di
Francesco Zanotti
Leggo un articolo di
Giuliano Amato sul Sole 24 Ore di ieri dove sostiene una tesi che non si può non
condividere. Dice: è certamente un bene
che l’Europa si muova verso l’unione bancaria, fiscale e politica. Ma ci vorrà
tempo e dobbiamo temere un incedere
colmo di incertezze perché le opinioni, le scelte, le strategie dei diversi
Paesi sono tutt’altro che univoche.
Allora, conclude,
dobbiamo costruire una strada di sviluppo autonoma. E la proposta è: abbattiamo
il debito pubblico verso l’estero facendolo comprare agli italiani.
Ora l’analisi è così
evidente da sembrare banale. Ma la proposta è perdente.
Proviamo ad andare al
fondo del problema: se avessimo in Italia 50 imprese che hanno la capacità di
produrre cassa della Apple non avremmo problemi. Abbatteremmo il debito
pubblico (tutto), potremmo avere risorse per la solidarietà sociale, potremmo
aumentare gli stipendi.
Invece cosa abbiamo? Un
sistema di imprese che è distribuito in un continuum, ad un capo del quale vi
sono, certamente, imprese che in piccolo sanno produrre cassa come la Apple.
Ma, all’altro capo, vi sono terzisti a bassa tecnologia e monoclienti che oggi stanno
assorbendo cassa e non si vede come possano un domani, che dovrebbe essere molto
prossimo, per non decretarne la scomparsa, tornare a produrla.
In mezzo vi è,
appunto, la terra di mezzo di imprese che stanno come sospese. Rischiamo di
scivolare verso l’estremo negativo del continuum e non si sa bene come aiutarle
nel brevissimo. Esiste la carta della sopravvivenza finanziaria (pagano le
banche), ma oggi fornire risorse per la mera sopravvivenza finanziaria è come
fornire droga: si genera un momentaneo benessere che può essere mantenuto solo
con dosi sempre più alte.
Cosa fa la differenza
tra le imprese che stanno al capo virtuoso del continuum rispetto a quelle che
stanno al capo opposto?
L’opinione corrente è
che quelle virtuose sono più competitive. Ma si tratta di una opinione troppo
generica, fino a diventare retorica.
Infatti, cosa significa
essere più competitive?
Competitività può
significare proporre sul mercato prodotti o servizi unici. Le imprese che si sono dotate di questo tipo di
competitività sono imprese “Apple like”. Poi esistono altri tipi di
competitività che hanno sempre meno (rispetto alla unicità del sistema d’offerta)
capacità di far produrre cassa alle imprese che l’adottano. La competitività
meno “potente”, fino ad essere controproducente, è la competitività di prezzo.
Di fronte a questa
situazione, innanzitutto, propongo di cambiare il linguaggio. Proporrei di dire
che le imprese che si sono dotate, o vogliono dotarsi, di prodotti e servizi unici
seguono strategie imprenditoriali. Lascerei la parola competitività a descrivere
la ricerca di diversità di “potenza” (in termini di capacità di generare
cassa) inferiore. Fino a quella diversità che significa impotenza strategica
che è la competizione di prezzo.
Allora la via che
dobbiamo intraprendere è quella di aumentare il numero di imprese che hanno
voglia di strategie imprenditoriali. Che hanno voglia di immaginare prodotti e
servizi radicalmente nuovi, ologrammi di una nuova società.
Aumentale il numero di
voglia di imprenditorialità profonda delle imprese non è una via “succedanea”
in attesa che si muova l’Europa. Quasi un tamponarne le incapacità e le insipienze, ma è la via regina senza la quale anche la più tempestiva e lungimirante
leadership europea diventa impotente.
Per aumentare la
voglia di imprenditorialità profonda non servono esortazioni retoriche. Occorre
fornire conoscenze e metodologie di strategia d’impresa per aumentare la
capacità di visione e di progetto. E fornirle sia alle banche che alle imprese.
Operativamente, queste
conoscenze e metodologie possono permettere, innanzitutto, di costruire una
panoramica complessiva della distribuzione delle nostre imprese nel continuum “imprenditorialità-competitività”. Cioè nel continuum “capacità di produrre o
assorbire cassa”. E’ una panoramica indispensabile per le imprese, ma
soprattutto per le banche. Come fanno, altrimenti a valutare la qualità
del loro portafoglio crediti verso le
imprese?
Poi servono alle
imprese per riprogettare la loro identità profonda. Se le banche dispongono delle
stesse metodologie e conoscenze possono fungere da stimolo, da contributo allo
sforzo di progettualità strategica delle imprese.
Tentando una sintesi:
lasciamo pure che si cerchi una maggiore integrazione europea. Ma, intanto, noi
iniziamo a rinnovare le nostre imprese usando una risorsa fino ad oggi
negletta: la conoscenza. E, in particolare, le conoscenze e le metodologie di
analisi e progettualità strategica.
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