di
Francesco Zanotti
Al settimo posto si è classificata una canzone molto più amara, con
accenti catastrofici: Noi non ci saremo dei Nomadi.
A proposito, quel Cantagiro fu vinto dall’Equipe 84 con Io ho in mente te …
Cantavano, auspicavano, i Rokes “Sarà
una bella società fondata sulla libertà” … Poi la speranza di quella bella
società non si è mai concretizzata in una società vera. Anzi, si è spenta nella
violenza del terrorismo …
Non ce l’hanno (abbiamo) fatta, hanno (abbiamo) tutta la colpa
dell’insuccesso, ma avevano ragione a crederci. La speranza di una bella
società futura era giustificata da quelli che Papa Giovanni definiva nella sua
famosa Enciclica Pacem in terris “i
segni dei tempi”: l’ascesa delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna
nella vita pubblica, una configurazione sociale-politica della famiglia umana
che si stava incamminando verso l’eliminazione della differenza tra popoli
dominatori e dominati. Aggiungo io: grandi avventure collettive come la
conquista della luna; eventi culturali epocali come il Concilio Vaticano II;
uomini che oggi vivono nella Storia: dallo stesso Papa Giovanni ai Kennedy, a
Martin Luther King.
E oggi? Ai tempi di una crisi che nessuno sembra riuscire a domare?
Sembra paradossale dirlo, ma oggi viviamo immersi in segni del tempo
futuro ancora più intensi, espliciti, concreti di quei tempi. Oggi non è un
tempo di crisi, è il tempo in cui ce la possiamo (dobbiamo) davvero fare a costruire
una “bella società, fondata sulla libertà”.
Ce la possiamo fare perché siamo “accerchiati” da abbondantissimi
segni del tempo futuro: potenzialità di futuro, nuovi attori protagonisti e
nuove risorse cognitive.
Tutti questi segni del tempo futuro aprono davanti a noi mille
possibili sentieri verso una nuova economia ed una nuova società e ci invitano
a percorrerli …
Come se in tanti angoli del mondo si ricominciasse a suonare quella
musica dei Rokes …
Provo a raccontare qualcuna delle potenzialità del futuro usando come
ordine di esposizione il parametro della concretezza …
Parto, cioè, dalla economia. Ma non mi soffermerò sulle tecnologie di
cui si parla anche troppo (e forse banalmente). Parlerò, invece, della scienza.
Le persone nelle società occidentali cominciano a stufarsi (quasi
affetti da una noia da abbondanza) dei prodotti e servizi che propongono le
imprese che in questa società sono nate e prosperano. Il caso archetipale è
quello dell’auto che dovrà subire non solo una evoluzione tecnologica, ma anche
un cambiamento radicale della sua funzione d’uso: le esigenze di trasporto
individuale non potranno più a lungo essere soddisfatte da questo tipo di
tecnologie.
Le persone delle società in via di sviluppo non sono ancora affette da
noia da abbondanza, ma sta diventano evidente che i loro bisogni igienici, per
mille ragioni, non potranno essere soddisfatti attraverso i prodotti e servizi
tipici della società industriale. Tra queste ragioni ve ne sono anche di molto
“hard”. Ad esempio: la carenza delle materie prime e delle immense quantità di
energia necessarie a produrre i manufatti tipici della società industriale per
i miliardi di persone che ancora non ne usufruiscono. Ma ve ne sono anche di
più profonde. Infatti le persone delle società in via di sviluppo desiderano
certamente anch’esse soddisfare i loro bisogni fondamentali. Ma, sempre più,
percepiscono una sensazione di estraneità verso un tipo di prodotti e servizi
che nascono da una cultura che, al di là di ubriacature iniziali, sentono come
estranea.
Conseguentemente, cominciano ad apparire nuovi prodotti (e servizi, ma
di quelli non parlerò) che non solo necessitano di meno energia e meno materie
prime, ma che nascono da sensibilità diverse e prefigurano “fisicità” diverse.
In molti angoli del mondo si sta cominciando a costruire prodotti
“morbidi”. Innanzitutto, polifunzione. E, poi, componibili a desiderio
dell’utilizzatore e quasi dolci al tatto. Immaginiamo il camminare in questa
direzione. Prendere in mano uno dei prodotti della società industriale è come
prendere in mano un oggetto eterogeneo al tocco: freddo, spigoloso duro.
Immaginate di prendere in mano, invece, oggetti caldi, senza spigoli e morbidi.
Il prenderli in mano diventa molto simile allo stringere la mano di un uomo o
della natura per compiere insieme passi nella Storia.
Parallelamente ai primi vagiti dei nuovi prodotti, e non a caso,
stanno nascendo nuove modalità per produrli e per generare l’energia che serve
ai processi produttivi.
Innanzitutto, sistemi di fabbricazione “locale”, al limite
“casalinghi”. Si pensi solo alle stampanti 3D che, in qualche modo, permettono a
tutti una artigianalità spinta. Fatta soprattutto di fantasia, inventiva
passione perché la competenza manuale è affidata agli stessi sistemi di
fabbricazione locali che contengono anche la necessaria intelligenza
ingegneristica.
Ovviamente rimarranno anche strutture centralizzate di produzione per
i manufatti più grandi e complessi. Ma il ruolo dei lavoratori cambierà
radicalmente: dal lavoratore esecutivo al lavoratore progettuale.
Poi si sta espandendo il desiderio (e le tecnologie necessarie per
realizzarlo) di altrettanto locali capacità di produrre energia.
Il sogno contemporaneamente ancora lieve, ma già intenso, di capacità
di produrre cose ed energia insieme, localmente.
Credo che non sia necessario dettagliare quali nuovi materiali e quali
nuove tecnologie perché se ne sta parlando diffusamente. Forse è il caso di
dire che queste nuove tecnologie e questi nuovi materiali permettono davvero di
immaginare le tipologie di manufatti e le modalità di produzione che ho provato
a descrivere.
Anche le infrastrutture di trasporto e telecomunicazione dovranno
trasformarsi radicalmente. La via è tracciata: dalle grandi infrastrutture
della società industriale ad un sistema di infrastrutture meno invasive,
costose. Magari infrastrutture intelligenti e capaci di auto-manutenzione.
Parimenti le città dovranno diventare altro. Stiamo assistendo alla riscoperta
dei borghi, all’affermarsi di modelli come le smart cities.
Il tutto alla ricerca di un nuovo trasporto e di un nuovo abitare.
Se percorrete il pezzo di autostrada che da Milano va a Bergamo potete
avere una percezione “fisica” della estrema eterogeneità tra la natura
artificiale costruita dalla società industriale e la Natura. E’ una
eterogeneità che non ci piace: cerchiamo la Natura “vera” appena possiamo. E’
anche una eterogeneità che non è più sostenibile: la natura artificiale sta
diventando così invasiva che sta distruggendo il tessuto stesso (l’ecologia)
della Natura.
Il vecchio patto tra l’uomo (uomo solo Faber) e la Natura vera (l’uomo
costruisce una natura artificiale, usando la Natura come materia prima e
deposito rifiuti) sta diventando distruttivamente predatorio.
E’ necessario, allora, costruirne un nuovo patto (tutto da immaginare)
tra Uomo e Natura. Che non può essere il banale costruire una società
artificiale “sostenibile”, ma che deve costruire un cammino di co-evoluzione
tra Uomo e Natura.
A percorrere i sentieri del futuro vi saranno nuovi attori
protagonisti economici, sociali, politici ed istituzionali.
Non è il luogo per darne un resoconto dettagliato. Voglio solo
proporre due esempi.
Il modello della monolitica impresa industriale orientata
all’efficienza ed al profitto sta lasciando il posto a nuovi soggetti e a nuove
logiche: dal no profit, alle imprese reti. Anche la logica profonda
dell’impresa si allontana sempre più dallo stereotipo (generato da vecchie e
banali ideologie) dell’imprenditore “rapace” che bada solo al profitto. O
dell’azionista ossessionato dal breve termine. Sta emergendo un’impresa, dove
il lavoratore non è più solo un esecutore, ma deve diventare quello che abbiamo
già definito “Lavoratore progettuale” che costruisce l’organizzazione e il
mercato insieme all’imprenditore ed al management.
I
tradizionali attori politici, monopolisti del gioco democratico, stanno
lasciando il posto a galassie evolutive di movimento nelle quali maturano nuovi
desideri e proposte “locali” (in ambiti specifici) che, però, sembrano davvero
gli ologrammi della bella società futura. Nuovi movimenti che possono diventare
alleati preziosi nel costruire una nuova economia.
Dal Vaso di Pandora al contrario stanno uscendo anche gli strumenti
fondamentali per far “precipitare” le potenzialità di futuro in un nuovo futuro
reale.
Esse sono costituite da un vero e proprio patrimonio di nuove risorse
cognitive: modelli e metafore per costruire una nuova visione del mondo.
In particolare, sta emergendo una nuova scienza che propone una
visione del mondo completamente diversa da quella della scienza classica. Una
visione del mondo costruttiva, comunitaria, dal sapore molto più umano e
profondo. Una nuova scienza capace di rompere quel dualismo con le scienze
umane che ha caratterizzato la scienza classica. Fatta di tutti i modelli e le
metafore che hanno “scoperto” sia le scienze naturali (fisica quantistica in
testa) che le scienze umane (un esempio per tutti: l’approccio relazionale in
psicoanalisi). Una scienza che costruisce conoscenza come opera d’arte e lascia
immaginare nuovi percorsi di creazione della conoscenza e della realtà che
permettano di costruire la nuova società prossima ventura come una vera e
propria opera d’arte sociale.
Nuovi Rokes stanno tornando tra noi. Stanno diffondendosi, emergendo, nuove
spinte verso empatia e solidarietà. Jeremy Rifkin è il teorico dell’empatia come
risorsa fondamentale per costruire e vivere nel mondo futuro.
Empatia e solidarietà sono le risorse con le quali gli uomini si
relazionano: coraggiosamente o vigliaccamente. Sono la passione e la responsabilità
verso il futuro.
Il modello della società industriale sembrava ignorarle in nome di un
funzionalismo ( le cose, gli uomini e la Natura, valgono per l’uso che se ne
può fare) che, però, pur senza consapevolezza, ha liberato tanti popoli da quel
bisogno che impediva loro di essere pienamente uomini.
In Italia questa empatia si declina anche come socialità profonda. Nel
desiderio di giustizia e servizio sociale.
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