"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 11 marzo 2013

L'equivoco sulla "dimensione sociale" delle aziende

di
Luciano Martinoli

Uno dei tanti equivoci, voluti o inconsapevoli, che girano intorno alle imprese riguarda la loro attività nella dimensione "sociale". La causa è anche un lessico povero: poche parole che, stiracchiate di qua e di là, alla fine corrono il rischio di descrivere il tutto e il suo contrario. Provo a fare un po' d'ordine sgombrando il campo inizialmente dal significato istituzionale che viene dato alla parola: buonismo caritatevole, come per farsi perdonare qualcosa di "brutto e sporco" fatto occupandosi del business as usual. Non voglio parlare di questo.
Per attività nelle dimensioni economiche intendo quello che le imprese fanno, come agiscono, come si relazionano con gli attori sociali, politici, istituzionali e culturali.
Le attività di un’impresa nei confronti di tutti questi attori, che la letteratura economica anglosassone definisce “stakeholder”, non sono uno sforzo aggiuntivo che, graziosamente (altruisticamente), si aggiunge all’attività di business. Sono invece relazioni indispensabili, costitutive, strutturanti l’attività di business e la società che questa attività di business ospita. Cercando di essere più scientifici: il fare business non significa solo impegnarsi in scambi economici con la società, ma anche in scambi di consenso, potere, regole, valori e conoscenze.

Tutti questi scambi sono inesorabilmente intrecciati, soprattutto se parliamo di una impresa complessa di grandi dimensioni.
Detto diversamente, non ha senso l’espressione “Responsabilità sociale nel fare business”. Il fare business è una attività “sociale” che influisce in tutte le dimensioni della vita sociale, che struttura la società. Cambiandola in meglio o cercando di conservarne le strutture fondanti. Fare business è fare socialità, fare politica, strutturare istituzioni, costruire culture.
Allora è ipocrita relegare la responsabilità sociale a qualche azione caritatevole, affidata a qualche funzione aziendale di supporto, oppure produrre Bilanci Sociali che finiscono per essere pure e semplici operazioni editoriali.
Per non lasciare il discorso nei sui termini generali mi calo nel concreto, usando alcuni recenti fatti di grandi aziende italiane: ENI, Finmeccanica, Terna, A2A.


Sono tutte aziende pubbliche nel senso anglosassone (ma anche nell'accezione italiana avendo come azionisti principali ministeri e due importanti comuni). Infatti, essendo quotate in borsa, i proprietari, ma anche più in generale i "portatori di interessi" (gli stakeholder), siamo tutti noi. Le azioni di queste aziende sono nei portafogli finanziari di tantissime famiglie, italiane e non, molti piccoli investitori acquistano periodicamente le obbligazioni che tali imprese emettono. Ma non basta: chi può escludere infatti che una parte dei nostri risparmi liquidi depositati in banca non vengano utilizzati per finanziare l'operatività di queste aziende? Per non parlare dei dipendenti, delle aziende fornitrici che fanno parte della loro catena del valore, dei clienti, insomma questi soggetti sono tali, grandi e importanti, proprio perchè sostengono, e a loro volta ne sono sostenuti, una rete di relazioni ben più vasta, articolata e profonda di quello che i loro bilanci, unico documento ufficiale regolarmente aggiornato e reso pubblico, faccia capire. Alla fine i numeri sono gli effetti e la misura di tali reti, non la causa.

Da questo punto di vista allora una vera Responsabilità Sociale non si dovrebbe esaurire nel costruire il pozzo alla tribù dei Masai nel Kenia, non insozzare il circondario, aiutare i deboli e gli indifesi, che appaiono più come foglie di fico per coprire chissà quali indecenze.
La Responsabilità nel Sociale, che sarebbe utile vedere, dovrebbe sostanziarsi in una piena trasparenza delle attività proprio nel sociale, ambiente nel quale si sviluppa e prende forma il business.
E allora: 
  • Le vicende che stanno angustiando Finmeccanica e il suo ex AD Orsi riguardano proprio “scambi con Istituzioni” giudicati scorretti. Ora, a causa del tipo di business in cui opera Finmeccanica, le Istituzioni sono anche clienti. Detto diversamente, lo scambio con i Clienti non è mai solo economico. Come viene gestito questo scambio? Non so se correttamente o scorrettamente (lo giudicherà la magistratura e il suo sarà un giudizio rispetto alle leggi vigenti e non sarà un giudizio etico assoluto), ma certo in modo “riservato”. Infatti non sono disponibili informazioni pubbliche sulle politiche e sulle azioni che il Gruppo definisce e mette in atto nei confronti delle Istituzioni con cui si relaziona. Ma il rapporto tra un Attore Economico internazionale di proprietà dello Stato Italiano e le Istituzioni di paesi esteri non possono essere un affare “privato” perchè riguarda le relazioni complessive del nostro Paese con quei Paesi. Possono essere relazioni che favoriscono lo sviluppo sociale e politico di quei Paesi, oppure favoriscono lo svilupparsi di pratiche corruttorie. Responsabilità sociale significa, in questo caso, progettare consapevolmente relazioni che non solo servono a vendere, ma che sono anche al servizio di un dialogo di sviluppo tra il nostro Paese e i Paesi con cui Finmeccanica si relaziona. La scelta di modalità relazionali di questo tipo va esplicitata non solo per un dovere etico astratto, ma perché queste modalità relazionali potrebbero costituire un fattore strategico distintivo per Finmeccanica che potrebbero avvantaggiarla nei confronti dei concorrenti tanto quanto le sue tecnologie. La scelta delle “strategie” sociali, politiche, istituzionali e culturali andrebbe esplicitata anche perché su questo tipo di scelte è necessario un attento controllo sociale, visto che coinvolgono l’immagine e gli interessi complessivi del nostro Paese, oltre che quelli degli azionisti. Un controllo sociale dovrebbe essere esercitato, soprattutto, sulla cultura del management di una impresa di questo tipo che deve dimostrare di disporre delle migliori conoscenze e metodologie di analisi e progettazione di strategie avanzate di relazione con gli stakeholders.
  • Passando ad ENI, perchè un investitore istituzionale come Knight Vinke che possiede l'1% di ENI deve ridursi a suggerire a buoi scappati lo scorporo di Saipem, dopo i recenti scandali che hanno travolto l'azienda per gli affari in Algeria, invece di avere visibilità prima su quali erano le pratiche di ingaggio sociali con le amministrazioni estere?
  • A che servono i premi e i riconoscimenti  che da qualche anno a questa parte Terna riceve sulla sostenibilità se puntualmente la stampa riporta conflitti con le comunità locali (l'ultima è questa ma ve ne sono molte altre) in merito ai lavori di rafforzamento delle infrastrutture sul territorio? Dove sono descritte, mantenendole aggiornate, le politiche reali di intervento sociale per fare il business di Terna?
  • Perchè un'azienda come A2A investe in Montenegro e a distanza di anni continua ad avere strascichi giudiziari con la comunità locale, oltre a non aver dissipato dubbi sulla opportunità e finalità di business dell'intera operazione?
Sono tutti temi sociali di cui è fatto il business. Come tali dovrebbero essere, chiaramente indirizzati e aggiornati (e non gettati in una pagina dimenticata del proprio sito web o nei manuali, altrettanto dimenticati, di organizzazione e commissioni di conformità alle leggi, es. 231), nei piani industriali. Piani che non si limitino a poco comprensibili cifre ma affrontino le cause generatrici di esse. Purtroppo non ve ne è traccia (vedere www.osservatoriobusinessplan.it ) e di come tali comportamenti aziendali incidano sulle prestazioni dell'impresa siamo costretti ad apprenderlo, troppo tardi, dalla stampa, locale o straniera.

La presenza del tema sociale, in un senso che spero adesso sia chiaro, nel piano industriale, consentirebbe non solo di gettare luce sulle modalità del business, tranquillizzando gli stakeholder tutti, ma anche a rendere conscia tutta l'organizzazione del tema e a come continuamente affrontarlo.

Opportunità di business o fonte di possibili guai futuri?
Io, come tanti altri stakeholder di ENI, non lo so perchè da nessuna parte nel suo piano industriale ENI descrive come fa a fare affari. Una volta a precisa domanda con un dirigente mi venne risposto che erano "informazioni riservate". Se tale riserbo nasconde ciò che poi si è scoperto in Algeria, in Nigeria, e da altre parti... sono preoccupato (e nel caso ENI lo è anche l'investitore Knight Vinke).



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