di
Cesare Sacerdoti
Disoccupati, l'aumento è
senza fine. Istat: dal 1977 sono 1,5 milioni in più, titola
repubblica.it di oggi
L’Istat: in 35 anni
oltre un milione e 400 mila disoccupati in più,
titola ilsole24ore.com
e sullo stesso tono anche altre testate nazionali riprendono la
ricostruzione da parte di Istat delle serie storiche dei principali aggregati
del mondo del lavoro in Italia dal 1997 a oggi. Lo stesso Istat nel Statistiche
report scaricabile dal sito http://www.istat.it/it/archivio/88827
focalizza nei grafici l’andamento della disoccupazione.
Il dato è, in ogni caso, molto preoccupante, ma va letto con
attenzione. Istat infatti sottolinea (e le testate sopra citate, riportano nel
corso dei rispettivi articoli) che “tra il 1977 e il 2012 il numero medio annuo
di occupati è passato da 19 milioni 511 mila a 22 milioni 899 mila” , con un aumento, quindi, di più di 3,3
milioni di lavoratori attivi.
Il misunderstanding sta nel valore della parola “disoccupazione”:
prendo da Wikipedia: “La disoccupazione è la condizione di mancanza di un lavoro per una
persona in età da lavoro (da 16 a 60 anni) che lo cerchi attivamente, sia
perché ha perso il lavoro che svolgeva (disoccupato in senso stretto), sia perché è in
cerca della prima occupazione (inoccupato)”: il disoccupato è colui che
è iscritto alle liste di disoccupazione, non colui che non ha un lavoro.
Allora la situazione reale è che, malgrado la crisi, malgrado la
perdita o la forte contrazione di interi settori industriali (chimica,
farmaceutica, elettronica, auto, siderurgia ecc.) e malgrado l’introduzione
dell’informatica nelle aziende (nel 1977 non era ancora diffuso nemmeno il
fax!), in Italia si hanno oggi 3,3 milioni di posti di lavoro in più rispetto a
30 anni fa.
Ma nel frattempo si sono affacciati al mondo del lavoro milioni di
“nuovi” lavoratori: in primis le donne, il cui tasso di occupazione è
passato (sempre da dati Istat) dal 33%
al 48% (pur sempre lontano dalla media
europea e dagli obiettivi di Lisbona): vuol dire che è cresciuto del 50%!
E poi la popolazione italiana è cresciuta da 55,8 milioni di persone
nel 1977 a 60,6 milioni nel 2012! 5 milioni di persone in più! E’ vero dovremmo
confrontare i dati delle sole persone in età lavorativa e, con l’invecchiamento
della popolazione, i 5 milioni si riducono significativamente, ma in ogni caso
è decisamente superiore a quella del 1977.
Da quanto sopra traggo alcune considerazioni.
Siamo troppo schiavi di statistiche che ci vengono presentate sotto
chiavi di lettura predeterminate (in altri momenti storici la stessa fonte
sarebbe stata citata con un “creati 3,3 milioni di posti di lavoro!”) e siamo
schiavi di termini utilizzati in modo inappropriato (in questo caso
“disoccupazione”).
L’Italia è stata in grado in questi anni di creare posti di lavoro,
molti (anche se non abbastanza) ben più dei sopra citati 3,3 milioni che sono
solo il risultato netto tra posti creati e posti persi. Dobbiamo riprendere a
generare imprenditorialità, in settori nuovi, probabilmente diversi da quelli
tradizionali. E dobbiamo favorire la creazione di imprese capaci di affacciarsi
ai mercati esteri. Per fare questo dobbiamo diffondere nuove conoscenze;
dobbiamo, tutti, a partire dalle Istituzioni e dalle banche favorire la nascita
di nuovi progetti che si reggano su piani strategici credibili, forti anche
quando visionari.
La popolazione italiana continuerà ad aumentare; i giovani, le donne
hanno il diritto di avere la possibilità di lavorare; i meno giovani vedono
allontanarsi l’età della pensione e, nel contempo, hanno spesso energie,
interesse, competenze per dare un proprio contributo allo sviluppo delle
aziende e quindi del Paese. Tutti quegli interventi legislativi volti a
favorire una categoria rispetto ad un’altra, ancorchè attualmente discriminata,
non potranno dare risposte esaustive, ma rischiano di creare nuovi conflitti
sociali.
E, infine, cerchiamo di ridare fiducia agli italiani, con qualche
segnale positivo, pur nella consapevolezza della gravità della situazione.
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