"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 26 ottobre 2016

L’autostrada del sole: una grande storia imprenditoriale.

di
Cesare Sacerdoti

Risultati immagini per autostrada del sole ieri e oggi

“Grandi opere, 21 arresti per corruzione sulla TAV” titola oggi Repubblica.
Eppure c’era un tempo in cui le grandi opere erano un motivo di orgoglio per il nostro Paese.
L’autostrada del Sole ne è l’esempio più eclatante: 750 km di autostrada in 8 anni; dal nulla.
La rilettura, oggi,  di quell’impresa, propone vari spunti di riflessione. Ne propongo alcuni
L’opera pubblica e il sogno
L’idea di una moderna rete di autostrade nasce da un’iniziativa del Governo, con la legge 463 del 21 maggio 1955, detta legge Romita, dal nome del Ministro dei Trasporti che l’aveva fortemente voluta. Anche allora non fu un’impresa facile: Pinto, nel suo libro La strada dritta, ricorda che furono “sei mesi di scontri e battaglie parlamentari con i partiti di sinistra furibondi per aver portato via risorse a ferrovie e strade nazionali, accusando il governo di essere lacchè della Fiat: quelle auto, diceva la stampa, erano la vera ragione del piano”. Anche all’interno della maggioranza ci furono contrasti: “una delegazione democristiana li rimprovera di non aver dato la precedenza alla ricostruzione delle chiese”.
Non c’erano riferimenti validi: in Europa solo la Germania aveva realizzato delle autostrade, ma con lo scopo di trasportare rapidamente le proprie truppe. “Il progetto italiano nasceva da tutt’altre necessità. L’autostrada era pensata per le famiglie, che si muovevano con piccole utilitarie e per gli autotreni con rimorchio”. L’unico riferimento erano gli Stati Uniti, da cui Autostrade prese spunti (p.e. il concetto degli svincoli come sistema di rallentamento del traffico in uscita, oppure l’idea che “Non è l’autostrada che si avvicina il più possibile alle città, ma è la città che deve trovare il modo migliore per agganciarla senza provocare rallentamenti “).
Eppure si decise di fare da soli: “Debbono essere gli italiani a costruire la loro autostrada: serve a unire il loro Paese”.  La società Autostrade fu creata dal nulla con un esiguo capitale sociale. Il progetto dell’Autostrada che unisse l’Italia da Milano a Napoli era appena abbozzato e partiva da uno studio di fattibilità (solo del tratto padano) realizzato da “Fiat, Eni, Pirelli e Italcementi, regalato allo Stato perché spaventati dall’enormità dell’impresa”.
C’erano regole strette per fare le strade: Pinto narra che ANAS non riuscisse ad accettare una strada senza paracarri e senza marciapiedi.
Non c’erano soldi: il management dovette cercarli. Anche all’estero, da Lehman.
Non c’era neanche la certezza di una redditività immediata dell’opera: sempre ANAS sottolineava che al momento in Italia circolavano solo 1,8 milioni di auto (un italiano su 27 aveva l’auto).
Ma c’era una visione, un sogno. Un sogno che man mano che l’opera avanzava, coinvolgeva tutti. Sempre Pinto ricorda che la gente (gli ingegneri, le imprese, i lavoratori e i politici)  avesse acquistato fiducia nell’opera,  da quando ha cominciato a viaggiare sui tratti aperti e a risparmiare tempo. E perchè, come dice un personaggio del romanzo di Pinto, con essa “arriva la modernità”. Anche in un bel documentario di Raistoria, viene mostrata la contadina contenta della costruzione dell’autostrada perché ne vede vantaggi per la sua attività. E le città? “tutti i centri italiani sembravano presi dalla smania di essere toccati dall’autostrada” e “Siena e Perugia si erano date battaglia, schierando ciascuna convegni, esperti, piazze piene di gente, pareri, pressioni e nomi importanti”.
Il contrario di quanto accade oggi per ogni opera pubblica

Il management e lo spirito imprenditoriale
“Mi serve Un uomo che dal nulla sappia portare a termine un’impresa” disse, sempre nel racconto di Pinto, Aldo Fascetti, Presidente dell’IRI, a Cova neo Amministratore delegato di Autostrade. “Era questa la proposta: costruire il più grande monumento del Paese non per i morti per i vivi”
Cova è “uno di quegli alti dirigenti dell’impresa pubblica che furono definiti commis d’état o, anche, imprenditori pubblici, a cui si deve la rinascita del sistema industriale italiano. Questi dirigenti pubblici mettevano la propria imprenditorialità e capacità di “guardare lontano” al “servizio dello Stato, servizio inteso come adempimento massimo del proprio essere cittadini” [Arena 2011].
Nel dopoguerra il settore pubblico svolse un ruolo fondamentale, accanto agli imprenditori privati, per lo sviluppo del Paese: “Gli imprenditori pubblici sono artefici o esecutori di programmi che divengono elemento qualificante dell'azione di governo, gli imprenditori privati si muovono con successo in un mercato sempre più aperto e competitivo”, sintetizza Marco Doria [Doria 1999].
In tale contesto, gli alti dirigenti dell’IRI realizzarono e portarono avanti il progetto strategico di modernizzazione del paese in un ambito di economia aperta a livello internazionale. Essi, in generale, furono animati da una grande capacità di visione e dalla fedeltà al mandato da perseguire: “quello di favorire lo sviluppo del paese, uno sviluppo che le sole imprese private sono capaci di garantire” (C.Sacerdoti  Strutture di Mondo- Il Mulino 2013).
Ancora Pinto ricorda che “Quegli uomini non stavano solo cercando il modo più razionale per fare una nuova strada. Stavano cercando di cambiare la vita di un’intera nazione, com’era successo in America con la ferrovia”.
E Pinto fa dire a Lehman, dopo aver esaminato il progetto, “la mia banca finanzia nuove imprese e può permettersi il lusso di fare piani di medio lungo periodo. Ma il vostro mi sembrava troppo nebuloso, vago, direi: non c’era nessuno studio sullo sviluppo del traffico e sulla redditività, non una parola sulla rete di servizi..stavo per rifiutarlo quando mi sono fatto una domanda: Perché? Perché vogliono farla? Mi sono detto: lascia perdere le nude cifre; immaginati gli uomini assieme alle cose. E allora credo di aver scoperto cosa si nascondeva tra quei fogli…ci vuole gente dura per immaginare il futuro e voi lo siete”.
Un management che guarda lontano, che pensa all’interesse sociale (oggi diremmo degli stakeholder) prima ancora che a quello della propria azienda e, neanche a dirlo, quello personale. Eppure si batte duramente per garantire la redditività delle opere (vedi scontro con ANAS sulla realizzazione di ulteriori autostrade). Un management con spirito imprenditoriale.
Le grandi opere come cantieri di idee e di ricerca
Anche per accelerare i tempi, Autostrade decide di affidare le opere da realizzare (strada, viadotti e gallerie) in toto, progetto compreso, con l’istituto “dell'appalto concorso, dividendo il percorso in centinaia di piccoli lotti di pochi chilometri ciascuno con l'idea che tutte le imprese italiane dovessero essere coinvolte e tutti gli ingegneri progettisti italiani potessero disegnare il loro originale ponte per la strada dell'Unità nazionale. In questo contesto Riccardo Morandi, Silvano Zorzi, Giulio Krall, Arrigo Carè e Giorgio Giannelli, Carlo Cestelli Guidi, Guido Oberti e tanti altri furono chiamati da imprese orgogliose di contribuire a questo progetto collettivo” (Sole 24 ore 15-10-2014). Ne deriva un’Autostrada che non usa un’unica tecnologia per le varie opere, ma si affida all’inventiva e all’esperienza dei singoli committenti. Vengono così sperimentate e utilizzate tecnologie innovative come il cemento precompresso (poi utilizzato in numerose altre opere edili, vedi ad esempio l’auditorium della RAI a Napoli) o il sistema di costruzione del grande viadotto dell’Aglio, in cui Dalmine sposta la centina (che aveva richiesto 4 mesi per essere montata), per realizzare la seconda carreggiata.
E con questo si dà vita a “…un’intera generazione di architetti e ingegneri consapevoli dell’occasione non di ricostruire qualcosa, ma di avere a che fare con qualcosa di nuovo e possente fatto di gallerie ponti e viadotti e dovevano fare i conti con la natura” con lo scopo, Pinto fa dire a un suo personaggio, di “costruire una nuova opera d’arte, bella come Venezia e poi difenderla  con quel miscuglio di fantasia e incoscienza che fa parte del nostro carattere”
Nasce così l’Autostrada del Sole a cui il MOMA di New York dedicherà una mostra fotografica.

L’opera pubblica come motore di sviluppo dell’intera economia nazionale.

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