"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

mercoledì 15 febbraio 2017

Rating del calcio: strumento efficace o specchietto per le allodole?


 Risultati immagini per palla la centro

“Diamo ora la linea al nostro collega da Milano per un aggiornamento sulla partita…”. Se questa fosse una diretta radio-sportiva, di certo, sarei stato introdotto in questo modo.
È di ieri la notizia, riportata sul Sole 24Ore, che dal prossimo anno tutte le squadre appartenenti alla Lega Pro della Figc in via sperimentale, quindi non vincolante al momento per il rilascio delle licenze necessarie all’iscrizione al campionato, saranno valutate da un rating redatto da una commissione indipendente. Questa è la strategia messa in atto dal presidente della Lega Pro, Gabriele Gravina, per premiare le società più virtuose. Alcuni sostengono che questa iniziativa faccia parte di una strategia più ampia atta a raccogliere consensi tra i grandi club di Serie A, non ancora schierati, in relazione alle prossime elezioni federali di marzo; ma non è mio interesse spendere opinioni a riguardo.
Mi voglio soffermare, invece, ad analizzare l’utilità che tale rating possa avere. Per rating si intende un giudizio esterno riguardante la solidità finanziaria di una società, ma in questo caso si presenta in modo originale: i punti vengono assegnati secondo quattro aree di interesse, aventi diversa pesatura; mentre lo standard minimo da raggiungere, per non pagare conseguenze negative, è di 80 crediti. Il punto debole di questo sistema riguarda la valutazione del patrimonio netto, il quale dovrà essere almeno pari al 70% di tutti i debiti. Il problema risiede nella possibilità che hanno le società di reintegrare le perdite con l’immissione di nuovi fondi provenienti dai soci. A mio parere, il problema legato a tale clausola non riguarda la ricapitalizzazione in sé, ma alla mancanza di una strategia sostenibile futura. In questo modo, infatti, si permette alle società morose di tamponare in maniera illusoria una situazione debitoria, destinata a ripresentarsi, e di falsificare l’oggettività del rating: società con grossi problemi di debito potranno ottenere comunque il minimo standard per iscriversi annualmente al campionato.
Oltre che per questo importante parametro, il rating può essere criticato anche a livello strutturale in quanto al suo interno manca un chiaro riferimento alla strategia che la società intende seguire per risolvere i suoi problemi ed avviare la crescita. Da sempre nel nostro blog ci siamo battuti per mettere in risalto le tematiche riguardanti l’importanza del business plan ed anche in questo caso non è possibile fare altrimenti. Com’è possibile valutare una società calcistica senza tenere conto degli obiettivi che questa ha intenzione di raggiungere durante la stagione e, insieme a questi, il modo in cui tali obiettivi verranno perseguiti? È un vizio diffuso, oltre che pericoloso, quello di dare un peso maggiore al passato di un’impresa piuttosto che indagarne il futuro.

Un rating che si rispetti non può sottovalutare la strategia futura della società che sta analizzando e, neanche, può offrire delle scorciatoie per tappare momentaneamente dei buchi finanziari. “...da Milano è tutto. Vi restituisco la linea.”

1 commento:

  1. Riceviamo dal Prof. Gianfranco Minati e volentieri pubblichiamo.
    Sembra che ci sia un gran bisogno di misurare, dare indici al fine di confrontare, e fare previsioni. Nell’ipotesi che tutto sia misurabile, come la bibliometria considerando gli impact factors.
    Ancora un futuro calcolabile e delineabile dal passato.
    Tutto nell’assunzione di linearità e cioè validità di:
    • Additività: f(x + y) = f(x) + f(y),
    • Omogeneità: f(α x) = α f(x) per qualsiasi α.
    I punti di discontinuità (Drucker,1968) di cui parlava Peter Drucker (1909-2005) non sono neppure considerati, ad esempio dati dall’introduzione di nuovi risultati scientifici, usi nuovi di ciò che già è disponibile e ripartenze dopo azzeramenti dovuti alle guerre.
    Occorre invece saper individuare i campi di potenzialità. Un modo iniziale è individuare il complementare, ciò che non si fa oggi e che invece si potrebbe fare.
    La cibernetica del primo ordine, in una frase, consisteva nell’ottimizzare il gioco che si sta giocando e che si sa giocare.
    La cibernetica del secondo ordine, in una frase, consiste nel progettare un gioco nuovo, non equivalente al precedente, ed avente proprietà diverse.
    Passare dalla dama agli scacchi.

    Il guaio è che la ricerca è orientata, usata, limitata, e supportata solo se promette estensioni dell’attuale, rimuovendo possibili traumatiche conseguenze sullo scenario attuale, ad esempio energetico e sanitario.
    L’orientamento è fatto, ad esempio, decidendo i finanziamenti ai progetti di ricerca che vengono concessi quanto più garantiscono continuità e non traumaticità proteggendo processi di profitto in corso; attraverso i meccanismi di referaggio e accettazione dei lavori premianti ragionamenti consolidati e ripetuti (incontrovertibili!); evitando la presentazione di lavori di frontiera: la distanza tra un’idiozia e una genialità è molto sottile; si pensi al chimico Walther Nernst (1864-1941) che nel 1906 ebbe l’ardore di proporre che il vuoto era fonte di energia, introducendo il vuoto come oggetto fisico poi studiato dalla fisica quantistica (Nernst, 1906).

    Parlando di finanziamenti alla ricerca ci stiamo adagiando troppo su una presunta linearità, corrispondenza tra finanziamenti e risultati della ricerca, dimenticando ad esempio che nessuno ha finanziato l’idea di Nernst o la relatività e tanto altro…
    Il problema è la riduzione della ricerca al di fuori della ricerca finanziata. Se è finanziata, è perché vi è un obbiettivo in mente, da ricercare, raggiungere.
    Diceva Peter Drucker (Drucker, 1970) che la prima cosa da decidere in una strategia di sviluppo è che cosa abbandonare, non stabilire nuovi obiettivi.
    Abbiamo bisogno di punti di discontinuità per evitare iterazioni infinite dello stesso gioco (il consumismo) che portano a distanze infinitesimali da stabilità asintotiche che sono in realtà punti di morte entropica (ad esempio prodotti con prezzi tanto bassi dopo il competere sul prezzo di vendita, che non conviene più produrre) .
    Come generare allora punti di discontinuità che non siamo conseguenze di eventi traumatici, come le guerre.
    Generare criticità, introdurre e generare risorse non omogenee, perturbare.
    Abbiamo la conoscenza per farlo. Proviamo a farlo, nella scienza, nell’imprenditoria, nella scuola, nell’informazione, nella cultura,… i puntini sono da scrivere

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    Drucker P.F., 1968. The Age of Discontinuity. Heinemann, London (trad. it. L’era del discontinuo, Etas Kompass, 1970)

    Drucker P.F., 1970. Technology, Management & Society. Harper & Row, New York (trad. it. Tecnologia, management e societa’, Etas Kompass, 1971)

    Nernst,W., 1906. The New Heat Theorem. Edizione inglese pubblicata da Methuen, London, nel 1926 e ripubblicata da Dover Science Books nel 1969.

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