Qualche giorno fa sul Corriere è apparso un articolo dal titolo Quelle aziende che pagano la difficoltà di innovare.
A partire dai recenti problemi di Rim con il suo blackberry, fa una breve, ma interessante, rassegna di alcune aziende tecnologiche e delle loro vicende. Apple, Google, HP, Palm, Motorola, Philips, Yahoo, Myspace, Commodore, vincitori e vinti, tutti nell’arena della competizione per valutarne i motivi per cui stanno vincendo, o le colpe per cui hanno perso.
L’immagine che mi pare traspaia sia quella di un mercato come un’arena di romana memoria, una sorta di moderno Colosseo, nel quale scendono, a turno o in contemporanea e con frequenze imprevedibili, i concorrenti, moderni gladiatori, che si combattono ferocemente per sopravvivere più o meno dignitosamente, inermi e indefesi al giudizio del pollice verso o meno del pubblico (i clienti) che assiste allo spettacolo. Le armi di cui dispongono, le loro spade, lance e mazze ferrate, sono sopratutto la tecnologia di cui devono di continuo dotarsi per parare, o assestare, fendenti letali ai feroci e agguerriti contendenti.
Ecco dunque il canadese Rim cadere nella polvere sotto i colpi di Apple e Google; segue un doveroso necrologio a quell’americano, Motorola, che aveva inventato una nuova tecnica di combattimento, il cellulare, poi abbattuto dal già citato Google. E poi quel gigante venuto dai boschi finladesi, Nokia, rimasto con un ultima mazza ferrata prestatagli da un altro gladiatore, Microsoft, che non si è capito fin quando rimarrà lì per fornire armi agli altri e quando invece combatterà anche lui in prima persone.
E poi il ricordo di epiche battaglie tra Europei e Asiatici a suon di elettrodomestici, l’abbandono sul campo di HP delle armi comprate da Palm, Kodak, che ricorda più un guerriero vichingo che un gladiatore americano, che si arrende sotto la scure degli altri combattenti, colpevole di usare ancora armi vecchie, le pellicole, in confronto alle micidiali digitali.
Sicuramente è una rappresentazione che si presta ad una narrazione epica, nostalgica e colorita, ma esiste una visione diversa, e, sopratutto, più proficua.
I mercati si creano
Innanzitutto vi sono le persone, coloro che creano le aziende. Tutte le aziende citate erano animate da Imprenditori che avevano una precisa idea del mondo che volevano creare.
Non c’erano mercati precostituiti, o se c’erano ne hanno stravolto il significato facendo emergere qualcosa di totalmente nuovo. Paradigmatica, a tal proposito, la risposta del solito Jobs ad un giornalista che gli chiese, dopo il lancio di successo dell’Iphone, quale indagine di mercato avesse effettuato. Non è mestiere dei clienti sapere cosa vogliono fu la secca risposta. Ed è pure da ricordare che quando Google lanciò la sua prima attività, quel motore di ricerca che è ancora il servizio per la quale è universalmente riconosciuta, arrivò ben ultima dopo aziende quali Altavista, Yahoo, Lycos, e altri... ma oggi chi li usa più per cercare qualcosa nella rete?
Tutti i nomi citati nell’articolo hanno avuto all’inizio questa capacità di creazione. E dopo?
La vita evolve
Si nasce, ci si sviluppa, si muore. Destino di tutte le cose dell’universo, ma quelle create dagli uomini hanno una possibilità: rinnovarsi ricreando una propria nuova identità.
Ecco allora che la competizione appare nella sua vera natura: incapacità di rinnovamento identitario. Non un semplice maquillage tecnologico per avere qualche lunghezza di vantaggio su questo o quel concorrente in termini di qualità o minor costo, ma un vero e proprio nuovo Significato, attraente e affascinante, che il prodotto o il servizio promette.
Sempre per citare il solito Jobs, la Apple non ha mai inventato nulla di tecnologicamente nuovo (vedi mio post su ettardi) ma a partire dalle tecnologie esitenti ha dato senso ad esse creando un vero e proprio Nuovo Mondo.
Ecco allora che la crisi, con conseguente e frequente morte di alcune aziende, non è da imputare a misteriosi errori strategici, ma alla conclusa capacità dell’imprenditore, per sua scomparsa, esaurimento delle sue capacità creative o semplicemente mancanza di volontà, di reinventare l’Identità dell’Azienda, il suo DNA, non banalmente i suoi prodotti.
La stabilità non esiste
Se ciò accade, poichè il mondo cambia di continuo, anche se a gran parte dei media e della classe dirigente pare dispiacere, ciò che si era creato uno o cinque, o dieci anni fa, in dipendeza delle capacità evolutive dai vari settori merceologici, naturalmente muore . A quali errori strategici, a quali agguerriti e cattivi concorrenti, a quali riforme tardive possiamo allora mai imputare la colpa delle nostre esclusive incapacità di rinnovamento profondo che il destino universale impone agli esseri viventi e alle cose da loro create?
E’ tempo dunque, a partire dagli esempi delle aziende tecnologiche, più veloci a nascere svilupparsi e morire, interrogarsi sulla reale capacità delle imprese di sfuggire al naturale declino attraverso un profondo rinnovamento.
E' tempo di ricercare sul mercato servizi che chiariscano il "volto" dell'azienda, lo mostrino alla proprietà e l'aiutino ad uscire dal letale equivoco della "crisi" che viene da lontano.
Luciano Martinoli
A partire dai recenti problemi di Rim con il suo blackberry, fa una breve, ma interessante, rassegna di alcune aziende tecnologiche e delle loro vicende. Apple, Google, HP, Palm, Motorola, Philips, Yahoo, Myspace, Commodore, vincitori e vinti, tutti nell’arena della competizione per valutarne i motivi per cui stanno vincendo, o le colpe per cui hanno perso.
L’immagine che mi pare traspaia sia quella di un mercato come un’arena di romana memoria, una sorta di moderno Colosseo, nel quale scendono, a turno o in contemporanea e con frequenze imprevedibili, i concorrenti, moderni gladiatori, che si combattono ferocemente per sopravvivere più o meno dignitosamente, inermi e indefesi al giudizio del pollice verso o meno del pubblico (i clienti) che assiste allo spettacolo. Le armi di cui dispongono, le loro spade, lance e mazze ferrate, sono sopratutto la tecnologia di cui devono di continuo dotarsi per parare, o assestare, fendenti letali ai feroci e agguerriti contendenti.
Ecco dunque il canadese Rim cadere nella polvere sotto i colpi di Apple e Google; segue un doveroso necrologio a quell’americano, Motorola, che aveva inventato una nuova tecnica di combattimento, il cellulare, poi abbattuto dal già citato Google. E poi quel gigante venuto dai boschi finladesi, Nokia, rimasto con un ultima mazza ferrata prestatagli da un altro gladiatore, Microsoft, che non si è capito fin quando rimarrà lì per fornire armi agli altri e quando invece combatterà anche lui in prima persone.
E poi il ricordo di epiche battaglie tra Europei e Asiatici a suon di elettrodomestici, l’abbandono sul campo di HP delle armi comprate da Palm, Kodak, che ricorda più un guerriero vichingo che un gladiatore americano, che si arrende sotto la scure degli altri combattenti, colpevole di usare ancora armi vecchie, le pellicole, in confronto alle micidiali digitali.
Sicuramente è una rappresentazione che si presta ad una narrazione epica, nostalgica e colorita, ma esiste una visione diversa, e, sopratutto, più proficua.
I mercati si creano
Innanzitutto vi sono le persone, coloro che creano le aziende. Tutte le aziende citate erano animate da Imprenditori che avevano una precisa idea del mondo che volevano creare.
Non c’erano mercati precostituiti, o se c’erano ne hanno stravolto il significato facendo emergere qualcosa di totalmente nuovo. Paradigmatica, a tal proposito, la risposta del solito Jobs ad un giornalista che gli chiese, dopo il lancio di successo dell’Iphone, quale indagine di mercato avesse effettuato. Non è mestiere dei clienti sapere cosa vogliono fu la secca risposta. Ed è pure da ricordare che quando Google lanciò la sua prima attività, quel motore di ricerca che è ancora il servizio per la quale è universalmente riconosciuta, arrivò ben ultima dopo aziende quali Altavista, Yahoo, Lycos, e altri... ma oggi chi li usa più per cercare qualcosa nella rete?
Tutti i nomi citati nell’articolo hanno avuto all’inizio questa capacità di creazione. E dopo?
La vita evolve
Si nasce, ci si sviluppa, si muore. Destino di tutte le cose dell’universo, ma quelle create dagli uomini hanno una possibilità: rinnovarsi ricreando una propria nuova identità.
Ecco allora che la competizione appare nella sua vera natura: incapacità di rinnovamento identitario. Non un semplice maquillage tecnologico per avere qualche lunghezza di vantaggio su questo o quel concorrente in termini di qualità o minor costo, ma un vero e proprio nuovo Significato, attraente e affascinante, che il prodotto o il servizio promette.
Sempre per citare il solito Jobs, la Apple non ha mai inventato nulla di tecnologicamente nuovo (vedi mio post su ettardi) ma a partire dalle tecnologie esitenti ha dato senso ad esse creando un vero e proprio Nuovo Mondo.
Ecco allora che la crisi, con conseguente e frequente morte di alcune aziende, non è da imputare a misteriosi errori strategici, ma alla conclusa capacità dell’imprenditore, per sua scomparsa, esaurimento delle sue capacità creative o semplicemente mancanza di volontà, di reinventare l’Identità dell’Azienda, il suo DNA, non banalmente i suoi prodotti.
La stabilità non esiste
Se ciò accade, poichè il mondo cambia di continuo, anche se a gran parte dei media e della classe dirigente pare dispiacere, ciò che si era creato uno o cinque, o dieci anni fa, in dipendeza delle capacità evolutive dai vari settori merceologici, naturalmente muore . A quali errori strategici, a quali agguerriti e cattivi concorrenti, a quali riforme tardive possiamo allora mai imputare la colpa delle nostre esclusive incapacità di rinnovamento profondo che il destino universale impone agli esseri viventi e alle cose da loro create?
E’ tempo dunque, a partire dagli esempi delle aziende tecnologiche, più veloci a nascere svilupparsi e morire, interrogarsi sulla reale capacità delle imprese di sfuggire al naturale declino attraverso un profondo rinnovamento.
E' tempo di ricercare sul mercato servizi che chiariscano il "volto" dell'azienda, lo mostrino alla proprietà e l'aiutino ad uscire dal letale equivoco della "crisi" che viene da lontano.
Luciano Martinoli
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