di
Cesare Sacerdoti
Da interista convinto leggo l’articolo di Mario Sconcerti
sul Corriere della Sera di oggi Ma chi compra conquisterà gli interisti? dice Sconcerti: “il calcio è una religione l’Inter una grande fede [… ] Una
religione non è un marchio, è un esercito sconfinato di persone fedeli a
quell’idea, comunque vada. E un popolo che pretende un dialogo continuo, quasi
fisico con il suo imprenditore. Vuole contare. […]”.
Sconcerti sostiene che “[…] Nessun’altra industria al mondo
ha questa esigenza, questa <<scomodità>>.”. Ma forse è proprio
questa la ragione per cui le nostre grandi imprese (e non intendo solamente
quelle italiane, ma le grandi imprese del nostro tempo) stanno perdendo in
significato e sono costrette a ricorrere alla religione della “competitività”.
Quale grande impresa oggi si accorge che i consumatori, i dipendenti, i
fornitori ecc. sono persone o aggregati di persone (sistemi umani) con i propri
specifici sentimenti, con le proprie fedi, con le proprie specifiche risorse
cognitive, con il proprio specifico passato.
Forse allora l’Inter e le grandi società di calcio (ma anche
di altri sport) hanno qualcosa da insegnare all'industria e alla grande impresa?
Forse allora quella che Sconcerti sottolinea come “la possibilità – degli
interisti - di essere tifosi e non solo clienti, partecipanti e non solo ascoltatori”
può divenire il modello di una nuova imprenditorialità?
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