di
Francesco Zanotti
Ovviamente
mi riferisco al caso Unicredit. Su cosa accadrà poi un problema rilevante lo
individua Alessandro Graziani oggi sul Sole24Ore…
Dipendenti,
Risparmiatori e Clienti di Unicredit tirano un sospiro di sollievo. Così come
azionisti e obbligazionisti.
E il futuro?
Se guardiamo al Business Plan che Unicredit espone sul suo sito e datato 13
dicembre 2016 non vi sono elementi che permettono di rispondere a questa
domanda. Questo fatto segna la cifra di anomalia del caso banche: a quale altra
tipologia di impresa viene concesso un aumento di capitale di tale portata
senza che essa dia indicazioni scientificamente accettabili su cosa farà nel
futuro? Nel caso di Unicredit l’anomalia è particolarmente … anomala … perché
l’aumento di capitale non sembra destinato ad investimenti, ma a coprire
perdite.
Alessandro
Graziani sul Sole24Ore di oggi sostiene che si tratta dell’aumento di capitale
“definitivo”. Ma, poi, egli stesso, si pone una questione “drammatica”: sarebbe
bene interrogarsi su come sia stato possibile cumulare negli anni così tanti
crediti in sofferenza”.
Provo ad
affrontare questa questione che certamente permette di immaginare qualcosa sul
futuro di Unicredit.
Innanzitutto
osservo che le ragioni per cui sono aumentati i crediti inesigibili avrebbero
dovuto essere spiegate nel Business Plan. E, soprattutto, il Business Plan avrebbe
dovuto spiegare cosa intende fare la banca per evitare che si riformino. E
questo non tranquillizza.
Ma c’è
qualcos’altro che non tranquillizza. E non riguarda solo Unicredit. La ragione
per cui non si non parla di questi problemi è perché pensa che non ci possa
fare nulla. Purtroppo si pensa che i crediti inesigibili siano solo il frutto
della crisi economica che, a sua volta, è generata da eventi fatali (dal Fato
stesso a Giove Pluvio incazzato, forse è bastato anche solo un dio minore
capriccioso), quindi fuori dalla portata dell’umana capacità di intervento. Per
cui la strategia vincente è “ha da passà a nuttata”.
Ma non è
vero! La crisi economica è somma della crisi di tante imprese i cui prodotti
sono diventate commodities e costringono le imprese a battaglie di prezzo
insostenibili. Tanto è vero che molte imprese i cui prodotti non sono diventati
banali commodities hanno prosperato anche durante la crisi. Occorre allora
mettere in discussione la capacità di valutazione delle banche. Io sostengo (e
mi piacerebbe un dibattito pubblico sul tema) che le banche in generale non
dispongono delle risorse cognitive necessarie a valutare le imprese in
periodi di grandi cambiamenti.
Allora il
futuro, dopo la capitalizzazione, dipenderà certamente dal fatto che Unicredit
(ma anche il futuro delle altre banche dipenderà da questo) abbia voglia o meno
di dotarsi delle risorse cognitive che permettano loro di fare un salto di
qualità nella capacità di valutazione delle imprese. Se questa voglia non ci
sarà, allora saremo nei guai. Dico “saremo” perché il peso dei guai ricadrà
sulla collettività tutta.
A rafforzare
i dubbi che vengono dal tentar di rispondere alla questione posta da Alessandro
Graziani occorre osservare che anche altre questioni chiave, che hanno a che
fare col futuro, non sono state affrontare dal Business Plan definito prima
dell’aumento di capitale. La principale è: quali tipi ci conoscenze e
metodologie di cambiamento intende usare Unicredit? Quelle tradizionali di “Change
management” che sono fatte apposta per generare resistenze al cambiamento
(quindi disastri commerciali ed organizzativi) o vuole attingere ai risultati
che rendono disponibili le scienze naturali ed umane?
Concludendo:
meno male che l’aumento di capitale è stato sottoscritto, ma tutti gli uomini
di buona volontà dovrebbero chiedere ad Unicredit di rassicurarci che non ne
avrà bisogno di altri. E la rassicurazione dovrebbe, almeno (perché ce ne
sarebbero molte altre), partire dalle risposte alle problematiche che, partendo
dal dubbio di Alessandro Graziani, sono state sollevate in questo post.
Nessun commento:
Posta un commento