Due punti di vista
autorevoli, ma opposti:
Edward Luttwak e Zhang Weiwei
Edward Luttwak e Zhang Weiwei
di
Cesare Sacerdoti
La straordinaria crescita
economica e le ottimistiche prospettive almeno nel breve-medio termine, fanno
della Cina uno dei grandi player mondiali, la cui influenza è in costante
ascesa sia dal punto di vista economico e finanziario, sia da quello politico.
Dal punto di vista economico, la Cina è oggi
contemporaneamente una forte minaccia e una straordinaria opportunità per
l’industria occidentale e per quella italiana in particolare: minaccia perché
la sua concorrenza si fa sentire ormai in ogni settore industriale e non solo
per il livello dei prezzi, ma anche per la qualità via via crescente dei
prodotti che esporta (vedi ad esempio la recente assegnazione alla Huawei della
gara in Svezia – patria di Ericcson - per la fornitura della rete di telefonia
4G). Opportunità, perché la middle class cinese conta oggi almeno 300 milioni
di consumatori con un livello di spesa simile a quello occidentale (un terzo
degli orologi svizzeri sono oggi venduti in Cina).
Ma quali sono le reali
prospettive della Cina? Noi siamo abituati a guardare questo Paese dalle
eccezionali dimensioni e con una popolazione che rappresenta 1/5 della
popolazione mondiale, con occhi occidentali. In questa prospettiva, la Cina sembra dover collassare
di fronte ai problemi di ordine sociale, politico e ambientale che via via
dovrà necessariamente affrontare (un po’ come è accaduto in Italia dopo il boom
economico, ma in scala 20 volte superiore). Ma la Cina è davvero un Paese
“occidentalizzato” nei costumi e nei desideri della popolazione, per cui un
regime molto forte come quello attuale diverrà un abito troppo stretto?
Provo in questo mio articolo a
mettere a confronto due recenti testi che analizzano le prospettive cinesi: Il
risveglio del drago di Edwad Luttwak (che riguarda in particolare le prospettive
di influenza politica estera della Cina) e The China wave di Zhang Weiwei che
si riferisce soprattutto alle prospettive politiche interne ed economiche.
Weiwei basa la sua analisi
soprattutto sulla considerazione che la
Cina è l’unico Paese con una plurimillenaria tradizione,
tanto da definirlo l’unico Paese civilitional
(come e più di quanto avrebbe potuto essere la Grecia o Roma se avessero
mantenuto sino ad oggi il proprio potere politico e culturale). Weiwei quindi
fa risalire alla tradizione del Paese quei valori che hanno guidato e permesso
il grande sviluppo di questo ultimo trentennio:
Un approccio politico basato sulla pratica che
permette di sperimentare prima di variare norme, leggi o principi costituzionali,
al contrario dell’Occidente che prima vara le riforme (anche costituzionali) e
poi valuta i risultati:
- uno stato forte basato sulla capacità di “conquistare il cuore e la mente del popolo” su prospettive di lungo termine, anziché su un populismo da sondaggi, e sulla meritocrazia per la scelta dei governanti, anziché l’elezione di persone che rappresentano interessi di una parte della popolazione. Lo stato forte si evidenzia anche in un sistema economico misto che “amalgama le forze di mercato con il potere dello Stato e permette la fusione dei principi di mercato con principi umanistici”.
- La stabilità come bene primario, stabilità che permette un sistema di riforme graduali, con un corretto sistema di priorità e di sequenze.
- Il pensiero olistico per cui l'intero è visto più largo che la combinazione delle sue parti e valori come diritti individuali felicità, libertà e dignità sono considerati in Cina sia individuali e collettivi legati alla pace e alla stabilità della nazione.
Per Luttwak, invece è proprio la
millenaria tradizione cinese a porre il freno a quella influenza politica che la Cina potrebbe avere sia a
livello regionale che a livello mondiale, conducendo a quello che lui chiama
“autismo da grande nazione”, di cui, peraltro, sono affette anche le altre
potenze mondiali. “ L'autismo da grande nazione della Cina – sostiene Luttwak - è
aggravato non solo dall'impegno interno che deriva dalle sue dimensioni uniche,
ma anche dall'implicita presunzione di centralità e superiorità gerarchica
insite nella tradizione tributaria delle relazioni estere Han”.
In prospettiva quindi l'autore
identifica alcune minacce sul futuro della Cina:
1. l'economia
potrebbe rallentare per molte ragioni tra cui l'enorme debito dei governi
locali, la diminuzione della forza lavoro prima disoccupato o sottoccupato
provenienti dalle campagne, una riduzione delle esportazioni se i mercati di
destinazione crescono troppo lentamente, squilibri ambientali;
2. tensioni
sociali generate da disuguaglianza di ricchezza;
3. disordini
contro gli amministratori locali;
4. tumulti
etnici, perdita di una potente ideologia emotiva e conseguente crescita
all'interno del PCC di ambizioni personali;
5. disaffezione
crescente della fetta più istruita della popolazione la quale aspira alla
libertà godute dai suoi omologhi nel resto del mondo.
Secondo Weiwei, invece, la popolazione cinese è in
stragrande maggioranza (molto più che nei paesi occidentali) soddisfatta del
proprio governo, non accetterebbe mai un sistema di partiti tra loro
contrapposti e un cambio di governo ogni 4-5 anni, non acconsentirebbe mai all'eliminazione della pena di morte. Weiwei sostiene che i vari esempi di
protesta in tutto il Paese, sono eventi assolutamente normali in un processo di
cambiamento, a maggior ragione se rapido quanto quello cinese, e non sono
minimamente paragonabili agli abusi compiuti dai Paesi occidentali nel corso
della loro industrializzazione. Infine, per Weiwei, alla dicotomia democrazia
contro autocrazia, andrebbe sostituito il binomio buon governo-cattivo governo,
indicando per buon governo quello incentrato sulla persona. Infine, circa i
diritti umani, Weiwei sostiene che questi vadano valutati nel loro insieme e
debbano includere aspetti sociali economici e culturali (per cui la mancanza di
welfare per 50 milioni di americani è una grave violazione) e che si debba
risolvere il dilemma tra diritti individuali e diritti collettivi .
Se per Weiwei i mille stati (da
cui ha origine la Cina )
in un’unica nazione, sono un punto di forza su cui si basa la stabilità della
Cina in quanto “presenta diversità culturali e etniche superiori a quelle della
gran parte delle altre nazioni”, Luttwak sostiene che in realtà tutti quegli
stati erano “operanti all'interno della stessa cornice di norme culturali, con
obiettivi, priorità e valori simili: le relazioni erano intraculturali
facilitate e legate dall'uso di un'unica lingua, da una mentalità comune e da
presupposti culturali condivisi” un po' come si verificò durante il
Rinascimento italiano.
Inoltre, secondo Luttwak,
“l'ostacolo che si frappone alla formulazione di una grande strategia di è la
fede ostinata che la sapienza strategica superiore si trovi nei testi antichi e
la conseguente convinzione che la
Cina sarà sempre in grado di superare i suoi avversari
tramite astuti espedienti, aggirando l'opposizione che si accumula a causa
della sua ascesa”.
E’ interessante anche il
confronto sul tema dei rapporti con gli altri Paesi:
per Weiwei la Cina ha saputo aprirsi in
particolare ai Paesi occidentali imparando dagli stranieri ma mantenendo la
propria indipendenza e la propria filosofia tradizionale. La Cina ha così appreso principi
di libero mercato, di management e attenzione ai risultati economici, di
welfare, di legalità e anche di diritti umani, ma ha saputo coniugarli,
traendone la forza per il suo rapido sviluppo, con l’approccio socialista, con
la capacità di macro-regolamentazione, con l’armonia dell’approccio famigliare,
con l’attenzione ai diritti collettivi evitando gli eccessi del capitalismo
americano e del welfare europeo. In sintesi, l'autore ricorda che nell'ultimo secolo
la Cina ha
imparato molto dalla Paesi occidentali e continuerà a farlo per il proprio
beneficio, ma è forse giunto il tempo perché anche l’Occidente impari qualche
cosa dai valori e dai sistemi della Cina e magari ne tragga beneficio.
Per Luttwak, invece, la Cina ha la presunzione del
valore illimitato del pragmatismo nelle relazioni internazionali, ma le
relazioni estere interculturali non sono uguali a quelli intraculturali. Di
conseguenza i fattori che influenzano la politica cinese sono:
·
l'autismo da grande nazione che diminuisce la
consapevolezza della situazione
·
residui storici derivanti dal sistema dei
tributi e dalla presunzione di centralità
·
risentimento e ostilità verso i poteri esterni
·
l'influenza dell'esercito popolare di
liberazione sulle politiche e le linee di condotta della Cina
·
La molteplicità di altre espressioni del potere
cinese
·
sindrome da deficienza strategica acquisita che
la porta a fare eccessivo affidamento su inganni.
In estrema sintesi, quindi,
Weiwei si mostra molto ottimista sulla capacità della Cina di proseguire la
fase di sviluppo facendo sì che tutte le regioni del Paese possano raggiungere
un livello di benessere, mentre per Luttwak la Cina è un Paese senza strategia che, se non potrà
perseguire la crescita rapida e concomitante di capacità economica, forza
militare e influenza diplomatica e dovrà quindi fare scelte di priorità.
Credo che sia molto importante
per le imprese italiane che vogliano affrontare le aziende e il mercato cinesi
(sia in termini di concorrenza che in termini di opportunità e di mercati di
sbocco) comprendere meglio il pensiero e le dinamiche cinesi, trasformando
queste conoscenze in vantaggio competitivo. E chi meglio degli italiani può
comprendere ed adattare il proprio comportamento alla mentalità di un altro
Paese e della Cina in particolare?
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