di
Cesare Sacerdoti
c.sacerdoti@cse-crescendo.com
Questa è la settimana del BIT
(Borsa Internazionale del Turismo), tradizionale vetrina del prodotto Italia e
delle destinazioni turistiche internazionali, ma anche momento di confronto dei
player del settore. Leggendo il palinsesto degli eventi, la sensazione è che si
voglia pensare al futuro e che ci sia un forte orientamento a riportare il
turismo al centro del dibattito politico, come fattore di sviluppo e di
crescita del Paese. Non a caso verrà presentato agli operatori del settore il Piano Strategico per lo sviluppo del turismo, Italia 2020, presentato il 18 gennaio
scorso da Piero Gnudi, Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo
sport.
Sono positivamente sorpreso dall'esistenza di un tale Piano Strategico: lo stesso Ministro, nelle premesse,
sostiene che “Condizione indispensabile
per un rilancio del settore è un radicale cambiamento nell’approccio ai
problemi del turismo, che nessun Governo ha mai messo al centro della propria
agenda” e che “Il turismo non è mai
stato considerato come un investimento su cui puntare per lo sviluppo del Paese”.
Inoltre, il Piano Strategico, redatto da una delle grandi società di consulenza
internazionali - The Boston Consulting - promette di proporre “un’innovazione di metodo attraverso
l’individuazione di una direzione chiara nella quale muoversi mediante un
approccio coordinato tra tutti gli attori coinvolti”.
L’ottimismo con cui leggo il Piano
Strategico, però lascia ben presto spazio a una serie di osservazioni: ne sintetizzo solo tre.
Innanzitutto l’oggetto del Piano Strategico: non si tratta della definizione di
un modello di turismo innovativo, o almeno della definizione di un metodo per
delineare le nuove prospettive del turismo in Italia. Non c’è un sogno. Non si
vedono le basi per far diventare l’Italia una delle grandi mete del tempo
libero di stranieri e di italiani (e già parlare di tempo libero anziché di
turismo potrebbe costituire un cambio di ottica importante). E non ci si
dovrebbe limitare al tempo libero: una volta conobbi un dentista nato in estremo
oriente che decise di esercitare la propria professione in una nota località
ligure per la bellezza del posto e per la qualità della vita. Allora forse il
“turismo” potrebbe essere declinato anche in altre forme, quali, ad esempio, il
periodo della terza età, o il periodo della formazione e dello studio, o altro
ancora.
Invece il Piano Strategico
proposto si limita a proporre una serie di azioni (61 raggruppate in 7 linee
guida) per recuperare “competitività”. E, tra l’altro, una competitività nei
confronti dei Paesi limitrofi, dimenticando che i flussi turistici del futuro
potranno indirizzarsi (anche) verso altre aree geografiche e trascurando gli
sforzi in corso in vari ambiti per affermare l’attrattività di macro-regioni
(quali il Mediterraneo, l’Adriatico ecc.). Personalmente credo che,
addirittura, si dovrebbe immaginare il turismo (progettarlo e proporlo) come
momento di riscoperta di quella ecologia di civiltà che è il Mediterraneo,
valorizzando il ruolo dell’Italia come polo aggregatore.
E poi il metodo: sia in termini di contenuto che di processo.
In termini di contenuto: mancano
i pilastri fondamentali di un Piano Strategico. Solo per fare due esempi: manca
la individuazione della struttura strategica del settore del turismo e manca la
individuazione del posizionamento strategico. Sorprende che proprio il BCG che,
per primo, ha immaginato il concetto di posizionamento strategico, differenziandolo da quello di posizionamento competitivo se ne sia
dimenticato. E’ una dimenticanza grande perché a partire dal posizionamento
competitivo non si può dedurre nulla sugli economics futuri che il settore
produrrà. Per farlo, è necessario parlare di posizionamento strategico di
ognuna delle “unità di business” che costituiscono la struttura strategica del
settore.
In termini di processo: il Piano
Strategico appare essere dirigistico e come tale inapplicabile. Basti pensare
che una delle prime azioni proposte (la
No 4) è quella della (ennesima) revisione dell’Art V della
Costituzione “per ridare allo Stato il ruolo di propulsore del settore”,
ponendo immediatamente le basi per una conflittualità verso le Regioni (che
infatti, in un loro stringato documento del dicembre scorso, hanno,
garbatamente ma lapidariamente, sostenuto l'inopportunità di rivedere l'attuale
assetto delle competenze in materia). Quindi, contrariamente alle premesse di
coinvolgere tutti gli attori del settore, il Piano Strategico viene realizzato
dimenticando l’apporto delle Regioni. Ma è anche velleitario programmare che
nascano spontaneamente “1 o 2 nuovi Grandi Poli Turistici nel Mezzogiorno” (No
31) perché “L’Italia non lancia un nuovo grande prodotto nel Turismo da 50
anni, al contrario di quanto hanno fatto o stanno facendo i competitor
principali”.
E infine i risultati attesi: “Implementare le azioni permetterà di
recuperare quota di mercato, portando il contributo del Turismo al PIL dai €
134 Miliardi del 2010 ai € 164 Miliardi nel 2020 e potrà creare ~500.000 nuovi
posti di lavoro, identificati in termini prudenziali”. E’ anche questo un
approccio tipico dei piani strategici delle aziende: parametri apparentemente
logici, perché basati sull’esperienza del passato (è scritto nel Piano
Strategico che si prevedono “16.000 posti di lavoro per ogni miliardo di Euro
di PIL prodotto, in linea con i valori 2010” p.38). Ovviamente si parte dal
presupposto che gli altri Paesi non reagiranno, non si doteranno di analoghe
azioni per attirare i medesimi 30 miliardi di extra PIL ecc.
In sintesi quindi, a mio parere, il documento proposto dal Ministero (e
realizzato dalle solite multinazionali della consulenza) non è un Piano
Strategico: è un elenco di azioni, più o meno condivisibili, più o meno
efficaci, ma destinato a dare frutti molto marginali. Un Piano Strategico,
invece, dovrebbe generare un nuovo sogno seguendo il quale l’imprenditore
italiano o l’investitore straniero generi nuove idee imprenditoriali. A quel
punto, compito del Governo sarà quello di facilitare e di indirizzare le varie
iniziative in un contesto coerente.
E’ anche questo uno dei motivi
per cui in campagna elettorale non se ne parla? C’era chi diceva che il focus dell’agone politica avrebbe dovuto essere
il lavoro e la creazione di nuovi posti di lavoro: ma se il turismo
potenzialmente potrebbe creare 500 mila nuovi posti, perché nessuno ne parla?
Where can i find the english version of the plan?
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