"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

martedì 17 luglio 2012

Il circolo vizioso della ristrutturazione del debito


di
Francesco Zanotti

I processi di ristrutturazione del debito stanno diventando sempre più frequenti e problematici. Ogni ristrutturazione del debito sembra poter essere solo l’anticamera di una successiva, ulteriore e più pesante ristrutturazione del debito, in un crescendo rossiniano che porta al grido finale di insolvenza.
La necessità di ristrutturare il debito nasce dal guardare il mondo con gli occhi della competizione e si cerca di gestire questa operazione usando, sia da parte delle banche che delle imprese la stessa logica competitiva. Ma è proprio così che si crea il crescendo rossiniano di guai di cui dicevo.
Infatti le imprese, a causa del crescere (auto costruito) della competizione e del ridursi della loro capacità di produrre valore (patrimoniale, economico e finanziario) sono costrette a chiedere alle banche di ristrutturare il debito. Le banche rispondono che serve un piano industriale che spieghi quali cambiamenti farà l’impresa, in modo da poter onorare le nuove scadenze del debito. Ma che tipo di cambiamenti chiedono? Chiedono, sostanzialmente, la riduzione dei costi e delle persone in nome della competitività. Pensando che, spendendo meno, si riescano a pagare i debiti. Siccome poi questo non accade, perché dopo le riduzioni fatte le imprese non sono in grado lo stesso di pagare i debiti (chiedete alla banche quanti piani di ristrutturazione hanno avuto successo), allora si cerca di ridurre sempre più duramente e risolutamente. Il rigore è il valore di fondo. Ma, continuando a premere l’acceleratore del rigore si uccidono le imprese.
Il problema è che anche le imprese ritengono legittima la via della riduzione di costi e persone perché, anch’esse, pensano in termini competitivi.
Si crea così una vera alleanza tra banche ed imprese, ma orientata al declino, non allo sviluppo.
In barba a tutti i segni del tempo futuro che stanno traboccando da ogni parte.

1 commento:

  1. Parecchi spunti validi, che partono -ritengo- dalla constatazione che buona parte dei piani di ristrutturazione portati alle banche (e da queste approvati) sono poi falliti presto o tardi.
    E' probabilmente vero che nel piano industriale di risanamento, chiesto dalle banche ma previsto anche dalla legge fallimentare, l'aspetto di riduzione dei costi (inevitabile se legato al calo del fatturato che ha prodotto la crisi) è valutato con un grado maggiore di probabilità rispetto alla ripresa dei ricavi. Ma è altrettanto vero che un piano di ristrutturazione finanziaria è scritto e fatto per rigenerare quella cassa necessaria a rimborsare i (troppi) debiti bancari e quindi la focalizzazione delle banche non è sbagliata. Le banche pensano meno alla competitività e più al rientro della loro esposizione.
    C'è piuttosto da domandarsi cosa faccia pensare alle banche (e alla legge fallimentare che in questo non aiuta) che la stessa persona (imprenditore) o lo stesso team che ha portato l'impresa nelle secche della quasi insolvenza, abbia capacità e sangue freddo sufficiente per riportarla fuori. Nella gran parte dei casi questo non avviene, e non a caso.
    Sono purtroppo rari i casi in cui i creditori possono pretendere -senza rischiare in proprio- la sostituzione, anche temporanea, della guida dell'impresa a garanzia del successo del piano, proprio per evitare da un lato un'implementazione troppo morbida del piano e dall'altro una serie di cambiamenti più coraggiosi.
    Alla fine tutto si trasforma in un esercizio formale nel quale la banca evita di classificare a sofferenza un debitore, butta avanti la palla con un piano solo finanziario di ristrutturazione del debito, ma non controlla strettamente l'esecuzione del piano industriale.
    Da ultimo va detto che la difficoltà, sempre causata dalla legge fallimentare e dal codice penale, di aggiungere nuova finanza limita (per non dire preclude) piani industriali di ristrutturazione che siano basati anche su investimenti e non sul solo rigore del taglio dei costi.
    Grazie dello spazio

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