"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

venerdì 23 giugno 2017

Lamentarsi non è una strategia

di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

Tre recenti eventi mettono in evidenza un fenomeno che dovrebbe trovarsi al centro delle preoccupazioni di tutti gli stakeholder (e degli imprenditori): l'invecchiamento non dell'imprenditore ma dell'idea imprenditoriale delle aziende.

Su Harvard Business Review di giugno viene ricordato il contributo dell’economista William Baumol, scomparso recentemente all’età di 95 anni. Il titolo dell’articolo è rappresentativo di un timore degli economisti americani: “L’America sta incoraggiando l’imprenditorialità sbagliata?”.

Baumol infatti era preoccupato dell’esistenza dell’imprenditore “improduttivo” il quale, a differenza del suo opposto che crea ricchezza per se e gli altri grazie ad innovazione e a “distruzione creativa” del vecchio, costruisce relazioni speciali con il governo allo scopo di assicurarsi supporti e rendite.
Oggi l’America è preoccupata dalla numerosa presenza di questi ultimi e del calo di quelli “giusti”.

Sul sole24ore del 23 giugno vi è un accorato appello del presidente di Confindustria affinchè dopo il 2020 i fondi strutturali siano per il governo “al primo posto  nella trattativa per il bilancio europeo”, lamenta che al sud “gli investimenti sono ancora troppo bassi” e invoca, per l'ennesima volta, il taglio del cuneo fiscale per i giovani. Sono solo gli ultimi, non certo finali, lamenti e richieste del rappresentante degli imprenditori che sembrano incarnare le paure di Baumol.

Il 22 giugno Jeff Bezos, in occasione di un evento a Torino per celebrare i 150 anni del quotidiano La Stampa, ha ricordato che “Una delle prime regole del business è ‘lamentarsi non è una strategia’. Si deve lavorare con il mondo così come lo si trova e non come si vorrebbe che fosse”.
Una bella lezione di imprenditorialità da un maestro del settore, considerando il successo planetario della sua Amazon.

Questi tre eventi, così come li ho proposti, farebbero pensare a Confindustria come la rappresentanza degli imprenditori “improduttivi”, considerando che la principale attività dei presidenti dell’associazione degli imprenditori è: chiedere al governo di turno e lagnarsi.
Inoltre si sarebbe tentati di dire che Bezos parla bene perché viene dall’America, dove pure ci sono i timori di una crescita dell’imprenditorialità improduttiva.

Per fortuna non è proprio così: in Confindustria certamente vi sono forze sane, peccato che non incidano molto sui loro presidenti a giudicare dalle dichiarazioni di questi ultimi, e  in Italia vi sono imprenditori che ben conoscono la “prima regola del business” come dimostra questa intervista al Dott. Arabnia di Geico.

Vi è però una lettura più profonda, e feconda, del fenomeno che questi tre eventi mettono in rilievo.
Baumol aveva evidenziato, senza esplicitarlo, l’esistenza, dal punto di vista strategico, di imprenditori non cattivi ma semplicemente “vecchi” nella loro idea di business (vedere mio post precedente sul ciclo vita del valore d’impresa).
Quando si arriva a cercare rendite di posizione attraverso il supporto dell’ambiente (stato, banche, ecc.), si ammette di essere arrivati al capolinea delle proprie capacità imprenditoriali.
La preoccupazione degli economisti americani deriva allora dalla constatazione dell’invecchiamento imprenditoriale della gran parte del tessuto di aziende del paese, nonostante Bezos e pochi altri come lui.

Tale preoccupazione dovrebbe essere condivisa anche in Italia, constatando le dichiarazioni di chi rappresenta, o pensa di rappresentare, la maggioranza degli imprenditori nostrani. La richiesta di supporti, accompagnata da lamentele, è la prova lampante della loro “vecchiaia imprenditoriale” (indipendentemente dall’età anagrafica dei singoli capi d'azienda). Per fortuna anche da noi c’è Arabnia ma, anche qui, pochi altri come lui.

Forse c’è bisogno di un’associazione degli “imprenditori che non si lamentano e non chiedono” che faccia da stimolo e guida per gli altri?
Certamente e valuteremo la possibilità di promuoverla. 
Ma forse la strada maestra è quella di una Confindustria che prioritariamente dovrebbe aiutare, con opportuni strumenti di Strategia d’Impresa e supportata dalle Banche,  i propri associati a riconoscere “l’età imprenditoriale” delle loro imprese. Laddove risultasse un invecchiamento strategico, cosa altamente probabile nella maggioranza dei casi considerando cosa fanno dire al loro Presidente, spingerli a ringiovanire o a ritirarsi. Nel primo caso, a fronte di tale chiarezza, troverebbero le risorse per realizzare i propri progetti. Nel secondo vi sarebbe un gran sollievo per le casse dello stato e delle banche (ovvero, alla fine, delle nostre tasche) con maggiore disponibilità per le prime.

1 commento:

  1. La Confindustria è esattamente il modello più alla Mosca che alla Pareto di rentier pseudoimprenditori, parassitari nella testa e talvolta pure nei conti. Puro-antiBezos. Da abbattere.

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