di
Francesco Zanotti
Figlia di cotanto padre, si ritrova, però, a
balbettare. Sbagliando sfide.
Come tutti, dice che la sfida è il cliente
retail che si porta con sé la sfida delle tecnologie.
Poi dichiara che anche una grande banca deve
considerarsi una start-up. E subito dopo finisce con dichiarare che tutto
dipende dal Regolatore: cosa permette o non permette alle banche di fare.
Se ci fosse ancora Bartali, direbbe: “L’è
proprio tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.”.
Innanzitutto la sfida principale della banche non
è il cliente retail, ma il cliente corporate, sia grande che piccolo. Ed è una
sfida non perché il cliente corporate desidera nuovi prodotti finanziari
(magari tecnologicamente supportati), ma perché sta sparendo. E sta sparendo
per consunzione competitiva e per la noia mortale che oramai generano i prodotti
che offre.
Questo significa che imprese (grandi e piccole)
riusciranno a sopravvivere e crescere solo se compiranno rivoluzioni
strategiche, soprattutto nei loro sistemi d’offerta. Ne devono inventare di radicalmente
nuovi.
Forse è banale ricordarlo, perché nessuna banca
sembra capire questa banalità: se le imprese muoiono, scompare anche ogni mercato
retail.
La banca che può fare? Aiutare le imprese a
generare rivoluzioni strategiche. Come? Acquisendo e rendendo disponibili alle imprese
conoscenze e metodologie per stimolare la progettazione imprenditoriale perché queste
sappiano generare Progetti di futuro alti e forti. E, poi, utilizzando queste
conoscenze e metodologie per saper valutare la reale novità ed efficacia dei Progetti
di futuro delle imprese.
Il problema non sono le tecnologie ICT (che
sono, ricordiamolo, sia hardware che software). Esse sono solo necessarie come tutte
le commodities. La sfida è cognitiva, non tecnologica. La sfida consiste nell'acquisire
nuove conoscenze che sono sostanzialmente le conoscenze e le metodologie di
strategia d’impresa.
In questo modo la banca diventa davvero una
start-up.
Allora, però, scoprire che le
servono anche nuove conoscenze e metodologie organizzative per trasformare le
burocrazie bancarie in corpi vivi che hanno come obiettivo, invece che la sopravvivenza,
la costruzione di una rivoluzione strategica nel fare banca. Una rivoluzione strategica che porta la banca
non solo a vendere finanza e nuovi servizi finanziari, ma a vendere, prima
della finanza e come garanzia che il vendere finanza non diventi generare sofferenze,
conoscenze, metodologie e servizi di progettazione strategica.
Questo significa, per inciso, che è inutile
andare a cercare manager nuovi o giovani. Il problema sono le conoscenze e le
metodologie strategico-organizzative di cui nessun manager bancario (giovane,
anziano o mezzano che sia) oggi dispone e che sono assolutamente indispensabili
per rivoluzionare il fare banca.
E i Regolatori? Se la banca inizia a vendere ed
usare conoscenze e metodologie di strategia (come deve fare per sopravvivere)
il Regolatore manco se ne accorge.
Il Regolatore deve servire come cartina di
tornasole: se la banca pensa di progettare una innovazione e si accorge che il Regolatore
ha un ruolo, allora capisce subito che non si tratta di una innovazione che
costruirà un nuovo futuro per le imprese cliente, quindi per il cliente retai
e, alla fine, per la banca stessa. Ma si tratta solo di un rimescolamento del
presente, anche se, magari, tecnologicamente scintillante.
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