"Se gli uomini non nutrono un ideale in un mondo migliore perdono qualcosa.
L'umanità non potrebbe funzionare senza le grandi speranze, le passioni assolute."
Eric J. Hobsbawm

lunedì 20 ottobre 2014

Crisi di significato. Prima puntata

di
Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com francesco.zanotti@gmail.com




Il sistema delle imprese, nella società industriale, ha avuto come mission (ovviamente individuabile solo oggi, ex post, una mission emergente) quella di soddisfare le esigenze “igieniche” (cioè di sopravvivenza materiale) di grandi masse di popolazione. Impresa compiuta, almeno nelle società occidentali. Ma l’aver avuto successo sta generando l’esigenza di qualcosa di nuovo, sia nelle società occidentali e sia nel resto del mondo.
Come a dire che l’attuale sistema delle imprese sta esaurendo la sua funzione storica.
L’indicatore fondamentale con cui misurare l’intensità di questo fenomeno di degenerazione è la noia …

Nelle società occidentali …
La noia, come preconizzava Moravia, è forse il sentimento più tipico della fase avanzata della società industriale … Specularmente, la perdita della capacità di suscitare stupore è il problema del nostro sistema imprenditoriale perché genera la noia dei … clienti ...

Prodotti che interessano sempre meno
Il soddisfacimento delle esigenze di sopravvivenza ha fatto emergere nelle persone esigenze di autorealizzazione sempre più sofisticate. Detto diversamente, sta emergendo una nuova antropologia (il desiderio di una modalità di vita e di socialità diverse) che sta generando una deriva di significato e di funzionalità dei beni prodotti dalla società industriale: da un’intensa esistenzialità ad una poco interessante funzionalità. Questa deriva di significato e di funzionalità si porta dietro, ovviamente, una deriva di valore: parallelamente al perdere di significato e di funzionalità i prodotti perdono di valore.

Provo a descrivere brevemente questa perdita di significato e funzionalità.
Queste derive di significato e, quindi, di valore sono in atto da tempo. Esse sono state, fino ad oggi, mascherate (sempre più intensamente negli anni scorsi, fino al raggiungimento del loro culmine negli anni ’80) dal continuo arricchimento dei prodotti della società industriale, soprattutto di consumo, attraverso l’innovazione tecnologica, stilistica, comunicazionale e prestazionale. Questo arricchimento è riuscito a fare diventare molti di questi prodotti simboli di stili di vita desiderabili, tanto che acquisirli ed esibirli è diventato strumento di posizionamento e riscatto sociale. Il mascheramento ha funzionato così bene da creare una bolla artificiale di consumi.

Lo scoppio della bolla finanziaria ha generato, quasi per risonanza, anche lo scoppio di questa bolla di consumi della cui esistenza vi erano solo vaghe (e troppo ideologiche per essere diffusamente condivise) percezioni. Ed è stato uno scoppio “completo e irreversibile”. Le persone hanno iniziato seriamente a demitizzare i prodotti fino a farli tornare al loro significato funzionale. Ma non si sono fermate a questo: ne hanno ridimensionato anche la funzione perché molte prestazioni che sembravano indispensabili si sono rivelate esserlo sempre meno.
E’ apparsa di questi prodotti tutta l’artificialità.
Insomma, lo scoppio della bolla finanziaria ha fatto scoppiare anche la bolla di senso della società industriale.

Mille fenomeni stanno a testimoniare della progressiva perdita di significato e di valore del “sistema di prodotti” della società industriale.

Il primo di questi fenomeni è il crescente ruolo e successo dei saldi. Esso sta chiaramente ad indicare che sempre più persone pensano che molti prodotti, soprattutto di vestiario, siano sopravvalutati. E li comprano solo, quando, attraverso i saldi, ridimensionano il loro prezzo.

Altro fenomeno rivelatore è l’esplosione degli outlet che stanno isolando l’acquisto in luoghi artificiali, completamente sganciati dalla socialità comunitaria che caratterizzava i negozi di prossimità. Quasi ad indicare che l’acquisto sta diventando quasi un mestiere, inevitabile, ma non così carico di significati relazionali.


Ma il fenomeno più rivelatore colpisce quello che forse è il settore trainante di tutto l’attuale sistema industriale: il settore dell’auto.
Innanzitutto l’automobile sta perdendo sempre di più il suo valore esistenziale: la vecchia 500 era il simbolo complessivo di una nuova società. L’acquistarla significava cominciare a vivere in questa nuova società. Acquistando la nuova 500 non si entra in nessuna nuova società. Solo si condivide il mondo fatuo, dal sapore decadente, anche se delizioso, di coloro che l’hanno progettata.
Poi sta perdendo anche il suo potenziale auto realizzativo. In un passato anche recente arrivare a 18 anni significava poter avere la patente.
Nell'immaginario, soprattutto delle nuove generazioni, non è certo lo strumento di autorealizzazione (significato esistenziale) che aveva la 500 per la mia generazione.

Più in generale: il tipo di auto che si produce ha ancora struttura e prestazioni (significato funzionale) che non sono adatte alle densità attuale di veicoli, alla struttura delle città, alle condizioni complessive del traffico. L’auto rimane mito, forse, nelle generazioni adulte, ma questo non basta a frenare la perdita complessiva di significato e funzionalità dell’auto, in generale, e del tipo di auto che si produce oggi, in particolare. Anche, ma forse qui mi illudo, lo sgommare con un’auto potente diventa sempre meno desiderato e sopportato. I 18 anni non sono più soprattutto l’anno della patente.

Da ultimo, sta diventando sempre più evidente che il settore auto (per ora solo in Europa, ma io credo prossimamente in sempre più paesi) riesce a sopravvivere solo se si nutre di incentivi statali: il fare auto, questo tipo di auto, prodotte in questo modo, è oramai strutturalmente non più economico. Questa evidenza viene “oscurata”, in qualche modo nascosta, pigiando sull'efficienza e l’innovazione tecnologica. Ma questo pigiare è sempre più difficile e costoso. Sia per la collettività (lo Stato) che deve colmare il gap tra i costi necessari a produrre auto sempre migliori e i prezzi che le persone sono disposte a pagare per comprarle. Sia per chi lavora in questo settore perché le Case Automobilistiche, loro malgrado, sono costrette a chiedere sempre più impegno senza essere in grado di compensare adeguatamente questa escalation di impegno.
E’ anche in qualche modo perverso perché servirà solo a far crescere il costo sociale e personale del fare auto fino ad un punto di rottura prossimo futuro inevitabile del quale si intravedono già i segnali.

La perdita di significato esistenziale e funzionale dell’auto si riproduce nella stessa perdita di significato di molti altri oggetti costruiti dalle attuali imprese manifatturiere.

Ad ulteriore, e per questo scritto conclusiva, dimostrazione che i tipi di prodotti che l’attuale sistema produttivo rende disponibili stanno perdendo di valore è che, per alcuni, diventa importante non quello che si compra, ma il come lo si compra.

Intendo dire che i saldi funzionano anche perché stanno diventando momento di gioco e, quindi, di autorealizzazione. Stanno emergendo i professionisti dei saldi che pianificano attentamente la corsa ai saldi usando tecnologie e strategie. Ad esempio: diversi partner di un gruppo partecipano a diverse code, stanno in contatto via cellulare, così da poter cogliere lo spettro più ampio di opportunità.

Un calo strutturale, continuo e non congiunturale della domanda
La continua perdita di significato e, quindi, di valore, dei beni prodotti dal sistema industriale attuale ha una conseguenza via sempre più evidente e più drammatica: il calo della domanda, che si sta manifestando sempre più evidente nei mercati occidentali, è strutturale e non contingente. Io credo che questo processo non sia ancora stato pienamente riconosciuto. Anzi, si ragiona al contrario: si pensa che sia stata una contingenza esterna (la crisi finanziaria) e non una autonoma perdita di senso, che ha spento la voglia di acquisto.
Dobbiamo, il più in fretta possibile, riconoscere che il calo di interesse per i prodotti tipici della società industriale era già in atto prima della crisi finanziaria. Essa ha certamente accelerato questo processo, ma l’uscita dalla crisi non significherà, in nessun modo, una ripresa generalizzata degli acquisti.

La conseguenza inevitabile: una capacità produttiva sovrabbondante
Se cala in modo strutturale e continuo la domanda, allora diminuisce il fabbisogno di capacità produttiva. Questo significa che l’attuale capacità produttiva tenderà ad essere sempre più sovrabbondante.

La conseguenza della conseguenza: la ipercompetizione
Se gli spazi di mercato si vanno fatalmente riducendo mentre la capacità produttiva se non aumenta, certo non diminuisce, allora non può che scatenarsi una competizione sempre più dura, definita “ipercompetizione”, che finisce con l’essere, sempre di più, una devastante competizione di prezzo.

L’acquisto: da momento di auto realizzazione e momento di stress

A causa di questo perdere di valore dei prodotti, l’atto stesso, il momento stesso dell’acquisto sta addirittura diventando momento di stress, di fatica perché la perdita di valore dei prodotti ha un effetto drammatico sui conti economici delle imprese che sono sempre meno in grado di pagare stipendi che permettano di tornare ad un livello interessante di acquisto.


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