"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 22 aprile 2013

Competizione auto costruita …ricercando competitività


di
Francesco Zanotti

Se e quando l’imprenditore ha successo, cioè riesce a portare a buon fine un processo di creazione sociale, si scatena un circolo virtuoso. Arrivano gli imitatori che, almeno all'inizio lo aiutano ad aumentare la qualità e la quantità dell’offerta. L’apparire degli imitatori è, dunque, sia un segno di successo che un fattore di sviluppo perché aiuta ad allargare il mercato che l’impresa ha creato. E’ solo questa alleanza informale tra imprese potenzialmente concorrenti che genera lo sviluppo di nuovi settori industriali.

Oggi tutti sembrano considerare il “punto di vista” della competizione con afflato quasi mistico: come se fosse l’unico punto di vista possibile da cui guardare al mercato. Come se la competizione fosse la caratteristica intrinseca fondamentale del mercato.
La competizione, invece, è negli occhi e nella mente. E’ costruita guardando con gli occhi della competizione. Non è nel mercato, è negli occhi di coloro che guardano al mercato. Con gli occhi pieni di competizione si riesce a immiserire ogni mercato in un gioco competitivo.
Il costruire competizione è un crescendo rossiniano di guai che si sviluppa in cinque episodi.

I Episodio
Una competizione di QUALITA’
Come ho già descritto, il risultato di un processo di creazione imprenditoriale di successo è la creazione di un nuovo mercato (con profondo significato antropologico) e lo strutturarsi di uno scambio economico ben definito, positivo e visibile tra l’impresa e questo mercato. Allora accade inevitabilmente che in quel mercato cerchino di introdursi gli imitatori, emergono i concorrenti.
Come può reagire l’imprenditore? Potrebbe non smettere mai di cercare i segni del tempo futuro per rivoluzionare continuamente il mercato. Per costruire continuamente nuovi universi antropologici. Ma è molto difficile che lo possa fare. Ha usato e saturato tutte le sue risorse cognitive ed emozionali nel costruire una nuova impresa, il suo mercato di riferimento e la speranza di futuro che rappresentano. Tanto che oramai vede il mondo solo attraverso quella impresa. Occorrerebbe che fosse aiutato da fornitori di nuove risorse cognitive che possano permettere a lui di tornare a cercare i segni del tempo futuro, di innamorarsi di essi e farsi coinvolgere in una nuova storia d’amore con il futuro. Ma, intorno a sé trova solo razionalizzatori, ottimizzatori. Ed egli sa benissimo che razionalizzando ed ottimizzando non si costruisce alcuna storia d’amore.
Se le sue risorse cognitive ed emozionali non sono più in grado di fargli vedere i segni del tempo futuro, di ricominciare il processo di creazione sociale che permette di costruire nuovi universi antropologici, allora non gli rimane che accettare la sfida degli imitatori. Dopo tutto è lui che ha costruito impresa, mercato, significato: può lasciarsi spaventare da nuovi arrivati che giudica inevitabilmente senza arte né parte?

Si scatena, allora, inevitabilmente, una guerra competitiva tra l’imprenditore e i suoi imitatori. L’imprenditore è convinto di vincerla e questa convinzione cambia l’oggetto dei suoi desideri: non è più la passione per la creazione, ma la perversa libidine della lotta. Si dimentica cosa significa essere innamorato di una proposta di futuro da regalare al mondo. E ci si immerge nella battaglia competitiva con la convinzione di vincerla. Come tutti coloro che scatenano guerre. Poi, forse, qualcuno sembra riuscire a prevalere e riesce anche a chiamare questo prevalere “vittoria”, a patto di non guardarsi indietro a vedere le distruzioni che è costata questa vittoria: la distruzione di potenzialità di futuro. Ma è una illusione effimera. Presto ogni vincitore si accorge che non ha vinto una guerra, ma solo una battaglia. Ed ha creato le condizioni perché la battaglia successiva sia ancora più cruenta.

La prima battaglia si sviluppa sul terreno della qualità.
Poiché l’imprenditore non vuole più rischiare (non riesce più a immaginare possibile) nel variare l’universo antropologico del prodotto, allora non ci si può che confrontare con i concorrenti sulle prestazioni di questo prodotto che vengono riassunte con il termine “qualità”.
Se ci si confronta sulla qualità, innanzitutto, l’attenzione primaria si concentra sui concorrenti. Ma questo significa che le imprese perdono, tutte insieme, piano piano, quasi senza accorgersene, il contatto con il mercato. Un teorico dei sistemi direbbe che la relazione di un sistema di imprese che compete con il cliente (con la società) diventa di tipo “accoppiamento strutturale”. I clienti rimangono sullo sfondo della competizione tra imprese. I clienti diventano solo il riferimento sempre più teorico per la qualità dei prodotti.
Più concretamente, se la qualità è il frutto della interazione tra concorrenti, il tipo di qualità che si va formando è del tutto autoriferito. E’ facile fare esempi: tutti i prodotti tecnologicamente complessi si trasformano sotto lo stimolo del confronto competitivo. Sviluppano prestazioni che le imprese giudicano rilevanti, ma i consumatori molto meno. Tutti sanno ad esempio che delle mille funzioni di tutti i tipi di apparati elettronici ne vengono usate solo poche. Una incapacità dei consumatori di comprendere ed usare la tecnologia? O, forse più verosimilmente, disinteresse per una evoluzione di prestazioni che a loro non interessano?
Mentre i concorrenti leticano all'interno di un universo antropologico, questo universo cambia. I segni del tempo futuro evolvono e i clienti diventano sempre meno interessati all'universo antropologico complessivo rappresentato dal prodotto.
Universo antropologico sempre più lontano e prestazioni sempre più incomprensibili significano disaffezione, calo del desiderio di acquisto.
Il risultato netto della battaglia di qualità è una contrazione del mercato e un aumento di rilevanza della variabile “prezzo”. Anche i vincitori non possono dire di avere vinto.

II Episodio
Una competizione di EFFICIENZA
Le imprese che escono (apparentemente) vincitrici dalla battaglia di qualità hanno un differenziale di qualità con gli sconfitti (che, peraltro, escono dal mercato), ma non tra di loro.
Per differenziarsi agli occhi del cliente non rimane che ridurre il prezzo più dei concorrenti. Per riuscirci, occorre diventare più efficienti di loro. Inizia, allora, una battaglia di efficienza, combattuta a colpi di reengineering che costringe l’attenzione dell’impresa sempre più all'interno.
Nella fase imprenditoriale l’esterno era il cliente che era un alleato per costruire un mercato. L’interno era una organizzazione, da formare, che era anch'essa un alleato. Poi, nella fase di competizione di qualità l’esterno è diventato, soprattutto, concorrenti da combattere. Ora anche l’organizzazione si trasforma, se non in un nemico da combattere, in una macchina da rendere sempre più efficiente. I lavoratori passano dall'essere partner organizzativi al diventare “attrezzi” di produzione.

Dobbiamo riconoscere che quella ricerca di efficienza, che sembra oggi una strategia inevitabile, aumenta in realtà la chiusura del sistema.
Questo significa che il tipo di efficienza che si ottiene non è certamente funzionale né al confronto competitivo, né tanto meno, al miglior servizio ai clienti. Rappresenta l’equilibrio tra gli attori interni del sistema.

III Episodio
La competizione di RAPPRESENTAZIONE
Se la battaglia della qualità omogeneizza la qualità tra i concorrenti, la successiva battaglia di efficienza non può che omogeneizzare anche l’efficienza. Ovviamente non stiamo parlando di una efficienza assoluta, ma di una efficienza che dipende dal percorso attraverso il quale viene raggiunta.
Se la qualità e l’efficienza sono state “stabilizzate”, la ulteriore inevitabile competizione tra i vincitori della battaglia della qualità e dell’efficienza si gioca sulle capacità di fornire una differenziazione del prodotto generata dalla comunicazione.
Lo scatenarsi di questo tipo di competizione in un settore industriale è il segnale più chiaro che i sistemi d’offerta e le modalità operative sono sostanzialmente indifferenziati tra i concorrenti che in esso operano.

IV Episodio
La competizione di prezzo
Naturalmente per la comunicazione accade quanto è accaduto per qualità ed efficienza. Vi sono certamente “vincitori” della battaglia di comunicazione: quelli che sono riusciti a gridare più forte. Ma, alla fine, anche i migliori urlatori, hanno la gola secca.
Alla fine della fase di rappresentazione, i concorrenti “vincitori” si trovano ad avere la stessa forza relativamente alle armi competitive fondamentali (qualità del sistema d’offerta, efficienza organizzativa, capacità di comunicazione).
Cosa accade allora?
Che si innesca una battaglia di prezzo che non è più sostenuta da recuperi di efficienza, ma avviene a scapito della redditività. Una battaglia di prezzo che nessuno riesce più a controllare.
Ne ho già accennato, ma voglio ribadirlo… Non dimentichiamo che mentre all'interno di un settore industriale si combatte, il mondo se ne va per i fatti suoi. Più esplicitamente, ogni battaglia sul prezzo si scatena in un mercato in contrazione perché i clienti sono sempre più indifferenti all'oggetto della battaglia.

V Episodio
L’ambiente come arma competitiva
Mettiamoci nei panni dell’imprenditore quando si trova dentro una competizione di prezzo che continua a diventare sempre più feroce: un profondo senso d’impotenza satura la sua mente e il suo cuore. Gli sembra che tutte le leve che sono nelle sue mani abbiano perso di efficacia. Non gli rimane che chiedere aiuto. E un aiuto può essere finalizzato solo alla sopravvivenza, ma non a costruire “magnifiche sorti e progressive”. Un futuro migliore è demandato ad eventi mitici, come la “ripresa”, che troppo spesso viene vista come speranza di ritorno al passato.
Alla fine non rimane che chiedere aiuto al Governo perché, sostanzialmente, aiuti una impresa che non ce la fa da sola: renda più efficiente il Sistema Paese. Ma poi anche: protegga dalla competizione, “sgridi” le banche perché non fanno credito …

Il risultato complessivo: un Blocco imprenditoriale che genera crisi
Tentando di proporre una sintesi della storia di evoluzione di un’impresa nel mercato che ha creato e, quindi, della sua capacità di produrre valore, propongo l’immagine del blocco imprenditoriale.
La vita di un’impresa nasce da un’innovazione imprenditoriale che poi, piano piano, si spegne perché viene meno la capacità (la voglia) dell’imprenditore di immaginare e costruire nuovi mondi. Nasce e cresce, quindi, la competizione che chiude l’impresa in confini sempre più angusti di senso (cognitivi ed emozionali) e di risultati (fatturato, margine operativo e cassa).

Se un imprenditore si auto chiude in questa prigione cognitiva è ovvio che gli sembri davvero sempre più difficile creare nuovi mondi.

Ma l’emergere di un blocco imprenditoriale non è una inevitabilità fatale. Ogni storia di competizione è costruita dai pensieri e dalle emozioni degli uomini.

E noi aggiungiamo: la competizione non è una storia per uomini liberi, forti e generosi. E’ la favola che tranquillizza chi non è capace di grandi sogni di grandi azioni. E’ l’universo dei costruttori di crisi.
Vogliamo lasciare in eredità uno scenario di battaglie competitive o un mondo “imprenditoriale” dove si è ricominciato a costruire Rinascimenti?
Noi siamo per i Rinascimenti …

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