Abbiamo ricevuto dal Dott. Marco Croci, che ringraziamo profondamente, un commento che per
intensità, spunti di riflessione e approfondimento abbiamo deciso di pubblicare
come post.
Il Dott. Marco Croci ha
pubblicato nel 2011 il libro I Cinesi sono differenti nel quale racconta le
esperienze vissute nei due anni trascorsi in Cina al fianco della compianta moglie,
Maria Weber, che dal 2006 al 2008 è stata Direttore dell'Istituto Italiano di
Cultura a Pechino.
Caro Cesare,
ho apprezzato molto il tuo articolo, lucido e sintetico come
era logico aspettarsi da te. Grazie innanzitutto di avere portato alla mia
conoscenza questi due libri (la mia ignoranza non ha limiti). Per quanto
riguarda i temi evidenziati, condivido per intero l'analisi di Luttwack, anche
se onestamente non sono all’altezza di poter valutare se le sue conclusioni
sono corrette, e se le cose andranno a finire come lui sembra immaginare.
C’è una frase nel tuo articolo che rappresenta molto bene il
fatto che la cultura cinese può essere interpretata in due modi opposti: <Se per Zhang Weiwei i mille stati in
un’unica nazione (quelli da cui ha origine la Cina) sono un punto di forza su cui si basa la
stabilità della Cina in quanto “presenta diversità culturali e etniche
superiori a quelle della gran parte delle altre nazioni”, Luttwak sostiene che
in realtà tutti quegli stati erano “operanti all'interno della stessa cornice
di norme culturali, con obiettivi, priorità e valori simili: le relazioni erano
intraculturali, facilitate e legate dall'uso di un'unica lingua, da una
mentalità comune e da presupposti culturali condivisi”.>. Avendo approfondito in molti modi la
cultura cinese e avendo vissuto per due anni in Cina, concordo pienamente con
Luttwack nel giudicare quelle relazioni come “intraculturali” e non come
“interculturali”, vista la obiettiva scarsità di differenze culturali rilevanti
e la mancanza di una significativa dialettica tra le parti.
Dissento dall’opinione espressa da Zhang Weiwei, che però
non mi stupisce: gli intellettuali cinesi, anche i più colti e globalizzati, tendono
ad essere culturalmente “miopi”. Considerano le culture altrui come discutibili
varianti di una cultura “oggettivamente efficace” che naturalmente è quella
cinese. Delle altre culture si dedicano a capire solo gli aspetti
interpretabili in base ai parametri culturali cinesi tradizionali, mentre ne
ignorano e ne fraintendendo gli aspetti che non capiscono, che sono spesso i
più rilevanti.
Non avendo avuto sufficiente esperienza di "vere diversità culturali" e di
"discontinuità storiche" (nè nelle vicende collettive degli ultimi
4000 anni, né nelle vicende personali dei singoli individui), gli intellettuali
cinesi non riescono a capire che possano esistere culture realmente diverse
dalla loro. Nel corso della sua storia, la Cina non ha sperimentato il manifestarsi di
mutazioni culturali comparabili a quelle che hanno portato l'Occidente dalla
cultura greca alla cultura romana, al Cristianesimo, al monachesimo medioevale
e al Rinascimento. (Tra parentesi, quando penso al monachesimo Shaolin e
persino alla maggior parte delle scuole Chan e Zen, mi viene da ridere per l’inconsistenza
delle condizioni di base per un possibile confronto!). E poi, né Riforma né
Controriforma, né Illuminismo né Encyclopedie, né scoperte scientifiche, né
invenzioni industriali, né Rivoluzione Americana, né Rivoluzione Francese, né
... né ... e neppure le dimissioni di Papa Benedetto XVI, clamoroso esempio di
“meta-apprendimento”.
L'etnia e la cultura Han hanno costruito il loro predominio in
Asia sulla conquista e sulla eliminazione di tutte le altre etnie e le culture
con cui gli Han sono venuti progressivamente in contatto nei millenni. Le hanno
"assorbite" tramite una sistematica distruzione e ora i Cinesi sono
Han al 92%, come se in Italia fossimo tutti Piemontesi al 92%, o Calabresi al
92%, o Umbri al 92%, e le altre culture locali fossero (come sono nella Cina
attuale) degli episodi di folklore da vendere ai turisti gonzi.
Il tratto distintivo degli intellettuali cinesi è il loro
essere nazionalisti, spesso in modo supponente. Che questo sia indizio di una
reale auto-stima o che sia una reazione al sentirsi inferiori ad altre culture,
non mi è dato capirlo. Ho notato che, nello sforzo di non dover ammettere
l’esistenza di culture paragonabili alla cultura cinese, utilizzano il criterio
della “durata nel tempo” per misurare la validità di una cultura: più antica è
una cultura, più è valida, perché deve aver saputo superare le difficoltà restando
se stessa. E così vincono sempre loro. Nella Cina attuale, la ricerca di siti
archeologici sempre più antichi, per poter pre-datare il più possibile la
nascita delle cultura cinese, è una vera e propria ossessione. Sperano di
scavalcare gli Egizi.
Ti chiederai a questo punto (come me lo sono chiesto io) da
che cosa deriva questo atteggiamento nei confronti del Tempo, questa ossessione
della durata.
La concezione del Tempo, in ogni cultura, è indissolubilmente
legata alla particolare concezione della morte in quella cultura (e alla
corrispondente concezione della vita, naturalmente). La mia opinione è che il punto profondissimo in cui le radici
culturali dell'Occidente e della Cina non si toccano e sono addirittura antitetiche
sta nella diversa concezione della morte. In Cina, quando nasci, sei nato;
quando muori, sei morto. Il pensiero Cinese tradizionale tende a ignorare la
questione di come l’Universo è comparso e di come scomparirà, o più in generale
della sua finalità. L'Energia dell'Universo (il Qi) prima ti mette al mondo, poi ti macina e non lascia nulla di
te: al massimo, resta il ricordo di te come di un antenato le cui azioni sono
state socialmente utili alla comunità. In questa ottica, che una persona si dia
da fare per esplorare molteplici diversità e le loro innumerevoli potenzialità
è un’avventura intellettuale inutile, insensatamente individualista. La vera
Via è una sola: sottomettersi al Qi
(ovvero al pater familias, agli
insegnanti, alla collettività, al governo, .........). Altro che assumersi la
responsabilità di dare retta al Verbo ........ !
L'Occidente Cristiano è escatologico, concepisce una
finalità della Storia e una fine del Tempo. Anche chi non crede in una finalità
trascendente (penso ai neo-darwiniani) crede però almeno in una forza
evolutiva, a partire da una "prima cellula" o addirittura da un
"big bang". C’è sempre un punto fermo, nelle profondità del nostro pattern
culturale Occidentale: può essere il termine ultimo della Storia, o invece il
suo inizio, ma c’è. Un punto di riferimento che sembra non esistere (o non
avere peso) nelle filosofie di vita dei cinesi.
Per concludere: ritengo che idee come quelle di Zhang Weiwei
non siano in realtà il frutto di complesse elaborazioni intellettuali da
adulti. Credo che derivino direttamente dal condizionamento esercitato dalle
forme di socializzazione primaria in vigore nella cultura cinese, che determinano
(come peraltro accade in ogni cultura) la "forma mentis" degli esseri umani fin dai primi anni di vita. La
forma mentis coltivata nei bambini
cinesi è autoreferenziale, infantilmente e cinicamente nazionalista (un po’
come negli Stati Uniti d’America), il che la predispone a diventare stereotipata
e presuntuosa in età adulta. Credo proprio che l'imprinting culturale primario
sia la forza più importante che agisce nella storia di ogni individuo – Konrad
Lorenz ha molto da insegnarci ........
Marco Croci
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