Sul Corsera di oggi vi è un editoriale, a firma Massimo Mucchetti, sulla Fiat dal titolo Il futuro sostenibile (o no) dell'auto.
Si passano in rassegna, in virtù delle ultime vicende su Fabbrica Italia, le posizioni del governo, dei sindacati, e della politica. Tutte leggittime, così come anche è leggittimo il rispetto per le libere scelte dell'azienda, ma da questa analisi resta fuori l'attore principale: la Fiat.
Di sicuro vi è bisogno di una politica industriale del governo, certamente il ruolo dei sindacati deve cambiare, è ovvio che la politica deve guidare e non seguire le vicende del paese, ma il futuro dell'auto non potrà mai essere deciso da questa Fiat. Il motivo è semplice: l'impiegato numero uno dell'azienda, l'Amministratore Delegato, più che servire un mercato che c'è, o se non c'è allora tagliare, non è in grado di fare. Purtroppo dietro di lui non c'è un Imprenditore.
Ma cosa fa un "Imprenditore"?
L'Imprenditore, quello vero non il semplice affarista, i mercati li crea a partire dalle opportunità che vede. E queste sono sempre presenti dappertutto in particolare in questo momento storico e in un paese come l'Italia. Se la Fiat avesse un Imprenditore, come lo ebbe, i problemi di cui si parla da troppo tempo non ci sarebbero. Anche se in questo paese ci fosse il più moderno sistema fiscale, economico, giuslavoristico e sindacale la Fiat sarebbe lo stesso in crisi perchè le auto che fa, queste auto, non le vuole più nessuno. Si ostina a voler produrre ferri da cavallo in un mondo che di cavalli ne vuole sempre meno. La gente ha ancora il desiderio di mobilità, ma non vuole, o può, soddisfarlo con queste auto e i segnali li invia molto chiari da tempo. Un Imprenditore avrebbe già attivato da un bel po' le risorse interne per ridefinire l'identità aziendale, la Fiat no perchè questo Imprenditore non ce l'ha. Non è Marchionne, che si limita evidentemente ad eseguire gli ordini o dare suggerimenti su come spremere il limone finchè ha succo, e non lo sono gli eredi di quella famiglia che in passatto, a pieno titolo e fino ad una certa data, possono ben dire di aver fatto non solo un mercato ma addirittura un certo tipo d'Italia.
Questa Fiat è solo in grado di rilanciare aziende decotte ma senza debiti, come Mucchetti ricorda, o fornire auto a chi non le ha, fin quando le richiederanno.
Il problema è lì, dentro l'azienda, non fuori. Basta solo guardare i suoi piani strategici, frammentati e parziali, che non ha nessuna idea di futuro se non quella di produrre queste auto a prezzi più bassi.
Purtroppo invece di attaccare il problema alla radice ci si riduce a considerare temi di "contorno" che, se pur leggittimi, anche qualora venissero affrontati, non risolverebbero il problema principale. La Fiat, come già fanno altre aziende per fortuna numerose in Italia, deve "creare" nuovi mercati e dopo chiedere un miglioramento di contesto. Il contrario è solo una scusa per coprire la sua incapacità di fare il mestiere dell'Imprenditore, quello vero!
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
La FIAT come esempio di una realtà italiana : purtoppo quanto sostiene l'ottima analisi del Dott. Mucchetti è la realtà di una imprenditoria troppo distolta da interessi finanziari ed economici poco incline ad investire in progetti industriali.
RispondiEliminaLa difficoltà nel procedere in questi ultimi è sicuramente legata ad aspetti generali della condizione del nostro Paese, ma principalmente è legata ad aspetti culturali.
In ambito economico, l'imprenditore è colui che detiene fattori produttivi (capitali, mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime), sotto forma di imprese, attraverso i quali, assieme agli investimenti, contribuisce a sviluppare nuovi prodotti, nuovi mercati o nuovi mezzi di produzione stimolando quindi la creazione di nuova ricchezza e valore sotto forma di beni e servizi utili alla collettività/società.
Bene.
Pensare che una azienda che ritiene di poter sfruttare come investimenti fondi statali o agevolazioni fiscali, significa non aver compreso cosa fa un imprenditore.
Pensare che una azienda rimane competitiva spostando i propri mercati con gli stessi prodotti e/o mezzi di produzione, è pura utopia.
Pensare che ottenere un incremento della produttività opprimendo la libertà personale, chiedendo sovvenzioni statali e facendosi pagare i propri "esuberi" dagli ammortizzatori sociali, è segno di miopia.
Il paradosso di Churchill : "Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prosperosa, è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico", non è il medesimo nel quale si trova una azienda che rigetta sulla comunità i costi dei propri fallimenti, ricevendone disaffezione e spirito di rivalsa?
La realtà imprenditoriale italiana può trovare una via alternativa a tutto ciò se riuscirà a definire come fare a rimanere in Italia coinvolgendo tutti coloro che partecipano nella creazione della ricchezza: un Patto per l'Italia.
Ciò significa che un incentivo per produrre di più non è cottimo bensì un mezzo per aumentare produttività.
Ciò significa che se un lavoratore si prende 30 minuti di pausa invece che 15, un collega lo riprenda.
Ciò significa che chi timbra ed esce, si aspetti una lettera di licenziamento.
Ciò significa che se un medico ha un paziende con 40 di febbre, non lo indirizzi al primo Pronto Soccorso perchè lui impegnato a effettuare visite a pagamento.
In sintesi aprire le menti e condividere delle missioni. Se le industrie lasciano l'Italia, faremmo la fine della GB (da 4a a ultima potenza manifatturera in EU nel giro di 10 anni) solo che loro si sono ricollocati nel mondo come entità finanziaria rimanendo fuori dall'Euro e lasciandosi mani libere di trafficare con realtà fiscali e bancarie di dubbia origine..
Siamo la 2a potenza manifatturiera in EU, tra le prime 8 nel mondo e lo dobbiamo alle nostre PMI tanto bistrattate quanto disincentivate. Innovazione tecnica e tecnologica le loro armi da sempre, in crisi sul lato amministrativo (troppa burocrazia) e gestione (soprattutto finanziaria ed economica causa mancanza cultura). Questo unitamente all'innovazione e sostegno governativo di alcuni stati lungimiranti (BRICS) verso l'espansione dei mercati e della produzione, ci sta progressivamente tagliando fuori dal mondo. Ma chi conosce la storia, sa che l'italiano (attenzione ho detto italiano, e non Italia) sa evolvere e sa trovare soluzioni a tutti i problemi, a volte da solo a volte con il supporto di altri, vedi Dante, Galileo, Fermi, Colombo, etc..
Mentre la Storia farà la sua parte, noi dobbiamo ridurre i costi e diventare più efficenti per ritornare competitivi ..
Per qualcuno sarà utopia, finchè non ci rimboccheremo le mani e dimostreremo che, a volte, anche le utopie possono diventare realtà
Caro Massimo
RispondiEliminaGrazie del lungo e articolato commento. Sono perfettamente daccordo sulla prima parte della tua analisi. Un po' meno sulla seconda. Non penso che il tema sia quello della "maggiore produttività" ma di cosa produrre. Infatti, il caso Fiat lo dimostra, che senso ha produrre più auto, o scarpe, o televisori, ecc., se nessuno le compra?
Ed è, purtroppo, proprio la situazione in cui la nostra casa automobilistica, ma non solo lei, si trova: incapace di rinnovarsi.
Voglio fare un esempio sull'importanza dell'imprenditore, m anche delle nuove risorse cognitive di cui dovrebbero disporre questi e i loro manager in questo nostro terzo millennio. E' un caso tutto italiano spesso dimenticato: la Piaggio.
Riporto per intero un pezzo della storia del gruppo ripreso dal loro sito: "Enrico Piaggio si dedica invece agli impianti di Pisa e Pontedera, con in mente un progetto ambizioso: contribuire alla motorizzazione della popolazione italiana con la creazione di un veicolo semplice, a basso costo, fruibile da parte di tutti. Per la realizzazione di questa impresa egli si avvale della collaborazione di Corradino D'Ascanio, geniale progettista aeronautico a cui si deve la progettazione del primo elicottero moderno."
Era il 1938 e il progetto vede la luce nel 1946. Puoi facilmente immaginare cosa fosse l'Italia del 1946! Enrico Piaggio si preoccupa di mercati? Di vendite? Chiede facilitazioni? No, fa il suo mestiere di imprenditore, crea mondi, e ci riesce, a partire da un esperto aeronautico, dalla sua impresa meccanica e dalla voglia di fare.
La Fiat ha gli esperti, l'impresa ma... la voglia, o meglio le conoscenze, le "risorse cognitive" di come fare nel III millennio no.