di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Tre recenti eventi mettono in evidenza un fenomeno che dovrebbe trovarsi al centro delle preoccupazioni di tutti gli stakeholder (e degli imprenditori): l'invecchiamento non dell'imprenditore ma dell'idea imprenditoriale delle aziende.
Su Harvard Business Review di giugno viene ricordato il
contributo dell’economista William Baumol, scomparso recentemente all’età di 95
anni. Il titolo dell’articolo è rappresentativo di
un timore degli economisti americani: “L’America sta incoraggiando l’imprenditorialità
sbagliata?”.
Baumol infatti era preoccupato dell’esistenza dell’imprenditore
“improduttivo” il quale, a differenza del suo opposto che crea ricchezza per se
e gli altri grazie ad innovazione e a “distruzione creativa” del vecchio,
costruisce relazioni speciali con il governo allo scopo di assicurarsi supporti
e rendite.
Oggi l’America è preoccupata dalla numerosa presenza di questi
ultimi e del calo di quelli “giusti”.
Sul sole24ore del 23 giugno vi è un accorato appello del
presidente di Confindustria affinchè dopo il 2020 i fondi strutturali siano per
il governo “al primo posto nella
trattativa per il bilancio europeo”, lamenta che al sud “gli investimenti
sono ancora troppo bassi” e invoca, per l'ennesima volta, il taglio del cuneo fiscale per i giovani. Sono solo gli ultimi, non certo finali, lamenti e
richieste del rappresentante degli imprenditori che sembrano incarnare le paure
di Baumol.
Il 22 giugno Jeff Bezos, in occasione di un evento a Torino per celebrare i 150 anni del quotidiano La Stampa, ha ricordato che “Una delle prime regole del business è ‘lamentarsi non
è una strategia’. Si deve lavorare con il mondo così come lo si trova e non
come si vorrebbe che fosse”.
Una bella lezione di
imprenditorialità da un maestro del settore, considerando il successo planetario
della sua Amazon.
Questi tre eventi, così
come li ho proposti, farebbero pensare a Confindustria come la rappresentanza
degli imprenditori “improduttivi”, considerando che la principale attività dei
presidenti dell’associazione degli imprenditori è: chiedere al governo di turno
e lagnarsi.
Inoltre si sarebbe
tentati di dire che Bezos parla bene perché viene dall’America, dove pure ci
sono i timori di una crescita dell’imprenditorialità improduttiva.
Per fortuna non è
proprio così: in Confindustria certamente vi sono forze sane, peccato che non
incidano molto sui loro presidenti a giudicare dalle dichiarazioni di questi
ultimi, e in Italia vi sono imprenditori
che ben conoscono la “prima regola del business” come dimostra questa intervista al Dott. Arabnia di Geico.
Vi è però una lettura
più profonda, e feconda, del fenomeno che questi tre eventi mettono in rilievo.
Baumol aveva evidenziato, senza esplicitarlo, l’esistenza, dal punto di vista strategico, di imprenditori non cattivi ma semplicemente “vecchi” nella loro
idea di business (vedere mio post precedente sul ciclo vita del valore d’impresa).
Quando si arriva a
cercare rendite di posizione attraverso il supporto dell’ambiente (stato,
banche, ecc.), si ammette di essere arrivati al capolinea delle proprie
capacità imprenditoriali.
La preoccupazione degli
economisti americani deriva allora dalla constatazione dell’invecchiamento imprenditoriale
della gran parte del tessuto di aziende del paese, nonostante Bezos e pochi
altri come lui.
Tale preoccupazione
dovrebbe essere condivisa anche in Italia, constatando le dichiarazioni di chi
rappresenta, o pensa di rappresentare, la maggioranza degli imprenditori
nostrani. La richiesta di supporti, accompagnata da lamentele, è la prova lampante
della loro “vecchiaia imprenditoriale” (indipendentemente dall’età anagrafica dei singoli capi d'azienda).
Per fortuna anche da noi c’è Arabnia ma, anche qui, pochi altri come lui.
Forse c’è bisogno di un’associazione
degli “imprenditori che non si lamentano e non chiedono” che faccia da stimolo
e guida per gli altri?
Certamente e valuteremo
la possibilità di promuoverla.
Ma forse la strada maestra è quella di una
Confindustria che prioritariamente dovrebbe aiutare, con opportuni strumenti di
Strategia d’Impresa e supportata dalle Banche, i propri associati a
riconoscere “l’età imprenditoriale” delle loro imprese. Laddove risultasse un
invecchiamento strategico, cosa altamente probabile nella maggioranza dei casi
considerando cosa fanno dire al loro Presidente, spingerli a ringiovanire o a
ritirarsi. Nel primo caso, a fronte di tale chiarezza, troverebbero le risorse per realizzare i propri
progetti. Nel secondo vi sarebbe un gran sollievo
per le casse dello stato e delle banche (ovvero, alla fine, delle nostre tasche)
con maggiore disponibilità per le prime.
La Confindustria è esattamente il modello più alla Mosca che alla Pareto di rentier pseudoimprenditori, parassitari nella testa e talvolta pure nei conti. Puro-antiBezos. Da abbattere.
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