di
Luciano Martinoli
Egregio Dott. Taino
Ho
letto con interesse il suo gustoso commento, pubblicato sul Corsera del 6 febbraio scorso,
sulla vicenda delle agenzie di rating e del procuratore De Dominicis.
Giustamente
ricorda che “molti capitali escono dalle loro (dei paesi emergenti)
economie e cercano Paesi e storie di crescita su cui investire” e che l’Italia
è nella posizione di poterne attrarre.
Ma chi racconta, in Italia e delle sue aziende, le “storie di crescita su cui investire”?
Ma chi racconta, in Italia e delle sue aziende, le “storie di crescita su cui investire”?
Lei ritiene che le agenzie di
rating sono “indispensabili” per i “mercati finanziari moderni” ma la loro
indispensabilità è esclusivamente motivata da un deficit di “racconto” che è
presente in tutte le economie del mondo e in tutte le loro aziende (e gli
investitori davvero moderni hanno capacità di giudizio autonome dalle agenzie,
come dimostra il recente caso del debito di Puerto Rico).
Se tutti, paesi e aziende, fossero
in grado di “raccontare la loro storia di crescita su cui investire”, e questa
storia fosse chiara, professionale, verificabile nel tempo ma, soprattutto,
appassionante, a che servirebbero le agenzie di rating?
Ciò che in maniera grottesca è
stato evidenziato in questa vicenda è la necessità di un nuovo “mercato
finanziario moderno”. Ma non quello che fa intendere lei dove le agenzie di
rating sono quasi un “male necessario”. Serve invece un mercato dove non
abbondano solo le tecnologie ICT, bio, nano o altre diavolerie, ma anche quelle
tecnologie “umane” che esprimono capacità di scrivere racconti professionali e
emozionanti di storie di crescita sulle quali chiamare investimenti a frotte.
Le risulta che qualche paese li
scriva, dagli USA in giù? Ecco perché “servono” le agenzie di rating: delega al
giudizio in mancanza di oggetto di giudizio!
Le risulta che lo fanno le aziende
nel mondo? Legga allora questo articolo di un caso di
un’azienda USA, ovvero nel più “moderno” mercato finanziario al mondo, che non si sa ancora che
modello di business abbia. Oppure il nostro rapporto sul Rating dei Business Plan delle aziende FTSE MIB e STAR della Borsa Italiana.
Che “storie di crescita” sulle
quali attrarre investimenti si possono comprendere?
Allora sarebbe opportuno stimolare
le nostre classi dirigenti pubbliche (Ministeri, Corte dei Conti, Preture,
ecc.) e private (CDA, Assemblee soci, manager, ecc.) a dotarsi di conoscenze
per scrivere e giudicare storie di crescita. A poco serve limitarsi a
commentare ironicamente l’appiattimento a delle pratiche consuete, i rating
delle agenzie, che stanno mostrando tutti i loro limiti.
E tali conoscenze sarebbe
opportuno cercarle non nei paesi “moderni”, che tanto efficienti non sono come
le dimostrano i due esempi citati, ma laddove si levano, soprattutto nel nostro
paese, voci che indicano direzioni nuove, contrarie all'andazzo comune,
apparentemente folli.
Perché qualcosa di
radicalmente nuovo, che è ciò di cui abbiamo bisogno, si presenta all’inizio
come folle, in caso contrario non sarebbe davvero nuovo.
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