di
Francesco Zanotti
Ho trovato la miglior descrizione del mestiere
dell’imprenditore (più efficace di quella di Shumpeter) in un testo di un
matematico originalissimo, scomparso l’anno scorso (Alexander Grothendieck) che
ho trovato citato nel capitolo “Il potere dell’innocenza” di Luca Barbieri
Viale e Claudio Bartocci nel libro “Matematica ribelle” edito dal Corriere
della Sera.
Lo riproduco con incisi che fanno riferimento al
mestiere dell’imprenditore. Il post è un po’ lungo, ma non ho saputo togliere
neppure una virgola al testo di Alexander Grothendieck.
“La
maggior parte dei matematici (…) hanno la tendenza a confinarsi in un quadro
concettuale, in un “Universo” fissato una volta per tutte – quello che hanno
trovato bell'e pronto quando hanno fatto i loro studi. Possono essere
paragonati a chi abbia ereditato una grande e bella dimora, arredata con tutte
le comodità, con i suoi saloni, le sue cucine, i suoi laboratori, e le sue
casseruole e attrezzi per ogni evenienza, con i quali c’è modo certamente di
cucinare e di far tanti bei lavoretti.
La
maggior parte dei manager (e qualche imprenditore di seconda e terza
generazione) hanno la tendenza a vivere nelle case costruire dagli imprenditori.
Per
quel che mi riguarda, sento piuttosto di appartenere alla stirpe dei matematici
la cui vocazione spontanea, e la cui gioia, è di costruire senza posa case
nuove. Strada facendo, costoro non possono sottrarsi anche al compito di
inventare e forgiare man mano tutti gli arnesi, utensili, mobili e strumenti
che sono necessari tanto per costruire la casa dalle fondamenta fino la colmo
del tetto, quanto per rifornire in abbondanza le future cucine e i futuri
laboratori, e arredare la casa per viverci con tutti gli agi.
L’imprenditore costruisce nuove “case”. Nuove
imprese e nuovi settori industriali.
Ciononostante,
non appena tutto è sistemato fino all'ultima grondaia e all'ultimo sgabello, è
raro che l’operaio si trattenga a lungo nei luoghi in cui ogni pietra ed ogni
trave reca traccia della mano che l’ha lavorata e posata. Il suo posto non è
nella quiete degli universi bell'e pronti, per quanto accoglienti ed armoniosi
possano essere – non importa se siano stati consegnati dalle sue proprie mani o
da quella dei suoi predecessori.
L’imprenditore
non si ferma a riposare nelle case che ha costruito. Anche perché sa che la “manutenzione”
alla quale sarò costretto dalla competizione, non è certo così emozionante come
il costruire nuovi mondi.
Altri
compiti già lo chiamano su nuovi cantieri, sotto la spinta imperiosa di bisogni
che è forse il solo a provare chiaramente o (ancora più spesso) anticipando
bisogni che è il solo a presagire. Il suo posto è all'aria aperta.
L’imprenditore
non serve esigenze già definite. Egli fa precipitare le mille potenzialità di
futuro in un futuro specifico che, ex-post, viene visto come somma di specifiche
esigenze.
E’ amico del vento e non ha paura di affrontare il lavoro da solo, per mesi, e per anni, o, se necessario, durante un’intera vita, sempre che non arrivi in soccorso qualcuno a dargli il cambio. Ha soltanto due mani come tutti, certo - ma due mani che in ogni istante indovinano cosa devono fare, che non disdegnano né le faccende più gravose né quelle più delicate, e che mai si stancano di acquistare familiarità con le innumerevoli cose che incessantemente le chiamano per farsi conoscere. Due mani, è poco, forse, perché il Mondo è infinito. Mai potremo esaurirlo! E tuttavia, due mani è già molto …”
Gli spazi per costruire nuove imprese che siano ologrammi di una nuova
società non solo non si esauriscono mai, ma si moltiplicano continuamente.
Non è importante dove l’uomo opera. Sempre ha l’alternativa tra il diventare
costruttore di mondi o sacerdote della conservazione. Sia che faccia matematica,
sia che costruisca imprese sia che operi in qualunque altro campo.
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