Lettera aperta al Dott. Luca Paolazzi
direttore del Centro Studi Confindustria
di
Luciano Martinoli
Gentilissimo Dott. Paolazzi
Desidero congratularmi per il recente convegno dell'8 e 9 aprile a Parma del quale hanno dato ampio spazio i giornali.
Proprio a fronte di alcuni commenti riportati dalla stampa sembra siano stati evidenziati quei temi che da sempre indichiamo come i fattori primari, insieme agli strumenti necessari, per un ritorno allo sviluppo: la (ri)progettazione strategica delle imprese e la conseguente rappresentazione in Business Plan pubblici.
Infatti, come riporta il sole24ore del 10 aprile, il prof. Marini, dell'Università di Venezia ricorda che "...in Italia manca una narrazione dell'impresa, un racconto che evidenzi il valore sociale della stessa".
Parole giustissime ma che non devono indurre nella tentazione di ricadere nelle pratiche sterili e "giustificatorie" della retorica della responsabilità sociale, foglia di fico di cui fin troppi si accontentano. L'azienda è qualcosa di ben di più che alcune buone pratiche di supporto a questa o quella categoria di stakeholder. La dimensione sociale è molto più articolata e le sue sfaccettature sono strettamente correlate fra di loro, fino agli aspetti economici e finanziari dell'impresa stessa. Ma con quali strumenti realizzare in pieno questo richiamo onde evitare che rimanga una vuota invocazione?
Giustissima anche la sconfortata considerazione di Alberto Bauli, riportata nello stesso articolo, che ricorda come "l'impresa non è vista come l'elemento fondante della società". Ma come fa ad esserlo se i suoi comportamenti sono sempre più rivolti all'impoverimento (licenziamenti, sofferenze bancarie, ecc.) di quella società che pur aveva, fino a qualche tempo fa, provveduto a creare ed arricchire. Oggi infatti l'impresa sembra addirittura essere reticente, e forse anche non più capace, a condividere, per averne un supporto, piani di sviluppo "alti e forti" (come le nostre ricerche costantemente dimostrano) che rinovellino gli antichi fasti.
Ed è pur corretto il richiamo alle banche affinché realizzino un "salto di qualità in termini culturali, provando ad andare oltre la mera logica del conto economico per iniziare ad approfondire i temi del prodotto e del mercato; erogando credito, cioè, sulla base di una maggiore conoscenza dell'azienda". Ma, anche qui, con quali strumenti? Essi sono certamenti ignoti al mondo delle banche ma anche il sistema imprenditoriale non si fa carico di una adeguata proposta di livello; anzi in alcuni territori propone una cultura "inversa" di appiattimento sul vecchio approccio bancario che lo stesso Bauli invita a superare (mi riferisco a strumenti tipo "Bancopass" che invece tanto appoggio stanno riscuotendo presso alcune associazioni imprenditoriali e non solo).
Infine parole che oserei addirittura definire "sante" del vicepresidente Pesenti che ricorda, in un altro articolo, come "La gestione dell'impresa non può più essere appannaggio del singolo. La complessità è tale che, ormai, quel vecchio metodo non è più valido. Deve evolvere l'imprenditore...".
Ma come fa, nella solitudine delle sue convinzioni e affogato da offerte di piccoli servizi funzionali alla risoluzione del problemino del momento (il circolante, lo sconto fatture, l'internazionalizzazione, ecc.) a riconoscere questa dimensione "alta" come vitale?
E' lo stesso Pesenti che ricorda come, a questo punto, "diventa fondamentale la conoscenza" e invita proprio la struttura che lei dirige ad "essere più collegata agli imprenditori". E' una sfida stimolante ed un invito a percorre strade poco praticate in passato, quelle della conoscenza in questione: la Corporate Strategy, ma, a fronte della perdurante gravità del momento e di tali stimoli, crediamo sia il caso iniziare a considerare.
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