, tra l’altro pagato profumatamente da me, nel quale vedersi per chiedere spiegazioni o riassumere la situazione con il funzionario di turno appena arrivato in quella posizione. E nel frattempo gli interessi passivi del 10% vengono addebitati tutti gli anni.
M: E’ un problema tecnico, ad esempio le garanzie, o secondo lei c’è dell’altro?
C: Non credo sia un problema tecnico, è il loro mestiere, lo avrebbero affrontato subito. Ad esempio non ci sono problemi di garanzie essendo tutti gli immobili di proprietà dell'azienda e resi disponibili a tale scopo. Direi che la banche non sanno “leggere” l’impresa, i suoi bilanci, i suoi piani, le sue potenzialità.
M: Non sanno leggere l’impresa?
C: Sì, mi rendo conto che l’affermazione è forte ma ho l’altrettanto forte sospetto che a livello soprattutto centrale manchino le competenze di base per dialogare con l’impresa e l’imprenditore, che ci sia un interesse esclusivo ad evitare di prendere fregature che possano danneggiare la propria carriera. Altrimenti è inspiegabile il ritardo di due anni. Di fatto vivo con una spada di Damocle che nessuno vuol prendersi la responsabilità di far cadere. Come si dice “hanno il loro bravo interesse” ad attendere perché gli interessi continuo a pagarli. Aspettando si lascia che il prossimo collega prenda una decisione. Intanto io sono costretto a campare alla giornata.
M: Quale è stato il comportamento degli altri stakeholder, a partire dallo Stato?
C: Lo Stato è inesistente. L’agenzia di riscossione non ha voluto sapere ragioni, applicando onerose percentuali di maggiorazione per mora e ritardati pagamenti. Temo che le istituzioni siano fuori dal mondo, non comprendono la realtà che le circonda e non sono in grado di effettuare nessun intervento, che, poi, invece sarebbe il modo più economico ed immediato per dare sostegno al sistema, altro che riforme!
Discorso diverso invece per clienti e fornitori. Entrambe le categorie si sono mostrate disponibili e comprensive della situazione, dandoci una reale mano per superare il difficile momento.
M: Non pensa che il diverso atteggiamento delle istituzioni da un lato, banche e Stato, e il mercato dall’altro, clienti e fornitori, sia dovuto ad un diverso grado di conoscenza, seppur intuitivo e non chiaramente esplicitato, del posizionamento strategico della sua azienda?
C: Senza dubbio. Con clienti e fornitori ciò è basato su un rapporto decennale, con le banche tale rapporto si è perso, con lo Stato non c'è mai stato… e mi scusi il bisticcio di parole che però ben ci sta.
M: E i dipendenti? Come hanno reagito al cambiamento.
C: Abbiamo avuto un’ampia dimostrazione di comprensione del difficile momento e di solidarietà. Le nostre maestranze, che abbiamo cresciuto con gli anni, sono di qualità incredibilmente alta, sia dal punto di vista umano e tecnico. Lamento però una loro difficoltà nel comprendere il momento storico che stiamo vivendo.
M: Che intende dire?
C: Che non stiamo attraversando una delle varie cicliche crisi. Qui siamo davanti ad una cambiamento strutturale totale delle regole, del mercato, del mondo intero. Questo richiede allora da parte di tutti un atteggiamento diverso e di una urgenza che non percepisco in tante persone. Devo chiedere cose che avrebbero già dovuto capire e mi si risponde che preferirebbero parlarne dopo le ferie. Ma hanno capito che le ferie potrebbero non esistere più? Che mentre ieri il “prima” e il “dopo” le ferie erano contigui, oggi tornare dalle ferie potrebbe significare trovarsi su un altro pianeta?
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
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