di
Luciano Martinoli
E' questo il titolo provocatorio dell'editoriale dell'ultimo numero del magazine di 'Legalcommunity' (MAG). Un triste destino che può accadere anche a professioni diverse dagli avvocati. Ma cosa significa esattamente? E, sopratutto, come si può evitare?
La battuta originale è "L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto" e si riferisce alla "freddezza e il distacco con cui il dottore si deve necessariamente rapportare al suo assistito".
Mentre siamo d'accordo sulla 'freddezza', il distacco spesso maschera un atteggiamento tipico di tutte le professioni che, viaggiando verso una intensa specializzazione (dal "sapere poco di tutto" al "sapere tutto di poco"), perdono di vista il quadro di insieme che possa suggerire la migliore tipologia di intervento.
Distacco, dunque, malinteso, scusa per concentrarsi sul quel "tutto di poco" per dare soddisfazione a ciò che si sa fare più che a ciò che serve davvero al cliente.
Come affrontare il problema?
Nel caso delle professioni che hanno a che fare con le aziende, è lo stesso editoriale che indica la soluzione: "dotarsi di professionisti (o professionalità) che siano anche capaci di analizzare il progetto di business del proprio cliente."
Infatti le cause della 'morte dei pazienti', lato consulenti legali ma anche finanziari, economici, ecc., risiede proprio nell'incapacità di comprendere a fondo la traiettoria di business che aveva bisogno di una operazione straordinaria a supporto. Dalla impossibilità di comprenderne la sua natura profonda discendono interventi inutili, improvvidi, a volte letali.
Va anche detto, a onor del vero che, di fianco all'incapacità di comprendere vi è anche l'incapacità di esprimere tali progetti compiutamente da parte delle imprese (tutte, anche le più grandi come dimostrano tutti gli anni i nostri Rating dei Business Plan).
Si è fatta allora finalmente luce su un area critica, un 'buco' di competenza, vitale per tutte le professioni 'funzionali': quella della comprensione e definizione dei progetti di business (quest'ultima potrebbe addirittura essa stessa essere un 'business') oggetto di studio di una disciplina che va sotto il nome di Corporate Strategy . Dunque una necessità di innovazione nel mestiere togato, che si auspica possa essere colta anche da altre professioni, alla quale i grandi studi rispondono investendo... in tutt'altro.
Infatti l'articolo dello stesso numero della rivista che parla delle innovazioni
"In base ai risultati della seconda analisi dedicata da MAG al fenomeno,..."
Si evince che "...cresce l’impegno degli studi legali attivi in Italia sul fronte dell’innovazione".
Bene ma che innovazione?
"Organizzazione interna, sicurezza, ma anche attenzione al benessere dei professionisti e valorizzazione dei giovani assieme a una maggiore cura del rapporto con i clienti, della comunicazione e della responsabilità sociale."
Tutto tranne quella capacità "di analizzare il progetto di business del proprio cliente" che è invece proprio ciò che serve davvero.
Se si pensa che sia una innovazione, a dirlo è il direttore della rivista, e non la si persegue, vuol dire che ci si trova davvero davanti a "qualcosa di nuovo".
In conclusione, come suggerisce lo stesso editoriale, "La sfida dell’innovazione nei servizi legali può essere giocata anche sul fronte delle competenze integrate. Questo può significare allargare la partnership a non avvocati? Forse sì. E allora?"
Allora, aggiungiamo noi, vorremmo interloquire con chi vuol fare innovazione radicale nei servizi legali, ma non solo, a beneficio dei clienti azienda e, di conseguenza, dell'economia tutta.
Con effetti migliori e maggiori di tanti interventi dall'alto.
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