di
Francesco Zanotti
L’occasione di questo post è la lettura di un
articolo di Luca Davi e di una intervista di Carlo Festa a Alessandro Daffina,
apparsi oggi sul Sole 24 Ore.
Sono contro il risiko prossimo futuro perché, da
un lato, non si otterranno i benefici immaginati e, dall’altro, si bloccherà lo
sviluppo strategico del settore. Perpetuando, anzi aggravando, la sua
situazione di crisi.
Mi spiego.
Quali sono le ragioni per cui si dovrebbe
concentrare il settore?
Ne parla esplicitamente solo Daffina. Osservo
che il testo che riporterò non è “virgolettato”, quindi, tecnicamente, è una
interpretazione dell’Autore dell’intervista.
Il ragionamento di Daffina è il seguente. Ci
metto io le virgolette perché riporto fedelmente dall’articolo di Carlo Festa.
“Le banche italiane, a causa dei tassi di
interesse bassi e della crisi economica sono state costrette ad operare in
condizioni particolarmente difficili.”. E, poi cita queste condizioni “margini
di interesse inesistenti, necessità di accantonamenti sempre più elevati sui
crediti non performanti, costi fissi eccessivi e infine un livello di
tassazione tra i più altri d’Europa.”. Infine,
la conclusione. “Non sorprende quindi che le banche abbiano avuto una
redditività scarsa e un livello di patrimonializzazione inadeguato. Di qui la
necessità di concentrazione del settore”.
Questo ragionamento mi sembra il mondo alla
rovescia.
E’ come a dire: poiché le condizioni che generano
scarsa redditività e, quindi, scarso patrimonio non si possono rimuove, allora
occorre rendere le banche più forti facendole diventare più grandi. Io credo
che, appunto, occorra ragionare in direzione opposta. Occorre pensare ad eliminare
le cause, non cercare di riuscire a farle sopportarle meglio.
E, potrà sembrare strano, ma prima di tutto,
occorre rimuovere proprio la causa che sembra meno rimovibile, mentre è la più
facilmente rimovibile: la crisi economica.
Ma lo si può fare?
Ma le banche cosa potrebbero fare? Dovrebbero fornire
alle imprese le risorse cognitive necessarie a rimettere in moto una progettualità
strategica alta e forte. Ed è semplice farlo perché questa risorse cognitive ci
sono: sono le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Le banche non
le posseggono, ma possono procurarsele facilmente.
Così facendo le banche permetteranno alle
imprese di recuperare la loro capacità di generare cassa. Il che significa che le
banche riusciranno non solo ad evitare nuove sofferenze, ma anche a riattivare i
prestiti pericolanti. Il tasso di interesse potrà essere interessante perché i
prestiti saranno orientati allo sviluppo e vi saranno anche ricavi da nuovi
servizi: la fornitura, appunto di conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
E anche le tasse saranno meno ossessive perché si potranno avere più introiti
anche con aliquote più basse.
Tornando al risiko. Non è necessario diventare
più grosse. Invece, è necessario un cambiamento strategico, di ruolo sociale
delle banche: non fornire solo risorse finanziarie, ma anche risorse di
conoscenza.
Una crescita dimensionale non genera alcun
cambiamento di ruolo sociale.
Anzi ne blocca anche il solo pensarlo. Da oggi
ai prossini due anni i Vertici delle banche saranno affaccendati in affari societari
non certo nel progettare cambiamenti strategici che, tra l’altro, comporterebbe,
soprattutto per loro, dotarsi, per primi, delle nuove conoscenze e metodologie
di strategia d’impresa.
Mi si lasci finire con una nota “non negativa”.
Meno male che si è rimasti solo a discorsi di capitale. E nessuno ha parlato dei miglioramenti di efficienza tra le ragioni per gli accorpamenti. Altrimenti avrei subito ricordato il Rapporto Fergusson, commissionato anni fa da dieci banche centrali e tradotto e diffuso da Bankitalia, dove si dice chiaramente che non vi è nessuna evidenza esperienziale che sostenga la tesi che l’aumento di dimensione porta ad una aumento dell’efficienza.
Meno male che si è rimasti solo a discorsi di capitale. E nessuno ha parlato dei miglioramenti di efficienza tra le ragioni per gli accorpamenti. Altrimenti avrei subito ricordato il Rapporto Fergusson, commissionato anni fa da dieci banche centrali e tradotto e diffuso da Bankitalia, dove si dice chiaramente che non vi è nessuna evidenza esperienziale che sostenga la tesi che l’aumento di dimensione porta ad una aumento dell’efficienza.
Anzi, dico io, vi sono ragioni sia teoriche e
sperimentali per dimostrano il contrario.
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