"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

giovedì 23 ottobre 2014

Il futuro delle banche: macché tecnologia

di
Francesco Zanotti


L’occasione per questo post è un articolo di Ana Patricia Botin sul Sole di Oggi.
Figlia di cotanto padre, si ritrova, però, a balbettare. Sbagliando sfide.
Come tutti, dice che la sfida è il cliente retail che si porta con sé la sfida delle tecnologie.
Poi dichiara che anche una grande banca deve considerarsi una start-up. E subito dopo finisce con dichiarare che tutto dipende dal Regolatore: cosa permette o non permette alle banche di fare.
Se ci fosse ancora Bartali, direbbe: “L’è proprio tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.”.
Innanzitutto la sfida principale della banche non è il cliente retail, ma il cliente corporate, sia grande che piccolo. Ed è una sfida non perché il cliente corporate desidera nuovi prodotti finanziari (magari tecnologicamente supportati), ma perché sta sparendo. E sta sparendo per consunzione competitiva e per la noia mortale che oramai generano i prodotti che offre.
Questo significa che imprese (grandi e piccole) riusciranno a sopravvivere e crescere solo se compiranno rivoluzioni strategiche, soprattutto nei loro sistemi d’offerta. Ne devono inventare di radicalmente nuovi.
Forse è banale ricordarlo, perché nessuna banca sembra capire questa banalità: se le imprese muoiono, scompare anche ogni mercato retail.
La banca che può fare? Aiutare le imprese a generare rivoluzioni strategiche. Come? Acquisendo e rendendo disponibili alle imprese conoscenze e metodologie per stimolare la progettazione imprenditoriale perché queste sappiano generare Progetti di futuro alti e forti. E, poi, utilizzando queste conoscenze e metodologie per saper valutare la reale novità ed efficacia dei Progetti di futuro delle imprese.
Il problema non sono le tecnologie ICT (che sono, ricordiamolo, sia hardware che software). Esse sono solo necessarie come tutte le commodities. La sfida è cognitiva, non tecnologica. La sfida consiste nell'acquisire nuove conoscenze che sono sostanzialmente le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa.
In questo modo la banca diventa davvero una start-up.
Allora, però, scoprire che le servono anche nuove conoscenze e metodologie organizzative per trasformare le burocrazie bancarie in corpi vivi che hanno come obiettivo, invece che la sopravvivenza, la costruzione di una rivoluzione strategica nel fare banca. Una rivoluzione strategica che porta la banca non solo a vendere finanza e nuovi servizi finanziari, ma a vendere, prima della finanza e come garanzia che il vendere finanza non diventi generare sofferenze, conoscenze, metodologie e servizi di progettazione strategica.
Questo significa, per inciso, che è inutile andare a cercare manager nuovi o giovani. Il problema sono le conoscenze e le metodologie strategico-organizzative di cui nessun manager bancario (giovane, anziano o mezzano che sia) oggi dispone e che sono assolutamente indispensabili per rivoluzionare il fare banca.
E i Regolatori? Se la banca inizia a vendere ed usare conoscenze e metodologie di strategia (come deve fare per sopravvivere) il Regolatore manco se ne accorge.
Il Regolatore deve servire come cartina di tornasole: se la banca pensa di progettare una innovazione e si accorge che il Regolatore ha un ruolo, allora capisce subito che non si tratta di una innovazione che costruirà un nuovo futuro per le imprese cliente, quindi per il cliente retai e, alla fine, per la banca stessa. Ma si tratta solo di un rimescolamento del presente, anche se, magari, tecnologicamente scintillante.


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