di
Francesco Zanotti
La competitività è il valore supremo? Diventare
più competitivi è la strategia regina?
Stupidaggini.
Nessuna battaglia
competitiva può essere vinta.
Infatti, sia la teoria che
l’esperienza dimostrano che ogni (eventuale) acquisizione di vantaggio
competitivo è sempre meno intenso e durevole e finisce sempre di più in una
competizione di prezzo. E le battaglie di prezzo sono le più cruente:
garantiscono che proprio nessuno, tra coloro che vi partecipano, riusciranno a
sopravvivervi.
La ricerca di un vantaggio
competitivo stabile è come la ricerca della presunta bacchetta magica che ci si
illude possa risolvere ogni guaio, il Santo Graal che tutti
cercano, ma nessuno trova, di qualche Deus ex machina misericordioso.
La competizione, quindi, non
va combattuta, ma eliminata ritornando ad immaginare e proclamare nuovi
prodotti e servizi, ologrammi di una nuova società che sia progresso e futuro
della società industriale.
Possiamo e dobbiamo
aggiungere anche altre osservazioni.
La prima è che la ricerca della competitività finisce per diventare
un discorso di alibi referenziale.
Intendo dire che si finisce
per cercare di diminuire i costi (in vista di un vantaggio di prezzo) solo
rispetto al proprio passato. E questo è il massimo del “non sense” perché si
tratta di una azione che rende l’impresa più competitiva solo rispetto a se
stessa, ma non rispetto ai concorrenti.
A dimostrazione di quanto un
discorso autoreferenziale sia diffuso vi sono i processi di ristrutturazione
del debito. Essi (palesemente) non funzionano proprio perché sono fondati su
progetti di riduzione dei costi che cercano di far diventare l’impresa
competitiva solo rispetto al suo passato.
Per concludere, le strategie
di competitività sono anche cognitivamente bloccanti perché sono orientate a
far funzionare meglio il presente.
Mortificano l’innovazione
perché finalizzano anch'essa alla conservazione. Uccidono anche la speranza
perché l’immergersi nella conservazione obnubila la vista: impedisce di
“vedere” le potenzialità e le richieste di futuro.
Sono, allora, strategie di
conservazione in un mondo che chiede
alle imprese rivoluzioni strategiche.
Per noi la competizione sarebbe
una trappola mortale
Supponiamo per un attimo che
la crescita della competizione sia inevitabile perché non vi sono spazi per
nuovi prodotti e servizi ad alta intensità esistenziale ed innovatività
funzionale. Se così fosse, la crisi delle nostre imprese sarebbe irresolubile.
Infatti è vero che la
crescente competizione “colpisce” tutti i paesi industriali allo stesso modo. Ma
dal punto di vista del competere sugli attuali prodotti e servizi (giocare soltanto
sulla innovazione tecnologica e sull'efficienza e l’efficacia organizzativa), un’importante
parte delle nostre PMI (la struttura portante del nostro sistema economico e,
quindi, sociale) non ha alcuna possibilità di superare la sua attuale debolezza
competitiva in tempi ragionevoli.
In sintesi, il
cercare di aumentare la competitività delle nostre imprese per affrontare la
competizione significa cercare di combattere una battaglia nella quale,
strutturalmente, non vi possono essere vincitori. E noi si parte
svantaggiatissimi.
Detto a mo’ di slogan, se
cerchiamo di risolvere la crisi diventando più competitivi, riusciremo solo a
vincere una competizione al contrario: saremo i primi a perdere. Cioè saremo i
primi a buttarci, da soli, nella brace più calda che c’è.
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