di
Luciano Martinoli
Mi sono messo nei panni di un rappresentante di un investitore, fondo pensione, assicurazione, family officer o, più semplicemente, di un ricco signore, che vuole investire in borsa.
Ieri si è chiusa la STAR Conference in Borsa a Milano, la manifestazione nella quale le aziende delll'indice STAR, appunto, si presentano alla comunità finanziaria. Nella veste di investitore mi sono iscritto e presentato agli incontri di due aziende. Non hanno importanza i loro nomi ma quello che hanno detto sì.
Si potrebbe obiettare che il campione è troppo piccolo, che non è significativo per sostenere che ciò che sto per dire sia vero per tutte le altre. Per rispondere all'obiezione rimando alla nostra prossima ricerca sul IV Rating Business Plan aziende FTSE MIB e STAR, che verrà presentata a Milano il prossimo 10 giugno, e, per chi fosse impaziente, invito alla lettura del rapporto dell'anno scorso scaricabile qui.
Ma cosa è stato detto di così importante?
Prima azienda. Settore manifatturiero, non è importante quale; diciamo solo che nel suo business la materia prima condiziona pesantemente l'insieme dei costi di produzione: oltre il 50%. Nel presentare il mercato si parla subito di questi costi sottolineando l'estrema volatilità, anche da un mese all'altro, proprio della materia prima. Arrivati al momento di presentare i risultati previsionali a due anni, la slide cita testualmente: "Fatturato a Prezzi costanti...".
Ma se poco prima mi è stato detto che il prezzo non è costante da un mese all'altro, che valore ha fare una previsione a prezzi costanti?
E se anche i prezzi fossero costanti, perchè quel numero e non un altro? Cosa e come, inoltre, lo influenza delle poche, e vaghe, azioni e progetti futuri, pur citati?
L'investitore che è in me si indispettisce: mi hanno preso per scemo?
Seconda azienda, settore servizi. Stavolta grande enfasi ai risultati passati, ma nessun accenno alle previsioni future, nemmeno all'anno prossimo. Solo una lista vaga di obiettivi, senza nessuna esplicitazione su come verranno raggiunti, che parlano di mantenere l'alto livello di qualità dei ricavi, studiare il lancio di nuovi servizi, supportare i servizi con adeguate attività marketing e banalità simili.
L'investitore che rappresento si insospettisce: non è che per caso qua dentro si sta preparando, in buona fede o peggio, il classico "pacco"?
Morale.
E' vero, come dice l'amico Longo oggi sul il Sole 24 Ore, che meno del 10% della ricchezza nazionale finisce nella nostra economia reale, ma forse il motivo principale, oltre a quello storico e culturale da lui citato, è sopratutto nell'incapacità delle imprese di rappresentare le loro intenzioni di futuro e, prima ancora, di progettare, nei documenti ufficiali (i Business Plan), futuri credibili e rigorosi di prosperità e ricchezza in mancanza dei quali nessun investitore, anche quello locale, sarà invogliato. Io, però, sono un investitore esperto: dispongo di conoscenze e metodologie per capire se un Business Plan è alto e forte. Ma la media degli investitori, non lo è! Allora è indispensabile, innanzitutto, che l'esporre un Business Plan sia obbligatorio per le Società quotate. Ed è altrettanto indispensabile che ai Business Plan sia assegnato un Rating che fornisca una valutazione di una terza parte di quanto essi siano alti e forti.
Concludendo, forse è vero che qualcosa sta cambiando, come cita l'articolo, ma non cambia ancora la cosa più importante: la capacità delle imprese di progettare e realizzare un futuro migliore.
E forse l'investitore nazionale, così prossimo al tessuto locale, lo sa ed è per questo che preferisce veicolare le sue risorse in altre direzioni.
Luciano, davvero uno spaccato poco edificante della realtà di oggi..purtroppo!
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