di
Luciano Martinoli
Ieri sul quotidiano "La Repubblica" è stato pubblicato un articolo sul caso Saipem e le presunte pratiche di corruzioni, sulle quali si sta indagando, messe in atto per ottenere alcune commesse. E' una notizia che dovrebbe inquietare tutti noi, non solo come shareholder ma come cittadini italiani. Infatti Saipem, e la sua controllante ENI, sono, per la loro dimensione, un attore di vera e propria politica estera e, dovrebbero essere, un promotore di sviluppo. La mia ipotesi è che quando accadono fatti come questi non vi sia solo un problema, eventuale, di “onestà”, ma di conoscenza e strumenti.
Saipem non ha reso disponibile il suo business plan (si veda www.osservatoriobusinessplan.it) e quello della ENI tratta quasi solo delle dimensioni tecnologico, finanziario ed economico dell’attività di impresa, tralasciando di analizzare il sistema di stakeholders e di decidere, conseguentemente, una strategia nei loro confronti. Meglio, il tema è lasciato a funzioni aziendali che lo leggono solo in termini di comunicazione, un po’ asettica e con qualche spruzzata di charity.
Credo che sia questa la ragione che genera i fenomeni che tutti vorremmo evitare.
Per comprenderlo, proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se si agisse diversamente.
Immaginiamo che le dimensioni sociale, politica, istituzionale e culturale diventino (tanto quanto le dimensioni tecnologica, finanziaria ed economica) contenuti essenziali del business plan che viene presentato ad Azionisti, Amministratori ed ai mercati finanziari. L’analisi degli stakeholders può avvenire utilizzando una mappa che permetta di individuarli tutti e capire le loro ragioni di scambio con l’impresa. La consapevolezza della complessità delle relazioni sociali, politiche, istituzionali e culturali costringe ad esplicitare le strategie nei confronti di tutti gli stakeholders. Il risultato è che le strategie messe in atto dai singoli manager diventano non solo più efficaci, ma esplicitate e controllabili. La mancanza di questo processo di analisi e progetto, che parta da una mappa completa del sistema degli stakeholders, “costringe” i diversi manager, lasciati soli in questo compito, a farsene una immagine povera e a ricorrere a strategie che, nel superficiale immaginario collettivo (?), assumono dimensioni collusive, fino a degenerare nell’illegalità.
Allora una via "regia" è la seguente: inserire nel business plan esplicitamente analisi e progetto delle dimensioni sociale, politica, istituzionale e culturale dell’attività di impresa (come proponemmo nella nostra indagine sul "Rating Business Plan" delle aziende FTSE MIB).
Se a prima vista occuparsi di stakeholder può suscitare commenti e impressioni di inutilità , di troppa distanza dal business e dalla sua dimensione economica, ne vedo invece, attraverso l’articolo su citato, quale ne sia il danno economico a breve, il danno passato su analoga vicenda in Nigeria, 365 più 20 milioni di dollari di multe per ENI, e immagino con apprensione quali possono essere quelli futuri nel avere ignorate quelle dimensioni.
Balza allora immediata ed urgente l’importanza e la necessità di un Business Plan profondo e allargato multidimensionalmente come processo, più che come documento, di vera e propria Corporate Governance reale, legata al business, molto più efficace di “regole” imposte da leggi (231) o suggerite da momenti passeggeri di attenzione al tema.
Per un’azienda come ENI, anche in virtù dell’illuminata eredità del fondatore del quale quest’anno si commemora il mezzo secolo dalla scomparsa, ritengo che sia doveroso. Lo è ancora di più in qualità di azienda più grande in Italia, dove l’azionista pubblico è ancora in maggioranza relativa, in un momento economico e sociale come questo dove ci si aspetta che le grandi aziende nazionali siano promotrici di uno rinnovato sviluppo, con l’azione e l’esempio di nuove pratiche di business.
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